IL NOSTRO LAVORO: Il NL - Anno 2 - N. 6 Viareggio - Giugno 1964

È appena un anno

immagine:  È appena un anno E' passato un anno dalla Sua morte. E noi i poveri, gli umili, quelli che non contano niente ecc., ne portiamo ancora nell'anima un'impressione di sgomento, di smarrimento. Come di solitudine. E' successo come un accorgersi che la vita è più dura, più pesante, più insopportabile.
Perchè Papa Giovanni era un uomo capace di rendere l'esistenza umana più bella, più serena, più vera. Quindi più facile a viversi perchè la fiducia nella bontà della vita e la fiducia negli uomini è come quando splende il sole e il cielo è azzurro: tutte le cose sono più belle.

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Un vecchio di ottant'anni, in una posizione pesante d'immense responsabilità, investito di una missione rivolta a tutto il Cielo e a tutta la terra, prigioniero fino alla soffocazione di tradizioni oppri-menti, figlio di contadini, anima di fanciullo, semplice e umile come i poveri, ha risvegliato nel cuore degli uomini i sentimenti della bontà, della dolcezza paterna, della gioia della pace.

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Vicario di Cristo, pastore universale, padre di tutti gli uomini, ha fatto respirare l'aria buona del Vangelo a tutti gli uomini di buona volontà. Perchè tutti gli uomini in cerca di verità, di giustizia, di pace non hanno potuto non incontrarsi con Lui e non sentire la bontà del Suo cuore e la schietta e sincera semplicità della Sua anima, testimonianza fedele del Mistero cristiano fra gli uomini.

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Poco più di tre anni di pontificato, eppure ha fatto cose immense perchè era uomo libero, spontaneo, semplice, buono. Ha scosso dalle fondamenta l'apparato burocratico della Chiesa disorientandolo con ventate d'aria fresca e nuova, come di primavera. E alla sua morte il mondo cristiano è apparso come un campo zappato, arato, pronto per una semina promettente.

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Con Lui il popolo, il buon popolo dei contadini e del mondo operaio, è tornato, per così dire, con la sua saggezza e meraviglioso buon senso, a illuminare il mondo e a riscaldarlo di un dolce tepore di famiglia, di pane casalingo, di acqua fresca.
E è stata una gran gioia per tutti.

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La povera gente gli ha voluto bene perchè ha sentito che Papa Giovanni era « povera gente»: quella che non conta nulla, che non sa darsi importanza, che fa tutto (perfino miracoli di Amore e di Bontà, e miracoli di pazienza, di sopportazione e di pace) con normalità, come la cosa più normale del mondo. La povera gente aveva capito che Papa Giovanni era uscito dal suo cuore e era sangue del suo sangue. Per questo quando è morto, la povera gente ha pianto tanto: si era spento il cuore della povera gente e raggelato il sangue delle sue vene.
E la povertà della povera gente è diventata terribilmente più povera e sola.

* * *
Sono molti quelli che non Gli hanno voluto bene a Papa Giovanni? Non so. Può darsi, se son molti gli uomini che pensano soltanto a se stessi, che importa loro soltanto dei propri interessi e privilegi. Se sono molti quelli che invece di servire Gesù Cristo, di Gesù Cristo si servono per i propri scopi. Se sono molti quelli che vogliono che il papa sia come un monarca, una potenza nei mondo, un politicante, un diplomatico, un furbacchione... invece che Gesù ancora visibile fra gli uomini, il Vangelo vivente nel mondo, l'Amore ad occhi chiusi, la Bontà senza saggezze, la povertà più popolare, gli uomini tutti uguali, tutti figli di Dio, la pace, la pace, la pace... allora sono molti quelli che non hanno voluto bene a Papa Giovanni.

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E' vero che non ha fatto grandi cose, non ha risolto i gravissimi problemi che travagliano l'umanità , non ha cambiato gli uomini e la faccia della terra... però tanti e tanti uomini in Lui si sono sentiti affratellati, si sono scoperti più buoni, capaci di volersi bene e di vivere in pace. Ha dato coraggio, ha risvegliato speranze, rianimato la fiducia. Ha fatto del bene.

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La sua figura buona e tranquilla - è appena un anno - sembra già un sogno lontano, come qualcosa d'impossibile per questo mondo che è quello che è. Allora ce ne siamo appena accorti, tant'era lo stupore e la dolce sorpresa, poi lo sgomento per la morte così improvvisa e così sofferta e poi un ricordo di dolorosa nostalgia, come di cose ormai passate, che non ritornano più.
Diciamo che è stata cosa bellissima, meravigliosa. E il cuore è rimasto in una profonda e penosa voglia di Lui. L'anima in un bisogno terribile, quasi da non sapere come fare, senza di Lui. Povero vec-chio Papa Giovanni!... E' un anno appena, ma la solitudine ci sta crescendo intorno, e specialmente dentro di noi. Perchè Papa Giovanni era Papa Giovanni...


don Sirio



Il gran cuore di Papa Giovanni

«In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri.
Ogni offesa e violazione del quinto e del sesto precetto del Decalogo santo: il passar sopra agli impegni che conseguono dal settimo precetto (1): le miserie della vita sociale che gridano vendetta al cospetto di Dio: tutto deve essere chiaramente richiamato e deplorato. Dovere di ogni uomo, dovere impellente del cristiano è di considerare il superfluo con la misura delle necessità altrui, e di ben vigilare perchè l'amministrazione e la distribuzione dei beni creati venga posta a vantaggio di tutti.
Questa si chiama diffusione del senso sociale e comunitario che è immanente nel cristianesimo autentico; e tutto va affermato vigorosamente».
GIOVANNI XXIII

(1) - 5° precetto o comandamento: «non ammazzare»; 6° «non commettere atti impuri»; 7° «non rubare» (n. d. r.).

