Le duecent'ore sono una sommetta che sulle feste fa senza dubbio molto comodo. Poi il pacco natalizio. Ogni azienda che si rispetti la vigilia di Natale non manda a casa i propri dipendenti con le mani vuote. «Qualcosa» del buon cuore del «principale» (il padrone ormai è parola caduta, quasi del tutto, in disuso) sulla tavola davanti ai bambini, nel giorno di Natale, fa indiscutibilmente tenerezza.
Poi auguri di qui e auguri di là. Il Natale non si può non dire che non sia occasione di buone cose.
E tutto sarebbe meraviglioso se fosse espressione di cordialità vera, di comprensione sincera, di autentico senso di amicizia.
Ma invece quel panettone sa troppo di formalismo. E' il regalo del buon papà, dal cuore buono per i suoi dipendenti. Quegli auguri sono esteriorità incapaci di stabilire contatto vero di cuori e di anime bisognose ugualmente di una briciola di vera felicità.
E le duecent'ore quest'anno non faranno far meglio il Natale: sono già tutte o quasi mangiate - specialmente per i metallurgici - da scioperi che durano da troppo tempo.
I padroni, i dirigenti, gli impiegati sono ancora troppo schierati da una parte, e gli operai sono dall'altra: in mezzo le trincee sono ancora profonde e in qualche azienda usa ancora - e chissà perchè - il filo spinato,
Vi. è bisogno di lontananze, di separazioni, di piani diversi. Di chiusure nei propri privilegi, di difesa delle proprie posizioni.
Vi sono problemi di prestigio, di importanza, di grandezza che continuano ad essere sostenuti con mentalità penose e spesso ridicole.
Si giustifica il tutto con la storia della disciplina (come nell'assurdo mondo militare) e invece è questione di vanità, di alterigia e quindi d'interessi personali più quelli economici. Ne risulta un rapporto strano, irrazionale, artificioso e ingiusto fra dirigenti e dipendenti, impiegati e maestranze.
E spesso il clima respirato nell'azienda non è di pace e di accordo. Tanta sofferenza che potrebbe essere evitata è pane quotidiano. Il risentimento e lo scontento amareggiano giornate di lavoro e di fatica. E anche la produzione ne risente, Signor Padrone.
Allora il panettone o qualsiasi altro dono natalizio, fa piacere all'operaio perchè tutto fa comodo, ma non è un segno di premura viva e aperta, simbolo di una considerazione affettuosa, di una valutazione sincera.
E' dare l'ordinazione a una ditta (ormai tutto viene affidato alle ditte: dal pranzo di nozze fino alle pompe funebri vi è sempre qualche ditta pronta a pensare e a provvedere a tutto) e pagare l'assegno dopo che la ditta ha consegnato il dono.
E chi allunga la mano e poi esce fuori per la strada e va a casa col panettone, quasi ha vergogna perchè si sente come un accattone.
Gli uomini dalle mani che lavorano non hanno bisogno di regali, hanno bisogno di comprensione, di cordiale amicizia, di giusta valutazione della loro fatica.
Problemi di fondo per risolvere spinose situazioni di contrasto umano capaci soltanto di dividere, amareggiare, contristare questo povero mondo operaio, per il quale la fatica quotidiana, la schiavitù del lavoro, le difficoltà economiche sono già assai per rendere pesante una esistenza umana.
Il Figlio di Dio che si fa Uomo, piccolo Bambino sulla paglia di Betlem, vuol dire - fra le tante cose - che gli uomini devono superare i loro egoismi, scendere dai loro privilegi e cominciare ad accorgersi che siamo tutti fratelli.
Ma in duemila anni non sembra che l'umanità abbia molto imparato da questo insegnamento divino, disgraziatamente.
in Il Nostro Lavoro: Il NL num. unico dicembre 1962 - Viareggio, Dicembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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