IL NOSTRO LAVORO: Il NL - Anno 1 - N. 2 Viareggio - dicembre 1963

(offerte per giornale)

Il giornale in 3.500 copie costa 70.000 lire per ogni edizione.
Non vogliamo sgomentarci: è necessario però che gli operai ricordino che non abbiamo sovvenzioni di sorta: contiamo esclusivamente sulle loro offerte e in quelle degli amici e simpatizzanti.
Le offerte degli operai che ci sono pervenute sono:
Rubinetterie Ponsi L. 10.295
F. E. R. V. E. T „ 8.375
Off. Mecc. M. & B. Benetti 1.400
Società Esercizio Cantieri 3.000
La prossima riunione della redazione per il numero di gennaio sarà presso don Sirio la sera di sabato 21 p. v. alle ore 9.
Sono invitate le Commissioni Interne, gli operai e gli amici che lo desiderano.

Gli auguri di Natale

immagine:  Gli auguri di Natale Ci avviciniamo a Natale e l'usanza, ormai diffusissima, vuole che ci scambiamo gli auguri. Non è un formalismo a sfondo sentimentale, né per un intenerimento generale. Non è per via del Bambinello Gesù sulla paglia, con tutte quelle statuette, del presepe, costruito dai vostri bambini, né per l'albero smagliante di luci, né per il panettone scartato sulla tavola imbandita a gran festa per il buon pranzetto natalizio. Non credo nemmeno che sia particolarmente sentito il Natale per via della tredicesima, che a Natale (o chissà forse da quando) è già stata tutta «sistemata» nel cappottino e nelle scarpette dei bambini e spese del genere o, speriamo di no, per tappare qualche buco che si è andato scavando per qualche malattia o simili guai.
Cosa vogliamo dire, quando diciamo «buon Natale» e quando ce lo dicono a noi e ci fanno un mare di tenerezza?
Il Natale è come un'alba per l'umanità, è luce che nasce nel buio della storia, qualcosa che accende la speranza. E tutti, sia pure per un giorno soltanto, e in modo molto vago e inconsapevole, avvertono questo «qualcosa di misterioso» che è avvenuto e di cui gli uomini hanno così essenzialmente bisogno.
Per me cristiano credente, Il Natale vuol dire una Verità fondamentale nella mia Fede, lo credo che Dio, e con più esattezza il Figlio di Dio, si è fatto Uomo, è nato da una donna, bambino come ogni altro bambino. Il Natale è il giorno d'inizio della Sua storia terrena, umana.
Da quel giorno Dio è fra gli uomini, a condividere la loro vita, a portare nel Suo il loro destino, a realizzare la loro felicità sulla terra e in cielo.
È' chiaro che questo è un avvenimento di Bontà, a un fatto di Amore. E' soltanto Bontà e Amore e quindi è Pace. Il Natale è il giorno della pace.
Penso che il « Buon Natale » voglia anche dire e essere un augurio di Bontà, di Amore, di Pace. Per tutti. Ormai anche per i non credenti, anche per i non cristiani. Basta essere sensibili e aperti ai problemi della giustizia, ansiosi e bisognosi di bontà, in ricerca serena e profonda di pace e il Natale ci porta nell'anima la dolcezza del sue messaggio, la gioia del suo annuncio, la speranza del suo augurio, garantito dal Mistero di Dio nato piccolo bambino dal seno di Maria Vergine.
Attraverso questo povero foglio che vorrebbe essere chiarimento di rapporti, rappacificazione di contrasti, avvio alla comprensione vicendevole e quindi apportatore di pace nel mondo del lavoro, giunga a tutti l'augurio più sincero di Buon Natale.
A tutti. Alle maestranze. Ai dirigenti. Agli impiegati. Agli industriali.
Buon Natale in tutte le aziende, nelle fabbriche, nei cantieri, nelle officine, dove si lavora, si fatica, si logora la vita e si spende la salute per guadagnare il pane quotidiano, per sé e per là propria famiglia, e quel benessere fondamentale perché l'esistenza sia esistenza di uomini liberi come la dignità della persona umana giustamente richiede ed esige.
Ma nel mondo del lavoro, più che altrove, l'augurio di Buon Natale vuole essere un augurio di pace.
E vorrei parlare di quella pace cristiana che è frutto del superamento di ogni egoismo e di ogni impostazione egoistica e individualistica della vita.
Perché questo è il grande comandamento che Gesù ha dato agli uomini: bisogna considerare gli altri come esseri umani esattamente con gli stessi fondamentali diritti e doveri di noi. E' per questo che i rapporti fra gli uomini non possono essere su un piano di guerra e cioè di egoismi incontrollati, di interessi assoluti, di contrasti irrimediabili, di sfruttamenti spietati e quindi di tentativi, con ogni mezzo, di asservimento degli altri ai propri scopi e ai propri interessi.
Penso che per realizzare la pace nel mondo del lavoro (e in generale nella convivenza umana) sia necessario almeno modificare e limitare alcune mentalità e modi concreti di comportamento.