Il fronte del marmo

Il «contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti alla escavazione e lavorazione dei materiali lapidei» (leggi: lavoratori del marmo), scade il 30 giugno 1964.
La consuetudine vuole che le discussioni per il nuovo contratto abbiano inizio dopo la data di scadenza di quello in vigore e, per le lungaggini, le tattiche, i tira e molla che caratterizzano la conduzione delle trattative, spesso trascorrono diversi mesi (in qualche caso anche anni) prima che i lavoratori possano avere il loro nuovo contratto.
Questo andamento delle cose prolunga automaticamente la validità del vecchio contratto, notevolmente oltre i termini liberamente stabiliti dalle parti contraenti e pone gli industriali in posizione di «non rispetto» dei patti sottoscritti.
Nell'intento di snellire al massimo la trattativa e, per quanto possibile, concludere il nuovo contratto in tempo utile per farlo entrare in vigore all'indomani della scadenza del precedente e cioè il 1° luglio 1964, i Sindacati hanno proposto di dar inizio anticipato alle discussioni. Proposta che gli industriali hanno accettato fissando nel giorno 18 maggio u.s. la data utile per il primo incontro.
Contrariamente ad ogni previsione ed in netto contrasto con la consuetudine contrattuale, non è stato possibile per i lavoratori iniziare ima costruttiva discussione in quanto, in apertura di riunione, il rappresentante della Confindustria a nome della delegazione industriale ha dichiarato che « ... in conseguenza della situazione del settore e della mancanza di prospettive, la controparte non è in grado di sostenere alcun onere» - proponendo un rinvio a tempo indeterminato della trattativa - «senza alcuna garanzia, anche in questo caso, di poter aderire in futuro alle richieste già avanzate dai sindacati».
I rappresentanti dei Sindacati, con appropriata documentazione, hanno fatto osservare come la produzione ed il rendimento dei lavoratori abbiano registrato ulteriori incrementi di notevole valore - anche se inferiori a quelli verificatisi in passato - per cui esistono tutt'ora obiettive possibilità per realizzare concreti miglioramenti a favore dei dipendenti del settore.
Va anche evidenziata l'ulteriore prova di responsabilità dei sindacati nel dichiararsi disponibili - dopo la conclusione del contratto - ad intervenire nelle sedi idonee per il superamento delle difficoltà del settore lapideo in relazione alla situazione di quello edilizio ed alla carenza legislativa in materia di aree fabbricabili; problemi che, obiettivamente, dovranno trovare una sollecita soluzione, ma che certamente non giustificano le preoccupazioni per l'immediato futuro denunciate dagli industriali.
Nonostante ciò, e pur avendo i rappresentanti dei lavoratori dimostrata tutta la loro buona volontà onde indurre la delegazione industriale a rimanere al tavolo delle trattative, non si è lasciata intravedere la benché minima possibilità di apertura, per cui - dopo poche ore di discussione - la rottura.
Ai Sindacati - unitariamente - non è rimasto che programmare la lotta nel modo seguente:
1° 24 ore di sciopero, il giorno 26 maggio u.s.;
2° 24 ore di sciopero, il giorno 30 maggio u.s.;
3° 48 ore di sciopero, i giorni 9 e 10 giugno u.s.;
4° 72 ore di sciopero, i giorni 17-18-19 giugno p.v.;
5° 48 ore di sciopero, i giorni 25 e 26 giugno p.v..
Oltre che vietare il lavoro straordinario e festivo.

IMPEGNI E SERIETÀ
La cronaca suddetta ci induce ad alcune considerazioni sui metodi degli industriali nei rapporti con i lavoratori. Innanzi tutto, come più avanti cercheremo di documentare, l'accettazione della trattativa anticipata faceva ben sperare i lavoratori sulla serietà di proponimento della controparte, autorizzando a supporre almeno una rapida possibilità di convergenza tra le richieste dei lavoratori e le possibi-lià degli imprenditori in un sereno esame della situazione economica attuale. La ricerca della rottura, subito, al pri no incontro, ha tutto il sapore di un repentino richiamo della parte padronale alla politica confindustriale che, in questo particolare momento politico, è preoccupata esclusivamente di «salvare il vapore» con tutti i relativi privilegi di casta, strumentalizzando in proprio favore anche la congiuntura economica.
Obiettivamente e responsabilmente, come si sono espressi i sindacati, non è difficile cogliere nella attuale situazione economica generale del Paese, la causa di alcune difficoltà risentite dalla controparte. Dappertutto si nota la sensibile riduzione dei cantieri edili la cui attività rappresentava all'interno del Paese, una delle vie di collocamento dei prodotti della lavorazione del marmo anche se, questo particolare comparto del settore, ha risentito l'influenza negativa dei vari improvvisati commercianti spesso privi di adeguata conoscenza del ramo.

