E' successo in un'azienda. Un'azienda cresciuta su e fiorita dal dopoguerra. In pochi anni i profitti sono stati sicuramente rilevanti. Non è che si sappiano i conti in banca, ma che le cose sono migliorate si vede. E non soltanto dall'azienda che marcia a gonfie vele, e ne sia ringraziata la Provvidenza, ma da tutto un insieme assai ostentato e magnificato.
Nulla di male. Gli operai non sono invidiosi del bene altrui e continuano umilmente a servire chi ormai è arrivato: il capitale, da noi, suscita ancora rispetto e verrebbe da dire, devozione. E quando il capitale è riconosciuto in misure notevoli, si trova, come dire, al di là della portata dell'invidia della povera gente e ottiene soltanto rispetto.
D'altra parte è giusto riconoscere che nel miglioramento ottenuto fino alla ricchezza, vi ha giocato sicuramente capacità di lavoro, sagacia, spirito di sacrificio e intraprendenza ecc. Doti giustamente da ammirare. Capacità di considerare con tutto rispetto.
Oli operai di questo sono particolarmente generosi e riconoscono in pieno e così volentieri fino a provare sentimenti di orgoglio a essere alle dipendenze di chi ha saputo «sfondare» affermandosi in successi industriali.
«Pensare che è partito dal nulla» é sempre un discorso carico di ammirazione.
Anche perchè la persona onesta riconosce il diritto di tendere continuamente al miglioramento delle posizioni.
Soltanto che questo diritto - almeno questo diritto - andrebbe riconosciuto a tutti.
Anche l'arrivato, anche chi ha avuto successo, che ha migliorato le proprie posizioni, deve riconoscere questo diritto al suo prossimo e specialmente lo deve riconoscere a chi ha contribuito al proprio miglioramento, a chi gli ha dato possibilità di successo.
Un dipendente riceve un'offerta di lavoro con un sensibile miglioramento di guadagno. Sono anni e anni che la busta se l'è ingoiata tutta quel mediocre mantenimento della famiglia. Non un passo avanti. Niente risparmi. Quella casa è sempre la stessa. Il mangiare, su per giù è sempre quello. Se qualcosa è cresciuto è il numero dei figli e crescono ogni giorno i loro bisogni. Sempre a camminare sul filo del rasoio di un andamento economico da equilibrista.
Traspare un sogno. Un guadagno fortemente maggiorato e i progetti, alla notte, nel dormiveglia, si moltiplicano.
Il discorso al principale è molto semplice: se mi cresce la paga, rimango, altrimenti anch'io ho diritto di andarmi a «ingegnare» (la parola è magnifica e dice tutto).
Nasce il finimondo. Parole grosse. Minacce. Niente aumento, si capisce, e «se te ne vai, ricordati che non rimetti più piede qua dentro».
Ecco, questo non va bene. Perchè tanto inquietarsi? La cosa tanto terribile, in fondo, è soltanto un semplice problema di giustizia: riconoscere agli altri ciò che si giudica per se stessi un assoluto diritto.
Migliorare le proprie condizioni di vita è proprio della natura umana: l'uomo è un essere perfettibile, dice il filosofo. E se abbiamo un po' di civiltà è perchè l'uomo ha cercato sempre di migliorare, di rendere sempre migliore la propria esistenza.
Ma questo diritto - almeno in linea di principio sicuramente e, speriamo, sempre più anche su un piano di fatto - questo diritto appartiene a tutti, non è soltanto un diritto riservato a pochi.
E tanto più questo diritto l'ha chi quel poco di miglioramento se lo guadagna bagnandolo del proprio sudore.
Non è bello e tanto meno giusto considerare il dipendente come legato alla macina del frantoio che frange per il proprio esclusivo benessere: ormai nemmeno l'asino ci legano più, con una benda sugli occhi per evitargli l'impressione di girare sempre in tondo, costretto a far sempre quel cammino a strada obbligata e sempre al solito passo, per avere alla sera, sempre, la solita manciata di paglia.
in Il Nostro Lavoro: Il NL num unico novembre 1962 - Viareggio, Novembre 1962
Luigi Sonnenfeld
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