Ciò che impedisce la pace
Bisogna respingere assolutamente l'idea fissa che il capitale ha sempre ragione. Sarebbe come dire che la materia va avanti allo spirito, che l'irrazionale vale più della ragione, che il calcolo conta più del cuore.
E nel mondo del lavoro molte cose vanno male, e sembra impossibile perfino la speranza di un miglioramento, perché chi comanda e di tutto dispone è il capitale e la ragione economica.
Troppi valori umani sono ridotti a sottoporsi, fino al servilismo più abbrutente, a questo materialismo fatto di quattrini, che non conosce e non accetta altra realtà che non siano i quattrini.
Di qui nascono mentalità assurde, insensibilità incredibili, machiavellismi impressionanti, e il tutto è tirato avanti con serena disinvoltura, con buona pace della propria coscienza, senza dubbio con la profonda convinzione di una condotta incensurabile. Perché il capitale, fra le altre sue nefaste possibilità, ha anche quella di méttere in pace con le sue ragioni anche la coscienza e trasformare in un sacro dovere, il realizzare i propri egoismi, l'arrivare ai propri scopi, senza guardare troppo per il sottile al mezzi necessari.
E quando il capitale è onnipotente (e è ormai potente nella misura della sua quantità), o si mette anche al di sopra della legge, o l'aggira o compra le istituzioni che fanno la legge adatta allo scopo, ma va avanti come un rullo compressore.
Dove comanda il capitale non vi può essere pace e nel mondo del lavoro il capitale è ancora principio e fine e legge assoluta, propone e dispone, fa e disfà in modo pressoché dispotico.
1 padroni subiscono il suo impero ne sono i creatori, ma anche gli schiavi fedeli. E se il capitale serve il loro sovrabbondante benessere, aiuta le vanità, sostiene il lusso, favorisce la potenza, li impoverisce però di senso umano, ne fa degli egoisti, degli ingiusti, fino al punto che spesso nell'ambiente di lavoro non si respira che nella paura, nell'incertezza, si va avanti con la piaggeria, si spera nel servilismo, ci si lascia comprare per sfondare, per fare carriera, per avanzare di grado e quindi di sti-pendio.
Succede allora che non vi sia pace nel mondo degli impiegati, perché ormai sono stati succhiati nell'orbita della classe padronale, ne respirano il clima e ne condividono, più o meno allegramente o supinamente, le mentalità e i metodi e non possono che confidare nel loro servire al capitale per le proprie speranze. E i rapporti fra loro spesso diventano antagonismi perché bisogna conquistare i favori del capo ufficio e poi del capo personale e poi del vice direttore e del direttore ecc., e troppo spesso, per voler arrivare uno scalino più in su, diventa logico pagare a spese della propria dignità personale, della libertà, della giustizia.
Allora si capisce come sia andato il distacco fra gli impiegati di una azienda e gli operai, l'indifferenza e spesso l'ostilità, certo il nessun rapporto o quasi di comprensione, di solidarietà.
E tanta pace sparisce dagli uffici, mangiata ancora una volta dall'egoismo, e guerra sorda è fra gli uffici e i capannoni, perché quel lavoro, quella fatica che dovrebbe unire, disunisce, che dovrebbe rendere fratelli, rende invece nemici.
E' triste e infinitamente doloroso, ma pure non vi è pace nemmeno fra gli operai. L'unione è indispensabile per la pace. E l'unione è creata non dalla sparizione delle persone, per una irreggimentazione a tipo militare dove l'unica libertà concessa è di dire soltanto Signor sì, ma per un rispetto vicendevole nel superamento dell'individualismo che porta sempre all'egoismo e cioè all'anteporre H mio interesse a costo di tutto e di fronte a qualsiasi altro valore, compreso l'essere compagni di lavoro, amici e fratelli di fatica e di destino.
C'è chi si lascia comprare da un fuori busta. Chi cede davanti alla prospettiva di un miglioramento, per la speranza di diventare capo reparto. C'è chi si piega alle minacce e chi si stanca ormai di lottare. Vi è quello che ha il campicello e la casetta e non vuole storie... e chi per un conto, e chi per un altro, cerca soltanto il proprio tornaconto e intanto la solidarietà si sgretola, l'unione si spezza e al tempo in cui occorrerebbe l'impegno compatto collettivo c'è chi sta dentro e chi sta fuori dell'azienda, chi guadagna di più e chi perde le giornate, chi s'ingrazia il principale e chi si fa mettere sulla lista nera...
La pace è scomparsa, svanita per un individualismo borghese che ha trovato buon terreno nell'egoismo (o più spesso nel bisogno) dell'operaio, alimentato furbescamente da chi ha tutto l'interesse a dividere, a disorganizzare, a mettere antagonismi, suscitare rancori, spingere al ri-sentimento e spesso all'odio.
Ciò di cui la pace ha bisogno
Lamento generale, constatazione fatta con orrore: il mondo operaio è un mondo agitato, di scontenti, di turbolenti, di gente pericolosa, di rivoluzionari...
No, no, è semplicemente un povero mondo senza pace. E è senza pace perché nessuno là dentro vi porta della pace e è motivo di pace.
Basterebbe così poco a volte: una buona parola, un gesto d'amicizia, di comprensione. Un modo di trattare sereno, rispettoso. Un apprezzare il lavoro e le capacità che lo producono. Rendersi conto personalmente della fatica, dei disagi, del pericolo di certo lavoro. Studiare i problemi economici delle famiglie. Non sopportare situazioni economiche impossibile, ecc.
E speriamo che venga l'ora in cui la ricerca di giustizia nel mondo operaio, l'esigenza di rapporti umani, il diritto a un'esistenza tranquilla e sicura e a un benessere dignitoso per le famiglie operaie non sia più per nessuno motivo di scambiare gli operai come pericolo pubblico, ne sia più per gli operai costrizione al ricorso ai mezzi di forza, perché le agitazioni operaie non vi saranno più se gli operai hanno ciò che occorre alla loro pace.
E intanto occorre subito un clima di serenità e di libertà. E' necessario abolire i privilegi e il favoritismo e ogni discriminazione.
Occorre che gli impiegati si sentano dei lavoratori e semmai posizioni di scelta devono maturarsi, non devono dimenticare la massa che lavora anche per loro e non devono guardarla dalla finestra mentre si agita per chiedere aumenti che poi essi subito si prendono allegramente.
No, amico e compagno di lavoro, non maltrattare chi lavora accanto a te. Bisogna che tu !lo rispetti anche se è di idee diverse dalle tue. Non fare il crumiro al momento dello sciopero e non cercare di «arrufìanarti» col padrone magari a scapito di altri operai. Nel cottimo metticela tutta insieme a quelli della tua squadra, perché se no bevi il loro sudore...
Molte volte (forse sempre) il problema della pace è soltanto un problema di buona volontà.
Non per nulla la notte di Natale, intorno al Figlio di Dio e di Maria, deposto sulla paglia, appena nato fra gli uomini, gli Angeli hanno cantato l'augurio di pace a tutti gli uomini di buona volontà.
Augurarci buon Natale vuol dire dirci a vicenda di essere uomini di buona volontà.