CONTRADDIZIONI INDUSTRIALI
Nel settembre 1963, al Convegno Internazionale del Marmo di Verona, il direttore Commerciale di una importante azienda nazionale notò che: «Il campo dell'edilizia ha una quota largamente superiore ma è anche il campo dove la competizione commerciale è più dura ed i margini di guadagno sono più modesti. Occorre però fare molta attenzione a non perdere di vista come questo campo sia il più rischioso in quanto è il primo a risentire di possibili oscillazioni economiche». Rileviamo l'esattezza della diagnosi e possiamo anche dedurre che il maggior reddito di questa industria pervenga da altre vie e che, quindi, le attuali difficoltà derivanti dal ristagno delle costruzioni private, non possono, in alcun modo, incidere irrimediabilmente sulla salute delle aziende del settore, anche se crea loro qualche difficoltà.
I comparti dell'arte sacra, della funeraria, dell'arredamento, le grandi forniture di edifici pubblici e privati, il rifornimento delle aziende non produttrici all'interno e l'esportazione di grezzi e lavorati all'estero, costituiscono pur sempre le ottime vie di collocamento del prodotto e si manifestano tutt'ora attive. Per contro, l'organizzazione della politica promozionale da parte delle aziende marmifere delle varie zone di produzione - impegnate in sterili provincialismi - non trova gli imprenditori decisamente impegnati per la migliore e più appropriata diffusione d'impiego del prodotto sia all'interno che all'estero, se il presidente dell'U.G.I.M.A, fin dal febbraio scorso, (appena quattro mesi or sono) ebbe a rilevare che «il momento che stiamo attraversando non è di quelli adatti a favorire la contemplazione dei successi passati, ma piuttosto il momento di prendere l'avvio dagli stessi per agire con vigore nell'ambito di una politica programmatica, intesa a prevenire i prevedibili effetti di una crisi incipiente».
Anche quanto sopra riferito conferma che solo a febbraio scorso sono state formulate le prime intenzioni degli imprenditori di prepararsi a fronteggiare, «a prevenire», l'aggravarsi eventuale della situazione e che fino allora, evidentemente, le cose del settore sono state abbastanza tollerabili.
Senza dubbio, il comportamento sopra riferito di eminenti personalità del settore, smentisce categoricamente la «mancanza di prospettive» denunciata dal rappresentante della Confindustria. Tale denuncia si rivela una meschinetta manovra politica contro gli stessi interessi delle aziende associate le quali, come ad ogni rinnovo di contratto puntualmente avviene, appena intravedranno il vicolo cieco in cui li spinge la manovra confindustriale ed accertata la volontà di lotta dei lavoratori e l'accettazione dei sacrifici che la stessa comporta, sapranno fare giustizia dei sostenitori dell'alta politica e dar così avvio ad una veramente proficua trattativa.
Ci è stato riferito che certi datori di lavoro dell'alta Italia gongolano al pensiero che le proprie maestranze dovranno affrontare la desiderata serie di scioperi, la quale fornirà loro la imprevista possibilità di economizzare sui costi di lavoro e tesoreggiare i frutti «dei successi passati». Certamente si tratta di quella sorta di imprenditori che hanno sguazzato senza scrupoli nelle acque calde del miracolo economico, arraffando tutto ciò che è stato loro possibile arraffare e che, ora, inorridiscono per dover corrispondere una piccola parte dei loro guadagni ai lavoratori che, per lo sfruttamento subito, hanno fornito a questi «messeri» tanta ricchezza.

RICHIAMO ALLA LEALTÀ
Ben lungi da noi il desiderio e la volontà di fare d'ogni erba un fascio e quindi non intendiamo porre sullo stesso piano dei valori tutta la classe padronale. Sappiamo fare i dovuti distinguo. Abbiamo letto di industriali che si preoccupano positivamente «di precise finalità sociali nell'ambito della politica della piena occupazione» ed è a questi che intendiamo rivolgerci per placare il frenetico desiderio di licenziamenti che ha afferrato la mente degli imprenditori del tipo di quello dell'alta Italia, adoperando indegnamente un passo della Enciclica Pacem in Terris di Papa Giovanni XXIII di santa memoria: «Qui crediamo opportuno di osservare che, ogniqualvolta è possibile, pare che debba essere il capitale a cercare il lavoro e non viceversa».
Siamo anche a conoscenza della perfetta convinzione di molti industriali a dover pagare il rinnovo del contratto. A questi signori e a tutti quelli che sono pensosi delle sorti del settore e preoccupati di mantenere la pace sociale contro ogni strumentalizzazione egoistica di parte, chiediamo una prova di buona volontà. Questo è il momento di tradurre in azione il loro pensiero e di dimostrare il loro desiderio di concorrere efficacemente al superamento della flessione economica nazionale.
Queste argomentazioni le indirizziamo in modo particolare ai cavatori, ai lavoratori del marmo, affinché possano trarne motivo di combattività e sostegno ideale alla nostra lotta unitaria, contro l'ingiustificato e incomprensibile fronte del Marmo.




A. B.

Dalmine di Apuania

E’ bene che gli operai sappiano…

Non so se tutto il mondo sia paese e se in tutti i complessi industriali succeda la stessa cosa.
Alla Dalmine di Massa sono venuto a conoscenza di una incongruenza che mi ha meravigliato molto. Soprattutto mi ha rattristato il constatare, ancora una volta, che gli uomini, a seconda di quale seggiola occupino, sono diversi e privi di carità cristiana da dare quasi la sensazione che tra quegli esseri privi di intelligenza che noi chiamiamo animali, ci si voglia più bene.
E' bene che gli operai sappiano che alla «Dalmine» di Massa, quando il dolore bussa alla porta di un impiegato o di un intermedio colpiti dalla morte di un congiunto, agli stessi vengono concessi tre giorni di permesso interamente retribuiti: e ciò per permettere a quel dipendente di partecipare al lutto senza altre preoccupazioni.
Mentre in caso di lieto evento, per la nascita di un figlio, gli stessi hanno un giorno di permesso retribuito, per partecipare alla gioia che con sé porta sempre la nascita di un bimbo. E non so se tutti gli interessati abbiano goduto di questo privilegio. Vogliamo dare un'occhiata?
Altrettanto non avviene invece per gli operai i quali in caso di morte di un congiunto sono costretti a «mangiarsi» alcuni giorni di ferie o R.C.P. (se ne hanno) o a perdere del prezioso salario, quando non accade loro di sentirsi negare il permesso: quest'ultimo fatto si è già verificato e l'operaio è stato costretto a portare un certificato medico di tre giorni.
Queste cose, non lo nascondo, mi hanno lasciato disgustato. Credevo che nella «grande famiglia», di fronte alla morte, non ci fossero figli legittimi e figli illegittimi. Non sapevo che il lutto di uno fosse diverso da quello di un altro. Siamo nell'era spaziale, si spendono miliardi per esplorare i pianeti: nei paesi «civili» anche con la morte si riesce a fare ingiustizie.
Non comprendo come nell'era del progresso non si capisca che di fronte al dolore dovrebbe trionfare l'amore.
Intendiamoci: non desidero con questo che l'impiegato o l'intermedio siano «degradati» al rango di operaio: neanche gli operai credo lo vorrebbero; desidero invece che l'operaio sia trattato, almeno di fronte alla morte, come l'impiegato e l'intermedio. Non chiedo la luna nel pozzo. Chiedo che sia attuata la legge di Dio, quella legge che ci dovrebbe rendere tutti uguali nella carità davanti al creatore.




F. B.

Telemeccanica di Milano


Venerdì 10 aprile, gli operai della Telemeccanica di Milano occuparono la fabbrica per lottare contro i soprusi del padronato e per salvare il livello della loro occupazione e il loro salario reale.
Nel 1963 la Telemeccanica aveva aumentato considerevolmente il proprio fatturato, portandolo a 4 miliardi e 200 milioni e questo processo di espansione produttiva aveva procurato una dilatazione delle assunzioni e ore di lavoro straordinario sempre più numerose. Nei primi mesi del 1964 la fabbrica riduceva però la produzione e i padroni limitavano immediatamente le ore di lavoro settimanale da 48 a 44 e infine a 40, rifiutando l'integrazione delle ore decurtate (o perlomeno di una parte di esse) proposta dalla Commissione interna. Non contenti ancora di questi abusi di potere e di queste gravi violazioni della democrazia nel lavoro, gli imprenditori procedevano al licenziamento di ben 70 lavoratori (40 operai e 30 impiegati) su 650, facendo pagare la crisi che essi stessi avevano creata non reinvestendo nella fabbrica gli ingenti utili conseguiti nei momenti del «boom», a chi non aveva responsabilità e non aveva per di più goduto del miracolo economico. La C.I. cercò di far riesaminare i termini della situazione, ma anche questo estremo tentativo di conciliazione fu stroncato per la sfacciata pressione di quel grande gruppo di potere che è l'Assolombarda.
Come se non bastasse, i licenziamenti, giustificati con la precaria situazione economica, colpivano (guarda caso!) tutti i membri del C.I. e gli attivisti sindacali più qualificati. Queste appunto le cause che hanno indotto gli operai della Telemeccanica ad occupare la loro fabbrica per non essere annientati dalla spietata logica del profitto.
Ma purtroppo la tragedia degli operai, disposti ad ogni sacrificio per difendere i loro sacrosanti diritti, non era ancora terminata.
La mattina di domenica 17 maggio, dopo ben 37 giorni di lotta unitaria, i dirigenti della Telemeccanica, avvalendosi dell'intervento delle forze di polizia, obbligavano gli occupanti ad abbandonare la fabbrica, in evidente e manifesta violazione della nostra Costituzione repubblicana che riconosce ai lavoratori il diritto di tutelare il proprio lavoro.
Nonostante sia stato veramente triste constatare che per rafforzare le posizioni di privilegio, esista ancora chi è pronto ad usare sistemi tipicamente fascisti, da questa situazione di lotta si devono cogliere aspetti estremamente positivi.
Innanzitutto non vi è stato «crumiraggio», al contrario la solidarietà degli operai della Telemeccanica è stata addirittura commovente; solidarietà che nasceva dal comune stato di sfruttamento di cui ogni singolo lavoratore aveva coscienza.
Da questa lotta solidale non è sfociato nessun «rivoluzionarismo deteriore», ma gli operai sono usciti vincitori perchè hanno compreso che la democrazia non la si conquista solo sulla carta costitu-zionale o nel momento delle votazioni, ma la si ottiene soprattutto nei luoghi di lavoro pagando spesso il prezzo di duri sacrifici.
Ed è proprio questo che conta: la convinzione che ha il Movimento Operaio di essere la sola forza in grado di conquistare la democrazia, nel momento in cui è capace di essere saldamente unito, e non per volontà frontiste di Partiti, ma per l'esigenza di elevarsi dall'infamante stato di schiavitù fisica e morale allo stato della dignità umana.




F. R.

Vicende sindacali

FERVET - Viareggio
Nel Gruppo Fervet (Viareggio, Castelfranco V., Bologna e Bergamo) sono sospese le agitazioni dato che il 4 c.m. sono riprese le trattative per il « premio di produzione » cui i lavoratori hanno diritto a coefficienti tra il 4 e 7%. A fine del c.m. è previsto un ulteriore incontro. Le posizioni sono le seguenti: La direzione offre il 4°/o con riassorbimento per il 2,60% di premio d'incentivo di cui beneficiano i lavoratori assunti prima del 1958. Le richieste unitarie dei sindacati prevedono il minimo del 6% per il premio di produzione, garanzie sulle modalità di applicazione e possibilità di controllo sui dati rilevati dalla direzione per la determinazione delle aliquote.
COMMERCIO
Per la stipula del contratto integrativo provinciale i sindacati hanno presentato le seguenti richieste unitarie:
- Conglobamento di 20 punti di contingenza nella paga base;
- Aumento paga base conglobata della categoria D.4 del 10%;
- Riproporzione delle retribuzioni delle altre categorie in base ai parametri richiesti sul piano nazionale;
- Abolizione della riduzione prevista per le varie località della provincia e per alcuni settori;
- Altre richieste di minore entità.
NETTURBINI - SASPI
Gli aumenti ottenuti dai Netturbini a Viareggio, sono notevolmente inferiori a quanto riportato da «il nostro lavoro»: infatti le cifre da noi fornite erano state ottenute calcolando la ricostruzione di carriera, che il Comune non ha concesso.
ABBIGLIAMENTO
Dopo i diversi scioperi sostenuti dai lavoratori del settore, cui hanno partecipato attivamente anche gli operai dell'Apice e delle altre aziende di Massarosa, sono riprese le trattative per il contratto nazionale di lavoro. Il prossimo incontro è stato fissato per i giorni 17-18-19 giugno p.v.
Intanto sotto stati siglati alcuni articoli riguardanti i diritti sindacali dei lavoratori e che prevedono i permessi retribuiti per coloro che ricoprono cariche sindacali, la contribuzione sindacale, come per i Metalmeccanici.
LEGNO
Il 12 giugno iniziano le trattative per il rinnovo del contratto nazionale per i dipendenti dall'industria del legno. Una seconda sessione avrà luogo nei giorni 17-18-19 giugno.
FRONTE DELLE AGITAZIONI
Enti Locali: seconda agitazione unitaria nazionale. Marmo: seconda agitazione unitaria nazionale. Ferrovieri: seconda agitazione nazionale (solo CGIL).
CHIMICA - CHIMICA FARMACEUTICA
Dopo lunga lotta con l'intervento del Ministro del Lavoro, si è conclusa la trattativa per il contratto della categoria.
Tra gli altri, sono stati conseguiti i seguenti miglioramenti:
- aumento dei minimi tabellari del 10% da aggiungersi alle paghe di fatto (non assorbibile).
- revisione delle classificazioni mediante la istituzione di 5 categorie, 2 qualifiche speciali, 5 categorie impiegatizie, la istituzione di una P categoria superiore, rivalutazione dei parametri e raggiungimento della parità di trattamento assoluta tra uomo e donna.
- scatti anzianità operai in numero di tre biennali, di cui il primo (con decorrenza gennaio 1963) dell'1,50%, i successivi del 2% dei minimi, passaggio a paga dei due premi dell'1,50% di cui al Contratto 1961 e liquidazione, scaglionata nel tempo ma non oltre il 31-5-66 dei ratei dei premi di anzianità maturati alla data del 31-5-64.
- orario di lavoro ulteriore riduzione rispetto al contratto precedente.
- lavori in turno - notturno: maggiorazione dal 25 al 28% . domenicale con riposo compensativo: maggiorazione dal 15 al 25%.
- premio di produzione miglioramenti iniziali dal 3 al 4% e perfezionamento azienda per azienda.