don Sirio

La nascita di Gesù

In quei giorni uscì un editto di Cesare Augusto per il censimento di tutto l'impero. Questo primo censimento venne fatto mentre Cirino era preside della Siria. E tutti andavano a dare il nome, ciascuno nella propria città.
Anche Giuseppe salì dalla Galilea, dalla città di Nazaret, in Giudea, alla città di David, chiamata Betlem, perché era della casa e della famiglia di David, per dare il nome insieme a Maria, sua
promessa sposa, che era incinta.
Ora mentre essi si trovavano in quel luogo, venne per lei il momento del parto e diede alla luce il suo figliuolo primogenito; che fasciato pose in una mangiatoia, perché non vi era stato posto per loro nell'albergo.
Nello stesso paese c'erano dei pastori, che passavano la notte all'aperto e facevano la guardia al loro gregge. Un angelo del Signore apparve davanti a loro e la gloria del Signore rifulse intorno ad essi, sì che temettero grandemente. L'angelo disse loro: «Non temete, perché io vi reco una buona novella di grande allegrezza per tutto il popolo. Oggi, nella città di David, vi è nato un Salvatore, che è il Cristo Signore. Questo vi sia di segnale: troverete un bambino avvolto nelle fasce e coricato in una mangiatoia».
E in quell'istante si raccolse presso l'angelo uno stuolo dell'esercito celeste, che lodava Dio e diceva: «Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini di buona volontà».

dal Vangelo di S. Luca, Cap. II, 1-14

(citazione)

In un discorso fatto in occasione della Beatificazione di Nunzio Sulprizio, un giovane fabbro napoletano di 19 anni, elevato agli onori degli altari, la domenica 1° dicembre scorso, il Papa Paolo VI ha detto:
«A voi lavoratori, questo povero e sofferente vostro collega porta un grande messaggio. Dice il messaggio di Nunzio Sulprizio, innanzi tutto come la Chiesa pensi a voi, come abbia di voi stima e fiducia, come veda nella vostra condizione la dignità dell'uomo e del cristiano, come il peso della vostra fatica è titolo per la vostra promozione sociale e per la vostra grandezza morale. Dice ancora il messaggio di Nunzio Sulprizio, come il lavoro ha sofferto e come tuttora abbia bisogno di protezione, di assistenza e di aiuto per essere libero e umano e per consentire alla vita la sua legittima espansione. Vi dirà ancora come il lavoro non possa separarsi da quel suo grande complemento che è la religione... E' la religione che dà il respiro, cioè la interiorità, la purificazione, la nobiltà, il conforto alla fatica fisica e alla attività professionale; è la religione che umanizza la tecnica, la economia e la socialità... ».

Paolo VI


Problemi del carovita

Le cause del carovita

immagine:  Problemi del carovita La definizione delle cause che hanno dato luogo al fenomeno del carovita assume un carattere quasi necessariamente schematico perché vi confluiscono fattori ed elementi che non si possono riportare ad esperienze o a rapporti che nascono da situazioni singole o da esperienze di eco-nomia individuale.
Questo è un fenomeno completamente dipendente da tutte le forze economiche che intervengono sul mercato. Non si può far pesare su uno o due fattori l'aumento dei prezzi. Si possono individuare parecchi fattori tra di loro complementari, di cui qualcuno incide più direttamente ed altri in maniera meno profonda.
Le cause fondamentali dell'aumento del costo della vita vanno distinte tra quelle che derivano dalle condizioni produttive e quelle che derivano da cause monetarie.
Nel settore produttivo c'è bisogno di una più razionale utilizzazione delle risorse disponibili, mentre per le cause di carattere monetario c'è bisogno di un più accurato esame e di un intervento più energico da parte dello Stato.
Le fonti dell'inflazione possono essere distinte così:
1 - aumento della quantità di carta moneta o di assegni e cambiali o della loro circolazione.
In una economia in sviluppo, in cui la produzione aumenti in maniera considerevole è necessaria una quantità più ampia di moneta per far fronte al commercio che da tale aumento di produzione deriva. Quando però l'aumento della moneta (o della sua circolazione) sia superiore alle necessità della produzione, allora si provoca una corsa all'inflazione che va a diminuire il potere di acquisto della moneta stessa.
In questa direzione ha giocato negli ultimi anni l'azione delle banche. Riconducibile a questa situazione è pure la spesa dello Stato e degli altri Enti Pubblici quando ad essa non corrisponde un proporzionale aumento della quantità di beni e servizi.
2 - mercato di tipo monopolistico.
La configurazione monopolistica del mercato permette a certe grandi imprese di fissare il prezzo dei loro prodotti ad un livello notevolmente più alto del costo di produzione.
3 - aumento dei salari maggiore dell'aumento della produttività.
Questo è il punto su cui i ricchi ed i padroni insistono in modo marcato quando si tratta del problema del costo della vita.
Il risultato della produzione nazionale si ripartisce tra salari e profitti. Da ciò risulta che le due componenti, salari e profitti, sono tra di loro concorrenziali nell'ambito della divisione del guadagno realizzato. Significa che gli aumenti salariali debbono andare a diminuire gli utili degli im-prenditori (rendita - interesse - profitto). Ma questo non succede perché le imprese, cogli aumenti salariali concessi, non diminuiscono i profitti, ma bensì aumentano i prezzi.
Da parte padronale, seguendo la logica del dio-Profitto di non concedere mai niente, si dice che l'aumento dei salari deve dipendere dall'aumento della produttività. Il discorso a questo riguardo è il seguente. In tempi di aumenti di produttività è accaduto che la parte padronale non solo non ha concesso aumenti anche quando la produttività è aumentata, ma ha anche negato l'aumento dei salari in proporzione all'aumento della produzione. Infatti soltanto a cavallo del '62 si sono avuti aumenti leggermente superiori alla produttività media.
E' successo però che mentre l'aumento della produttività dovrebbe provocare una diminuzione dei prezzi, i prezzi non sono stati diminuiti. Si sono invece ottenuti profitti più ampi.
Allora: in tempi di aumento della produttività si realizzano maggiori guadagni, mentre in tempi di diminuzione o di stabilità non si vogliono concedere aumenti. Richiedere ora aumenti salariali superiori alla produttività media vuol dire recuperare parzialmente quella parte di profitti che in tempi di aumento della produttività non andò nella busta degli operai.
Concludendo, non sono le richieste di aumenti salariali che provocano l'inflazione, questa dipende piuttosto dal fatto che 'aumento del salario viene portato ad aumentare i prezzi.
4 - deficit della bilancia commerciale.
5 - inadeguato sistema distributivo.
La rete di distribuzione accusa disfunzioni gravi specialmente per i prodotti alimentari. Sia a causa dell'irrazionalità della rete di piccoli esercizi di vendita e sia da una sempre più grande quantità di prodotti collocati a mezzo di forti spese pubblicitarie.
6 - speculazione fondiaria e borsistica.
7 - produzione agricola e distribuzione dei prodotti.
Due annate sfavorevoli hanno costretto la produzione agricola a livelli inferiori a quelli di due anni fa. Oltre a queste componenti climatiche ha giocato anche la mancanza di una ordinata politica agraria. Oltre a ciò il settore distributivo dei prodotti agricoli scoraggia la categoria contadina.
8 - formazione e rafforzamento di una generale psicosi inflazionistica.
Spesso basta un allarme ben dato per costringere il comportamento dei consumatori e dei produttori verso decisioni prefissate. Questo rientra nel campo di «guerra psicologica» che da talune parti si è levata contro l'azione degli organi centrali dello Stato (vedi ad esempio la fuga dei capitali all'estero, la mancanza di zucchero sul mercato ecc.).