Gli amici di Carrara ci informano, con un certo disappunto, che anche durante la lotta sindacale in corso per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro per i dipendenti da aziende marmifere, gli impiegati della Montecatini, Figaia e Dell'Amico, Furrer, ecc. sono andati regolarmente al lavoro. Evidentemente le nostre argomentazioni sul crumiraggio non hanno fatto gran che presa sulla coscienza degli impiegati, i quali continuano disinvoltamente a disinteressarsi dei problemi operai : perfino di quelli così importanti come il rinnovo del contratto di lavoro. Saranno però certamente pronti domani ad approfittarsi dei sacrifici e dei rischi a cui gli operai sono andati incontro con le loro giuste rivendicazioni.
Chi è incapace di solidarietà è uomo senza dignità, cari amici impiegati della Montecatini ecc.

L’inchiesta su Papa Giovanni

Il gruppo studentesco ha condotto presso tre aziende la sua seconda inchiesta.
Ricorrendo l'anniversario della morte di Papa Giovanni, è stata scelta questa grande e indimenticabile figura di Papa, come tema dell'inchiesta.
È sembrato interessante conoscere il pensiero, il giudizio, le impressioni degli operai su argomenti riguardanti Papa Giovanni.
Nonostante la notevole difficoltà di alcune domande, vi sono state risposte assai chiare e specialmente espresse con totale sincerità.
Oltre alle risposte secondo il formulario delle domande, vi sono stati giudizi e considerazioni che riportiamo con assoluta fedeltà.
L'inchiesta viene offerta all'attenzione di chi volesse conoscere ciò che gli operai pensano intorno ad argomenti così particolari: ognuno ne ritragga le considerazioni che più riterrà opportune.
Ecco le 6 domande, con le risposte.
1 - HAI AVUTO SIMPATIA PER PAPA GIOVANNI?
138: sì - 3:no - 3: non hanno risposto.
2 - CHI SONO, SECONDO TE, QUELLI A CUI PAPA GIOVANNI NON E' PIACIUTO?
47: è piaciuto a tutti - 48: non hanno risposto - 29: i capitalisti e gli aristocratici - 8: partiti di sinistra . 3: partiti di destra - 3: partiti di centro - 6: i preti
- Piaceva a tutti, anche a quelli che non vedono bene la Chiesa.
- Qualche bacchettona, ma sono morte.
- Penso che sia piaciuto a tutti perchè era buono e giusto.
- Al grande capitale, che gli ha anticipato la fine.
3 - PENSI CHE GIOVANNI XXIII ABBIA AFFRONTATO CON SPIRITO NUOVO I PROBLEMI DEL MONDO OPERAIO?
139: sì - 5: no.
4 - QUAL'E', A TUO GIUDIZIO, LA COSA PIÙ IMPORTANTE FATTA DA PAPA GIOVANNI?
22: non hanno risposto - 33: il Concilio - 30: la pace nel mondo - 17: l'uguaglianza - 12: le encicliche - 8: visite ai carcerati - 2: l'umiltà e l'amore verso tutti - 13: aiutare i poveri e gli operai - 1: avvicinare alla Chiesa chi se ne è allontanato - 1: non ha approfittato dei benefici economici.

Più persone hanno dato più risposte.
- Ha fermato la difficile situazione di Cuba col suo intervento.
- Avvicinare tutte le razze per intendersi e vivere veramente in pace.
- Non ha fatto nulla.
- Aprire una strada nuova per giungere al cuore degli operai.
- L'avvicinamento dell'umanità, era un progressista.
- Andare a trovare i carcerati i quali non hanno mai avuto una visita Papale.
- L'essersi avvicinato a due mondi, l'Occidente c l'Oriente, senza guardare la politica.
- Il dialogo aperto tra il mondo socialista e quello capitalista: unico sistema per stabilire la pace nel mondo.
5 - CREDI CHE I PRETI FOSSERO D'ACCORDO CON L'OPERATO DI GIOVANNI XXIII?
29: sì - 56: no. 51 alcuni - 8 non hanno risposto.
6 - PENSI CHE IL NUOVO PAPA PAOLO VI STIA PROSEGUENDO L'OPERA DI GIOVANNI XXIII?
38: sì - 57: no - 24: forse - 14: in parte - 9: non hanno risposto.
- No, mi sembra che prenda in giro la gente.
- Sì, però come un impiegato di prima categoria, cioè non con semplicità, come apparivano le cose di Papa Giovanni.
- Lo spero perchè l'opera di Giovanni era molto giusta e saggia.
- No, perchè è falso, perchè è borghese e non può essere vicino agli operai; è uguale a Pacelli.
- Sì, nel senso cattolico ma non nel senso dell'operaio.
- Sta seguendo le stesse orme ma troppo con politica e non con spirito di lealtà che l'altro aveva.
- No, disse di voler seguire il suo illustre predecessore ma i fatti dicono il contrario.
- Assolutamente no. Benché tenti con ogni tattica di imitare Papa Giovanni.
- No (lo dice ma non lo fa).
- Sì, ma non riuscirà a fare quello che ha fatto Papa Giovanni.
- No, nella più profonda semplicità, però un poco ci si avvicina, l'altro era più modesto.

GRUPPO STUDENTESCO



Il gruppo studentesco ha condotto presso tre aziende la sua seconda inchiesta.
Ricorrendo l'anniversario della morte di Papa Giovanni, è stata scelta questa grande e indimenticabile figura di Papa, come tema dell'inchiesta.
È sembrato interessante conoscere il pensiero, il giudizio, le impressioni degli operai su argomenti riguardanti Papa Giovanni.
Nonostante la notevole difficoltà di alcune domande, vi sono state risposte assai chiare e specialmente espresse con totale sincerità.
Oltre alle risposte secondo il formulario delle domande, vi sono stati giudizi e considerazioni che riportiamo con assoluta fedeltà.
L'inchiesta viene offerta all'attenzione di chi volesse conoscere ciò che gli operai pensano intorno ad argomenti così particolari: ognuno ne ritragga le considerazioni che più riterrà opportune.
Ecco le 6 domande, con le risposte.
1 - HAI AVUTO SIMPATIA PER PAPA GIOVANNI?
138: sì - 3:no - 3: non hanno risposto.
2 - CHI SONO, SECONDO TE, QUELLI A CUI PAPA GIOVANNI NON E' PIACIUTO?
47: è piaciuto a tutti - 48: non hanno risposto - 29: i capitalisti e gli aristocratici - 8: partiti di sinistra . 3: partiti di destra - 3: partiti di centro - 6: i preti
- Piaceva a tutti, anche a quelli che non vedono bene la Chiesa.
- Qualche bacchettona, ma sono morte.
- Penso che sia piaciuto a tutti perchè era buono e giusto.
- Al grande capitale, che gli ha anticipato la fine.
3 - PENSI CHE GIOVANNI XXIII ABBIA AFFRONTATO CON SPIRITO NUOVO I PROBLEMI DEL MONDO OPERAIO?
139: sì - 5: no.
4 - QUAL'E', A TUO GIUDIZIO, LA COSA PIÙ IMPORTANTE FATTA DA PAPA GIOVANNI?
22: non hanno risposto - 33: il Concilio - 30: la pace nel mondo - 17: l'uguaglianza - 12: le encicliche - 8: visite ai carcerati - 2: l'umiltà e l'amore verso tutti - 13: aiutare i poveri e gli operai - 1: avvicinare alla Chiesa chi se ne è allontanato - 1: non ha approfittato dei benefici economici.

Più persone hanno dato più risposte.
- Ha fermato la difficile situazione di Cuba col suo intervento.
- Avvicinare tutte le razze per intendersi e vivere veramente in pace.
- Non ha fatto nulla.
- Aprire una strada nuova per giungere al cuore degli operai.
- L'avvicinamento dell'umanità, era un progressista.
- Andare a trovare i carcerati i quali non hanno mai avuto una visita Papale.
- L'essersi avvicinato a due mondi, l'Occidente c l'Oriente, senza guardare la politica.
- Il dialogo aperto tra il mondo socialista e quello capitalista: unico sistema per stabilire la pace nel mondo.
5 - CREDI CHE I PRETI FOSSERO D'ACCORDO CON L'OPERATO DI GIOVANNI XXIII?
29: sì - 56: no. 51 alcuni - 8 non hanno risposto.
6 - PENSI CHE IL NUOVO PAPA PAOLO VI STIA PROSEGUENDO L'OPERA DI GIOVANNI XXIII?
38: sì - 57: no - 24: forse - 14: in parte - 9: non hanno risposto.
- No, mi sembra che prenda in giro la gente.
- Sì, però come un impiegato di prima categoria, cioè non con semplicità, come apparivano le cose di Papa Giovanni.
- Lo spero perchè l'opera di Giovanni era molto giusta e saggia.
- No, perchè è falso, perchè è borghese e non può essere vicino agli operai; è uguale a Pacelli.
- Sì, nel senso cattolico ma non nel senso dell'operaio.
- Sta seguendo le stesse orme ma troppo con politica e non con spirito di lealtà che l'altro aveva.
- No, disse di voler seguire il suo illustre predecessore ma i fatti dicono il contrario.
- Assolutamente no. Benché tenti con ogni tattica di imitare Papa Giovanni.
- No (lo dice ma non lo fa).
- Sì, ma non riuscirà a fare quello che ha fatto Papa Giovanni.
- No, nella più profonda semplicità, però un poco ci si avvicina, l'altro era più modesto.