m. b.

Problemi del carovita

Perché il carovita è pagato dagli operai

Vi sono dei motivi precisi per cui il caro-vita grava maggiormente, se non esclusivamente, sulle classi a minor reddito, cioè sugli strati più poveri della popolazione.
Cerchiamo di indicarne schematicamente i principali :
- Utilità del reddito e quindi il sacrificio della spesa diminuisce con l'aumentare della disponibilità economica (mille lire di spesa per un operaio importano un sacrificio molto più grande che mille lire di spesa per un professionista);
- Per chi dispone di redditi appena sufficienti alle necessità vitali, un aumento dei prezzi equivale necessariamente ad una riduzione dei consumi essenziali (vitto, vestiario, ecc.). Per chi ha redditi superiori, invece, un aumento del costo dì vita comporta, soltanto la riduzione della quota destinata al risparmio, o, al massimo, al soddisfacimento di consumi voluttuari;
- Aumento dei prezzi equivale ad aumento dei profitti, e quindi, per la classe imprenditoriale il carovita crea, anziché una diminuzione, talvolta un incremento del reddito, che viene realizzato a tutto danno dei lavoratori.
- Mentre i redditi professionali si adeguano facilmente ali'aumento del costo dì vita, ì redditi fissi hanno minore facilità dì variare. Un aumento salariale presuppone una serie di lotte che si concluderanno soltanto quando, ormai, il costo di vita è già aumentato e, anzi, il caro-vita sta ancora salendo.
Si dice a questo proposito che, mentre i prezzi salgono con l'ascensore, i salari possono, al massimo, salire con le scale.




S. R.

Una domanda ai padroni del vapore

Il padronato italiano cerca di addossare ai lavoratori la responsabilità morale dell'aumento del costo della vita. La confindustria afferma:
«I prezzi sono aumentati perché negli anni 1962 e 1963 l'aumento dei costi del lavoro (salari) ha superato l'aumento della produttività del lavoro stesso».
Questa affermazione è da contestare perché in regime di libera concorrenza l'aumento dei salari dovrebbe provocare principalmente non l'aumento dei prezzi ma la diminuzione dei profitti; comunque, tenendo per buone le tesi da essi sostenute, si chiede agli industriali:
«Perché negli anni precedenti al 1962, quando l'aumento della produttività era di gran lunga superiore ali'aumento del salari, i prezzi non sono mai calati, ma anzi hanno sempre continuato lo stesso a crescere»?


E.V.


La F.E.R.V.E.T.

La Fervet è una vecchissima azienda viareggina. E' gloriosa per antico lavoro metalmeccanico, per crisi e periodi di prosperità, per lotte sindacali con successi e sconfitte. Chi non ricorda l'ultima azione sindacale di due anni fa arrivata fino all'occupazione dell'azienda da parte di quasi tutte le maestranze, prigioniere volontarie per quindici giorni, per difendere il loro lavoro e affermare i loro diritti?
Da diversi anni l'azienda è proprietà di una società che ha sede centrale e azienda modello a Bergamo. Vi sono altre aziende in Italia dipendenti dalla stessa società. Sembra che quella di Viareggio sia la più malmessa e male attrezzata fino al punto che già da anni corre voce che la Società avrebbe tutta l'intenzione di sfarsene. Corre voce che il terreno occupato dall'azienda è terreno fabbricativo per l'espansione a est della città e, a voce comune, viene valutato oltre un miliardo. Può darsi che siano voci senza fondamento, sta il fatto però che l'azienda non ha quello sviluppo che dovrebbe avere, manca di criteri moderni sia nell'attrezzatura che nella condotta del lavoro, e la condizione operaia è una delle più dure e pesanti, tirata avanti con mentalità ristrette, con stanchezza e provvisorietà.
Attualmente l'azienda soffre per l'andarsene, in cerca di miglior vita e di maggior guadagno, delle maestranze più quotate. I vecchi operai, quelli allenati a quel duro lavoro, pratichi della vecchia attrezzatura, capaci di arrangiarsi con occhio esperto e braccia pronte, se ne vanno alla spicciolata o anche a gruppi, appena capita la buona occasione. Vanno a vendere le loro braccia e la loro capacità a chi meglio li paga e a chi forse l'apprezza, anche umanamente, di più. Ne hanno tutto il diritto.
Logicamente però quelli che restano rimangono aggravati di tutto il lavoro perché i nuovi arrivati (e sono gente di campagna in gran parte con nessuna qualificazione e preparazione) non possono aiutare a un ritmo di lavoro, come necessariamente dev'essere perché la mole della produzione non rimanga al di sotto dello stabilito e con percentuali di cottimi irrisorie.
E questo problema rimane anche se, fino a sette mesi, con progressione sempre più bassa, i cottimi delle squadre con nuovi arrivati vengono favoriti con particolari percentuali.
Non si sa bene se l'azienda lo sappia, lo ignori volutamente o se addirittura speculi anche su questo fenomeno: sta il fatto che gli anziani devono spremere se stessi fino all'incredibile e devono costringere i nuovi arrivati a piegarsi alla frusta: ma ne derivano risentimenti e rancori, insopportazioni e maltrattamenti fra gli stessi operai, fino al punto che quella condizione di lavoro li rende nemici fra loro, uno contro l'altro.
Ultimamente certe briciole di aumento che sono state concesse, non fanno che aggravare questa situazione, perché per conseguire quell'aumento occorre praticamente un lavoro impossibile, avendo legato l'aumento a un aumento di produzione. E' chiaro che ogni operaio cerca di arrivarci a quell'aumento spendendo tutte le proprie energie, ma quel miglioramento economico, in definitiva, stanca e schiaccia l'operaio e aumenta i profitti dell'azienda.
Le Ferrovie dello Stato passano i carri merci ferroviari da riparare con un tariffario di 1.400 lire l'ora. La paga di un operaio qualificato non supera le 209 lire l'ora. A parte tutte le altre fonti di profitto (quante saranno?) rimane impressionante la minima parte che va a quell'operaio sempre sporco di ruggine e di morca, costretto a lavorare in condizioni disagiate, con una vecchia attrezzatura, andando quasi giornalmente incontro a infortuni gravi, in cottimi senza respiro, con un trattamento umano assai discutibile perché alla Fervet si dice che non manchino spesso parole offensive, modi di fare minacciosi, metodi tutt'altro che rispettosi della dignità di un uomo che lavora. Perché l'operaio non è giusto che lavori in una condizione tale che se se ne va ha tutta l'impressione di fare un piacere ai dirigenti.
Si potrebbe anche dare un'occhiata al refettorio e, con rispetto parlando, anche ai luoghi di decenza dove l'igiene non c'è nemmeno per un ricordo lontano, ma sarà per un'altra volta.
E' certamente una difficoltà che la sede centrale sia così lontana, questo fatto comporta necessariamente complicazione di rapporti per una non immediata presenza di responsabilità. Non può bastare il telefono per impostare seriamente problemi e cercarne la soluzione: mancherà sempre la giusta e necessaria presa in considerazione dei motivi locali e congiunturali e quindi succederà che dal telefono vengano spesso soltanto delle disposizioni prefabbricate e quindi assolute.
Un tempo le rappresentanze operaie avevano la possibilità di conferire e discutere i problemi immediatamente col direttore centrale perché si faceva un dovere di trattare direttamente con loro. Invece, da diversi anni la rappresentanza operaia deve trattare con la direzione locale la quale poi - e spesso per telefono - riferisce alla direzione centrale e aspetta istruzioni.
In ogni modo crediamo che molte cose potrebbero migliorare se veramente fosse soltanto malignità popolare che il miliardo e passa dell'area fabbricabile dove lavorano duecento operai a riparare rottami di carri ferroviari faccia gola alla Società F.E.R.V.E.T. di Bergamo.





d.S.

Lettere alla redazione

Pubblichiamo la lettera di precisazione di una Onorevole, che pensiamo interpreti la situazione di tutti i parlamentari, i quali sicuramente avranno tutti le stesse indennità parlamentari, una segreteria da stipendiare, una famiglia da mantenere, e un partito al quale passare quote fisse di finanziamento ecc.
Pubblicammo quel foglio affisso a un albo operaio, non per fare un attacco agli onorevoli parlamentari tutti ugualmente accomunati in un doloroso disprezzo da quel foglio che metteva delle cifre comparative di situazioni economiche operaie impossibili con cifre più che sbalorditive per-cepite (sempre secondo le informazioni di quell'operaio) dai rappresentanti politici del popolo, ma per indicare uno stato d'animo molto diffuso di sfiducia e di stanchezza, determinato dall'impressione che la sicurezza abbondante dei parlamentari si dimentichi dell'impossibile vita economica popolare.
Accettiamo la precisazione fatta di cifre e doverosamente e volentieri la pubblichiamo. Rimane però ugualmente l'impressione di quella sicurezza, anche se meno abbondante, che può far dimenticare, cioè può non far tenere presente nella giusta misura e con il dovuto impegno, un problema di onorevole esistenza che i deputati e i senatori si sono impegnati a cercare di dare al popolo che rappresentano.
Evidentemente l'invito alla fedeltà di un impegno e di un dovere è rivolto a tutti gli Onorevoli a nome di tutti gli operai. Anche per diminuire fino a togliere del tutto quell'impressione di distacco e di lontananza, per non dire peggio, tra il povero popolo e i suoi rappresentanti parla-mentari, così avvertita e sofferta fra la povera gente che sente di essere apprezzata soltanto al tempo delle elezioni.
Rev.do don Sirio,
Ho letto sul suo giornale una notizia che evidentemente deriva da una informazione non esatta. Queste sono le indennità parlamentari ultime di cui sono in possesso, pagate in 2 rate:
il 10-10 L. 363.900
il 21-10 L. 65.000
L. 428.900
Come vede non sono 700.000!
Se lei da questo toglie, come a me accade, ogni mese 200.000 lire di segreteria e spese postali, mantenere me a Roma e la famiglia a Lucca, nonché il finanziamento doveroso che diamo al Partito, vedrà che anche le nostre ritenute non sono trascurabili. Non per fare del... vittimismo che sarebbe fuori posto, ma per l'esattezza delle cose. E questo glielo dice una persona che apprezza lei e la sua opera! Cordialmente, e non me ne voglia male!

Maria Eletta Martini

P.S. - Tenga poi conto che fino a ottobre abbiamo avuto solo acconti e non ho mai sentito parlare {perché sono nuova dell'ambiente) di 14 mensilità.
Ciò non significa affatto, credo che lei mi conosca abbastanza, che le rendite degli operai debbano esser prese e conservate così.