GRUPPO STUDENTESCO

Il Patto di Roma del 3 giugno 1944

Venti anni fa, il 3 giugno 1944, i rappresentanti delle tre grandi correnti sindacali, socialista, comunista e cattolica, firmarono il patto di Roma, dando vita al sindacato unico di tutti i lavoratori italiani.
Non si riuscì, negli anni che seguirono, a conservare l'unità sindacale: è evidente che responsabilità vi furono da tutte le parti, e la responsabilità principale fu che nessuno seppe difendere l'autonomia del movimento sindacale dalla logica dei rigidi schieramenti politici contrapposti provo-cati dalla guerra fredda.
In quegli anni, quando spesso purtroppo parve che l'avversario da battere fosse il sindacato di diverso colore anziché il padrone, frequenti e dolorose furono le sconfitte dei lavoratori.
Questa dura esperienza provocò la ripresa di un dialogo fra le centrali sindacali, dialogo favorito anche dal disgelo nella politica interna e internazionale. Oggi si è ormai potuto definitivamente constatare che «uniti si vince» e che chi provoca una divisione nel movimento operaio fa sempre un piacere ai padroni. Di qui la continua ricerca e la frequente pratica dell'unità d'azione dei sindacati.
La divisione del movimento sindacale in diverse organizzazioni è un fattore di debolezza per la classe lavoratrice, e la crescente complessità delle strutture economiche, dal MEC alla programmazione, accentuano continuamente lo stato di inferiorità provocato da questa divisione.
Gravi e molteplici sono ancora le cause di separazione dei sindacati; i lavoratori di ogni centrale sindacale devono continuare a battersi per una sempre maggiore collaborazione e unità, tenendo presente che tre punti saranno insostituibili per la vita di un sindacato che debba raccogliere tutti i lavoratori: l'autonomia assoluta dai partiti, l'assenza di ogni discriminazione politica fra gli iscritti, la piena democrazia interna, che trova la sua massima garanzia nella continua partecipazione dei lavoratori alla vita del sindacato.





E. V.


La Discussione

Incontro coi lettori

Fra un gruppo di nostri lettori, operai in una fabbrica di Viareggio, è nata, qualche tempo fa, una discussione su temi interessanti il mondo del lavoro. Alcune domande sono rimaste senza risposta, su altre i pareri sono stati discordi ; si è deciso, a un certo punto, di chiedere anche l'opinione de « il nostro lavoro » ed è così che quegli argomenti sono capitati sul tavolo della nostra redazione.
Da questo è nata una nuova rubrica, che ci auguriamo di poter proseguire nei prossimi numeri e completamente aperta ai problemi dei lettori.
Il giornale è destinato soprattutto alla classe operaia ed è giusto che i lavoratori vi collaborino nella misura più estesa possibile. Una forma di collaborazione, non meno efficace di altre, può esser quella di sottoporci i temi che più li interessano, in modo da suggerirci degli argomenti di discussione e da offrirci l'opportunità di svolgere un discorso su ciò di cui concretamente si parla nelle fabbriche.
Alcuni problemi, particolarmente importanti, potranno essere trattati separatamente, come avverrà per i «fondi di resistenza», dei quali ci occuperemo specificamente nel prossimo numero.

COOPERATIVE EDILIZIE
Il primo argomento che ci è stato sottoposto e sul quale avremo occasione di ritornare, riguarda le cooperative edilizie. Tutte le categorie di cittadini, organizzandosi in cooperative, possono usufruire delle sovvenzioni e dei mutui per l'edilizia economica e popolare, allo scopo di costruirsi abitazioni in zone residenziali, a condizioni particolarmente favorevoli, come è avvenuto recentemente per varie cooperative di dipendenti statali nella zona dell'ex-balipedio. Gli unici che in pratica non hanno questa possibilità, perchè, a tacere di altre condizioni, mancano del tempo e della capacità necessari per dar vita ad una cooperativa, sono gli operai, i quali debbono accontentarsi delle case popolari alla periferia, se e quando riescono ad ottenerne una.
«Perchè - si sono chiesti i nostri amici - i padroni non pensano loro a prendere l'iniziativa di cooperative edilizie per gli operai?». Il problema è certamente importante e la soluzione che i nostri amici ne auspicano sarebbe senza dubbio la più semplice, ma non tuttavia la migliore.
Non bisogna infatti dimenticare che il padrone, per la logica stessa del sistema in cui opera ed al quale appartiene, nonostante ogni sua buona intenzione non può mai regalare nulla: egli dà, non a favore dell'azienda, soltanto in quanto ne riceva una contropartita. Ed è così che ogni forma di assistenza aziendale porta il marchio del paternalismo e finisce, prima o poi, per divenire uno strumento di discriminazione. E' così, insomma, che ogni forma di assistenza aziendale, prima o poi, per diventare il mezzo con il quale l'imprenditore consegue l'asservimento morale dei propri dipendenti e la via sulla quale i lavoratori sono costretti a smarrire il senso della loro dignità.
Si sono chiesti i nostri amici quale mezzo di ricatto potrebbe rappresentare per un padrone l'aver costituito una cooperativa edilizia a favore dei propri dipendenti? Si sono chiesti, ad esempio, che cosa accadrebbe il giorno in cui si facesse capire che della cooperativa entreranno a far parte coloro che, poniamo, non parteciperanno ad uno sciopero?
E' questo il motivo che ci spinge a non condividere la soluzione prospettata, ma a ritenere che essa dovrebbe cercarsi esclusivamente in sede sindacale.