Le medaglie di lunga navigazione

Il 4 dicembre si è svolta al Politeama la cerimonia della consegna delle medaglie d'oro di lunga navigazione. Trecentocinquantotto medaglie attestanti almeno trenta anni di mare, tante che la consegna ha dovuto proseguire il giorno 5 in Capitaneria di porto, parecchie purtroppo alla memoria; medaglie che si aggiungono a quelle consegnate a molti altri anziani marittimi in precedenti occasioni, gli anni passati.
Erano presenti tutte le autorità cittadine e il viceprefetto in rappresentanza del governo, e la cerimonia era semplicissima: i nomi venivano chiamati uno alla volta, i vecchi navigatori, o le vedove, o un familiare, andavano al banco della premiazione, prendevano la medaglia, stringevano la mano al Comandante di porto. Lo spettacolo era suggestivo e commovente, il lungo appello, la consegna delle medaglie, il governo che si ricorda degli immensi servigi di chi una vita intera ha consumato logorato sul mare.
Una medaglia però non basta, lo Stato deve anche pensare a dare i mezzi per vivere decorosamente, sennò la cerimonia può quasi diventare una presa in giro; molti che hanno avuto la medaglia a quest'ora l'hanno già venduta per bisogno. Le pensioni del mare sono infatti irrisorie. I pescatori, fuori che quelli delle grandi barche che fanno la pesca di Atlantico, NON PASSAN MAI - nemmeno se padroni, motoristi o capobarca col massimo di anzianità - ventun mila lire al mese di pensione; la situazione delle altre categorie di marittimi è un po' migliore, specie per le grosse navi di lungo corso, ma nella massima parte dei casi si tratta sempre di somme di gran lunga insufficienti.
La situazione può essere riassunta con una sola cifra: a Viareggio complessivamente ci sono oltre mille pensionati del mare; LA META' DI ESSI NON PRENDE PIÙ' DEL MINIMO DI LEGGE, QUINDICIMILA LIRE AL MESE. Dare una medaglia, un riconoscimento simbolico, a chi ha portato il lavoro e la bandiera italiana nei quattro angoli del mondo è giusto e bello, ma non deve essere un modo per lavarsi le mani della sua vecchiaia.





E. V.

Kennedy

immagine:  Kennedy E' il commento tragico ma anche di insegnamenti terribili, che più di ogni altro mi ha impressionato. Kennedy e stato assassinato il 22 novembre. Sei giorni dopo, un ragazzo di Brescia, di 12 anni, alunno di seconda media, si è sparato tre colpi di pistola al viso, nel buio della sera, lungo un marciapiede della città. Gli è stato trovato nella tasca un biglietto spiegazzato, dove aveva scritto: "Sono stanco, non ce la faccio più. Sono sconvolto per la morte di Kennedy".
Un ragazzo di 12 anni. Quella tragedia di Dallas lo ha sconvolto, gli ha fatto oppressione spaventosa fino a diventargli una stanchezza impossibile a sopportarsi.
E è voluto andarsene via da questo mondo che gli era apparso ormai soltanto orribile, più orribile della morte cercata a 12 anni con tre colpi di pistola al viso.
E' facile dire: dev'essere stato un ragazzo anormale. Può darsi. Eppure mi sembra di capirlo tanto questo povero ragazzo. E mi sembra perfino di vedere in lui come un simbolo di tutto un enorme e angoscioso problema.
L'uccisione di Kennedy ha chiuso questo '63 in profonda tristezza, togliendo via con lui, sopprimendolo violentemente, tanta novità di ideali, immense, fresche speranze, quasi come una giovinezza dell'umanità. Perché un clima nuovo, aperto e sereno, si era cominciato a respirare e una tranquilla fiducia riversava sul mondo una viva sicurezza di pace.
Kennedy è stato uno di questi uomini maturati a fatica dal seno della storia, espressi da tanta angoscia umana, come germoglio nuovo da un tronco antico, sfaldato dagli anni e dalle tempeste. Poi una grandinata spietata e la desolazione del tutto distrutto e l'enorme e quasi impossibile fatica, a ricominciare da capo, a tornare a sperare e ad avere fiducia.
Perché chi ha ucciso Kennedy ha voluto uccidere una visione nuova dell'esistere umano, un aprirsi a un distendersi sereno dei rapporti fra gli uomini su un piano individuale, sociale e mondiale, una volontà decisa e risoluta di pace fra gli uomini.
Quel povero Oswald e quell'altro disgraziato di Ruby non sono che degli sciagurati schiavi a servizio di interessi spietati. Sono gli automi comandati a distanza dall'affarismo anonimo che non tollera intralci al proprio strapotere e non sopporta limitazioni alla ragione economica.
C'è ancora troppa gente negli Stati Uniti e nel mondo che sente come pericolo il liberarsi progressivo dell'umanità dalla schiavitù del servire soltanto agli interessi di classi privilegiate. E il sollevarsi di strati umani al livello di dignità dì esistenza, lo sente e lo giudica come una marea che sale minacciosa, e vede con sofferenza e insopportazione l'aprirsi del mondo alla speranza e alla fiducia. Di qui il conservatorismo più chiuso e intransigente. Le forme più accanite di oscurantismo e di oppressione. Il ricorso alla forza economica per creare arginature politiche e socialoidi. Il razzismo fino alle forme più inumane. Il colonialismo fino all'ultimo sangue..
E siamo, in ordine di cronaca e di massimo intervento, alle fucilate di Dallas che hanno spazzato via Kennedy, giovane di anni e di cuore, fresco di ideali, pronto e aperto a una visione serena della vita, impegnato a cercare un respiro alla convivenza umana libero e fiducioso.
L' umanità si e trovata di colpo più povera, più sola, più abbandonata a se stessa, più indifesa. E forse di più assai in balìa di forze oscure, di interessi spaventosi, di egoismi pronti a tutto. Perché ormai Kennedy era apparso un uomo chiaro, semplice e schietto. Capace di decisioni e di rischi senza limiti, ma, quasi, ci verrebbe da dire, senza politica, senza raggiri tenebrosi o per coprire manovre sotterranee.
Certamente molti lo giudicavano un ragazzone che faceva il Presidente degli Stati Uniti come se giocasse ai birilli, un idealista pericoloso, un novatore irresponsabile.
Erano gli stessi che "sistemavano" (e sistemano ancora) Papa Giovanni, dicendo che era un povero vecchio arteriosclerotico, un idealista pericoloso, un innovatore sentimentale e intenerito dai sogni della pace nel mondo.
E prima il vecchio e poi il giovane, offerti alla ricerca appassionata di un' umanità rappacificata e unita, se ne sono andati.
I poveri, i lavoratori, i negri, gli umili, chi si conforta con la speranza di un domani migliore, chi si incoraggia con una fiducia (e a volte sembra così pazza e assurda) nel trionfo del bene, della giustizia, della pace... i popoli fatti di povero popolo, noi povera gente (una volta ci chiamavano carne da cannone e ora non so come si potrebbe essere chiamati) si ha tutta l'impressione e il tremendo sconforto di ritrovarci di nuovo soli e in balia del vento.
E la fatica non è poca, perché la stanchezza (dura da secoli e da millenni) è quasi infinita.
Quel ragazzo non ce l'ha fatta a riprendere il cammino e a ricominciare a sperare. In quei sei giorni forse non è riuscito a ritrovare un po' di fiducia, perché il mondo gli dev'essere apparso soltanto malvagio, gli uomini soltanto cannibali, l'umanità una gabbia di pazzi criminali. E gli ideali un'irrealtà, la giustizia un impossibile, la pace un assurdo.
A 12 anni, alunno della seconda media. Tre colpi di pistola al viso.
Ma è il segno chiaro e scoperto fino a una misura tragica, del bisogno che l'umanità ha, per sopravvivere, di un clima di serenità e di pace, di una realtà concreta di giustizia e di Amore e di poter avere fiducia negli uomini.
Sono i grandi ideali cristiani. Anche per questa Redenzione dell'umanità e della sua storia Gesù Cristo è morto in Croce. E da allora, da dopo di Lui, il morire non è una sconfitta per un trionfo della sopraffazione e della violenza, ma ogni volta che la sopraffazione e la violenza uccide, segna sempre più il suo destino di malvagità, di odio, di perdizione.
Non posso non vedere in questa luce di speranza e di fiducia l'uccisione di Kennedy, cristiano e cattolico, e non sentire nel più profondo dell'anima il riaccendersi di un impegno di fedeltà davanti a Dio e davanti agli uomini a quegli ideali di pace e di giustizia e di Amore che sono i valori più veri ed essenziali dell'umanità, arricchiti, fino al valore infinito, dal Sacrificio di Cristo e da tutti quelli che Lo hanno seguito sullo Sua strada.




d. S

Previdenza sociale

Per parlare dei trattamenti minimi di pensione, è bene vedere prima, in generale, i requisiti richiesti per ottenere la pensione di vecchiaia, o di invalidità o quella di riversibilità. Questo per inquadrare meglio la questione.
REQUISITI PER LA PENSIONE DI VECCHIAIA
Avevamo già accennato che per aver diritto alla pensione di vecchiaia occorre:
1) età: avere compiuto 60 anni per gli uomini, 55 per le donne;
2) anzianità assicurativa: devono essere trascorsi almeno 15 anni dal giorno del primo contributo versato;
3) minimo di contribuzione: devono essere stati versati a favore dell'assicurato almeno 780' contributi settimanali, per i lavoratori retribuiti a settimana, o 180 contributi mensili, per lavoratori retribuiti a mese. In pratica bisogna aver lavorato complessivamente, come minimo, quindici anni.
REQUISITI PER LA PENSIONE DI INVALIDITÀ'
E' evidente che per aver diritto alla pensione di invalidità è necessario prima di tutto avere delle infermità tali da non consentire di svolgere normalmente il proprio lavoro. Infatti è richiesto:
1) stato di invalidità: la capacità di guadagno del lavoratore assicurato, deve essere ridotta in modo permanente per infermità o difetto fisico o mentale a meno di un terzo del guadagno normale per gli operai; a men della metà per gli impiegati;
2) anzianità assicurativa: devono essere trascorsi almeno 5 anni dal giorno del primo contributo versato;
3) minimo di contribuzione: i contributi accreditati a favore dell'assicurato devono essere, come minimo, n. 260 settimanali, per i lavoratori retribuiti a settimana, o 60 mensili per i lavoratori retribuiti a mese;
4) negli ultimi cinque anni prima della presentazione della domanda, bisogna che risulti versato almeno un anno di contribuzione.
In poche parole: bisogna stare poco bene di salute in modo permanente (non soltanto essere ammalati in via di guarigione), aver lavorato cinque anni nella vita e che non siano trascorsi più di quattro anni dall'ultimo anno di lavoro.
REQUISITI PER LA PENSIONE DI RIVERSIBILITÀ'
In caso di morte del già pensionato' per vecchiaia o invalidità, spetta alla vedova metà della pensione del defunto e se ci sono figli minori o inabili al lavoro la pensione è aumentata di un decimo per ogni figlio a carico. Ma la pensione di riversibilità spetta anche ai superstiti di coloro che muoiono prima di aver avuto la pensione, e per questo occorre che:
A) l'assicurato alla data della morte avesse avuto i requisiti richiesti per la pensione di invalidità;
B) l'assicurato alla data della morte avesse avuto i requisiti richiesti per la pensione di vecchiaia (tranne il requisito dell'età).
A chi ha i requisiti richiesti per una di queste tre possibilità di pensionamento viene liquidata la pensione in base al valore dei contributi versati. E come si vede in tutti i casi hanno importanza gli anni e il numero dei contributi, non il loro valore. Ma se il numera dei contributi è sufficiente in molti casi, il loro valore può essere così basso da dar diritto a pensioni di poche migliaia di lire. La legge (art. 2 della legge 12.8.1962) prevede, allora, che non possono essere liquidate pensioni di importi inferiori a L. 12.000 per i beneficiari di età inferiore ai 65 anni e a L. 15.000 per coloro che hanno superato i 65 anni. Perché sarebbero moltissimi i casi di pensionati con quattro, cinque o otto mila lire men-sili.Prendiamo, per esempio, quei lavoratori che hanno avuto la pensione per invalidità (e fra uomini e donne ce ne sono tanti). Questi possono aver versato contributi per poco più di cinque anni e aver maturato 7-8 mila lire mensili di pensione. Come ci sono stati tanti lavoratori anziani che avevano lavorato prima o dopo guerra con retribuzioni molto basse e hanno avuto diritto alla pensione di vecchiaia, ma quasi sempre al di sotto dell'importo di L. 20.0100 mensili Quasi tutte le domestiche che sono arrivate alla pensione non raggiungono le l0mila lire (come importo base maturato). E gran parte delle pensioni ai superstiti, delle vedove, essendo la metà di quelle di vecchiaia dei mariti sono di importi bassissimi, (ci sono casi di L. 2.200-3.000). Se il marito aveva L. 18.000 a loro spetta L. 9.000; se aveva L. 16.000 spetterebbe L. 8.000 e così via. Tante altre pensioni sono state raggiunte continuando a versare volontariamente i contributi dopo aver lavorato per qualche anno. Ma quasi tutti i prosecutori volontari applicano le marche più basse e di conseguenza anche i contributi base sono bassi e la pensione è minima.
Tutti questi casi, e sono tanti, beneficiano' dei minimi di pensione stabiliti dalla legge, cioè prendono di più di quello che avrebbero avuto con i loro versamenti. Invece di 5-8-lOmila lire hanno L. 12.000 e Lire 15.0001 (e sono sempre insufficienti,,).
Tutte queste integrazioni sono a carico del Fondo comune; Fondo che è alimentato dai contributi dello Stato, dei datori di lavoro, dei lavoratori.
Così ci si spiega come viene impiegata una parte delle trattenute mensili dei lavoratori: a beneficio di tutti quei pensionati che durante la loro vita di lavoro hanno versato, per motivi vari molto poco.




E. C.

La gratifica natalizia

Natura della Gratifica. Per quanto non prevista in modo generale dalla legge, è stabilita da tutti i contratti collettivi, oltre che da alcune leggi per determinate categorie di lavoratori.
Essa va considerata come un supplemento di retribuzione, ossia come una retribuzione annuale, a cui hanno diritto tutti i lavoratori subordinati.
Deve essere corrisposta alla vigilia di Natale e deve essere registrata sul libro paga.
Misura della Gratifica. Occorre verificare il contratto collettivo di categoria. In linea generale le misure sono le seguenti: Industria: Operai ed Intermedi, 200 ore di retribuzione globale ordinaria; Impiegati: una mensilità di stipendio.
Essa si calcola sulla retribuzione ordinaria di fatto, comprendendosi per ciò l'indennità di contingenza, di guadagno di cottimo (od il mancato cottimo 5% ), l'indennità di mancata mensa, terzo elemento.
La retribuzione ordinaria da considerare è sempre quella in atto nel mese di dicembre, anche se durante lo anno, tale retribuzione ebbe variazioni.
Per i cottimisti si considera il guadagno medio delle ultime 4 settimane o due quindicine.
Per coloro che, per aver iniziato il loro rapporto di lavoro nel corso dell'anno, non avessero maturato il diritto alla intera gratifica spetteranno tanti dodicesimi della gratifica natalizia, per quanti sono i mesi interi di servizio prestato. La frazione di mese superiore a 15 giorni viene considerata mese intero.


Don Sirio scrive ai suoi amici

Cari amici,
Non mi sembra mai d'avere scomodato i miei amici, le persone che ho conosciuto, che ho incontrato sulla mia strada di prete, per chiedere loro dei soldi, non soltanto per me e le cose mie, questo si capisce, ma nemmeno per quelle che normalmente si chiamano «le opere». Quel poco che posso aver fatto me lo sono cavato di bocca, come si suol dire, o se aiuti ne ho avuti, mi sono stati dati sempre spontaneamente.
Ma ora ho pensato che sia giusto chiedere qualcosa agli amici, a chi è vicino al mio sacerdozio e segue con simpatia quel poco che riesco a fare.
Chiedo un po' di aiuto perché questo giornale «il nostro lavoro» che vuole essere una presenza attiva e una testimonianza impegnata di Cristianesimo nel mondo operaio, possa continuare a essere pubblicato.
Il giornale viene diffuso senza essere pagato perché ciò che vuol essere Cristianesimo non deve essere venduto né comprato: bisogna che sia dono, offerta, Amore, bontà...
Le Commissioni Interne delle aziende si sforzano con buona volontà di raccogliere le offerte degli operai, ma non tutti possono essere sensibili a questo dovere di aiutare un foglio, anche se è tutto per loro e i loro problemi.
D'altra parte il lavoro tipografico e la carta vanno pagati.
Allora ho pensato che i miei amici mi potrebbero aiutare... se sono miei amici, cioè se seguono con simpatia il mio sacerdozio, approvano la mia ricerca di presenza nel mondo del lavoro, e se specialmente la condividono in modo da non lasciarmi solo, ma anzi vogliono parteciparla, fino al punto di darmi la certezza che è «insieme» che cerchiamo di essere presenti nei problemi umani e cristiani del mondo operaio.
Sarebbe cosa buona riuscire ad avere un certo numero di amici disposti ad aiutare ogni mese «il nostro lavoro» con mille lire. Ma forse è troppo?
Allora va bene anche un semplice segno di simpatia, di solidarietà che evidentemente non avrebbe solo valore per me, ma per tutta la classe operaia. Spesso si ha tanto bisogno di essere incoraggiati!
Con la più viva simpatia e gratitudine.




don Sirio

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Di questo numero ne sono state tirate 4.000 copie
Hanno collaborato a questo numero : Angelo Barsella - Moreno Bucci - Elena Cinquini - don Sirio - Enrico Vettori - Sandro Ricci.
direttore responsabile : Sirio Politi - Lungo Canale Est 37, telef. 46.455 - Viareggio
Autorizzazione del Tribunale di Lucca n. 173 del 14 Giugno 1963
Tipografìa A. Bertolozzi - Viareggio - Telef. 25 23


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