SCALA MOBILE OPERAIA E STATALE
«Perchè - ci è stato ancora chiesto - se la scala mobile scatta con l'aumento del costo della vita, gli adeguamenti salariali avvengono in misura diversa per gli operai e per i dipendenti statali?».
La risposta non è difficile sotto un profilo tecnico. Il costo della vita si misura eseguendo medie (numeri indici) dei prezzi dei vari beni ed esistono varie medie, secondo i tipi di prezzi e di beni ai quali si riferiscono. Il costo della vita, così, si può desumere dall'indice dei prezzi all'ingrosso,
dall'indice dei prezzi al minuto e, infine, dall'indice generale del costo della vita, che considera i prezzi dei beni strettamente necessari al consumo settimanale di una famiglia media.
Poiché quando il costo della vita aumenta non tutti i prezzi salgono nella stessa misura, ma, in generale, i prezzi al consumo crescono più e prima di quelli all'ingrosso e i prezzi dei beni di prima necessità aumentano più e prima di tutti gli altri, ne deriva che i tre indici danno sempre valori diversi.
Ora, mentre i salari degli statali sono ancorati all'indice generale del costo della vita, che è il più esatto e sensibile dei tre, i salari operai hanno seguito, secondo ciò che è stato possibile ottenere in sede di contrattazione collettiva, talvolta l'indice provinciale o regionale del costo della vita, talaltra l'indice dei prezzi al consumo, che ha un valore sempre meno alto dell'indice del costo della vita, perchè nella sua media sì calcolano anche i prezzi dei beni di seconda necessità, che crescono in misura minore. In qualche caso, infine, hanno seguito l'indice dei prezzi all'ingrosso, che aumentano assai meno e assai più tardi di quelli al consumo.
Ecco perchè la contingenza scatta in misura diversa per gli operai e per gli statali e sempre di qualche punto in più per questi ultimi.
Più difficile è spiegare che cosa sia all'origine di tale diversità di trattamento. Il discorso sarebbe necessariamente lungo. Basti accennare che ogni classe dominante tende a consolidare il proprio potere soprattutto assicurandosi una casta di funzionari fedeli ed accennare ancora che la fe-deltà della burocrazia si compra in varie maniere: anche concedendole un trattamento economico migliore dì quello goduto dagli altri lavoratori.

ASSISTENZA SOCIALE
Lo stesso gruppo di lettori ci chiede perchè i contributi sociali a carico dei lavoratori italiani siano i più alti d'Europa, mentre le prestazioni assicurative sono inferiori alla media del livello europeo.
Confessiamo che non abbiamo esperienza dei sistemi di assicurazione sociale degli altri paesi. Sappiamo tuttavia che il costo della assistenza sociale è, più o meno, lo stesso in ciascun paese e che prestazioni migliori con minor peso contributivo per i lavoratori si possono ottenere, a parte una più razionale organizzazione degli enti previdenziali, o aumentando i contributi a carico dei datori di lavoro, o con fondi che lo Stato è in grado di procurarsi maggiorando le imposte sugli strati più ricchi della popolazione.
Per quanto riguarda l'assistenza sanitaria, però, possiamo dire che l'Italia è l'unico paese in cui essa sia completamente gratuita per la quasi totalità degli operai, che costituiscono poi la maggioranza degli assicurati (28 milioni su 42).
Se consideriamo l'INAM, che è il più importante istituto assicuratore, notiamo che nel suo bilancio la spesa per i medicinali ha assunto proporzioni astronomiche (per il 1964, ad esempio, si prevede una spesa per medicinali pari a 194 miliardi, contro soltanto 13 per indennità malattia) ed è questo uno dei motivi principali per cui le altre prestazioni non vengono migliorate.
A ciò si potrebbe porre rimedio riducendo i profitti degli industriali farmaceutici, che sono i più alti del settore industriale italiano, o, meglio ancora, creando un'industria farmaceutica di Stato.
C'è però anche un altro aspetto del problema e a questo proposito sono indicative le esperienze di quei paesi che, come l'Inghilterra o l'Unione Sovietica, hanno dovuto rinunciare alla assistenza farmaceutica gratuita, imponendo una partecipazione alla spesa da parte dell'assistito per i casi di malattia meno gravi, perchè si sono accorti che il fatto di potere ottenere medicinali gratuitamente spingeva gli assicurati a farne richiesta anche quando ciò non era necessario.
Questo avviene anche in Italia e non è azzardo dire che, talvolta, si fa un vero e proprio spreco di medicinali.
Il sistema assistenziale italiano, sotto molti aspetti, non è certamente dei migliori e dei più funzionali, però anche i lavoratori potrebbero, per la loro parte, contribuire a sanarlo. Qualche settimana fa un giornale pubblicava una lettera di un netturbino, il quale, durante il suo servizio nella città di Milano, aveva notato come, molto spesso, i secchi delle immondizie contenessero, fra l'altro, flaconi di medicinali scaduti, o usati soltanto a metà. Perchè questo spreco? Perchè qualche volta ci si fa prescrivere medicine che poi si lasciano scadere senza usarle, o perchè si gettano via medicine ancora buone, che potrebbero servire in seguito?
Noi non condividiamo la risposta di quel giornale, il quale sosteneva che unico rimedio sarebbe quello di seguire l'esempio dei paesi dove gli assistiti devono pagarsi i medicinali. Però vorremmo che ciascuno di noi, quando, anche soltanto una volta, va dal medico a farsi prescrivere una medicina non necessaria, magari per regalarla al vicino di casa, comprendesse che sta facendo, senza accorgersene, il proprio danno.





S. R.

pièdipagina

Hanno inviato offerte per il giornale i dipendenti delle seguenti Aziende:
F.E.R.V.E.T. L. 9.450
Ponsi „ 7.560
Dalmine „ 10.000
Az. Munic. Acquedotto „ 2.500
Confezioni WORK „ 3.515
M. B. Benetti „ 8.800
Preghiamo gli operai di ricordarsi che li loro giornale vive soltanto con il loro aiuto. Esprimeteci la vostra simpatia.
Grazie

Le prossime riunioni per il giornale di luglio: i due sabati sera alle ore 9 del 27 c. m. e del 4 luglio.

Hanno collaborato a questo numero: Angelo Barsella - Francesco Baruffetti - Libero Pistelli - Sandro Ricci - Francesco Rocchi - don Sirio - Gruppo Studentesco.
direttore responsabile:
Sirio Politi - Lungo Canale Est 37, telef. 46-455 . Viareggio
Autorizzazione del Tribunale di Lucca n. 173 del 14 Giugno 1963
TIPOGRAFIA «A. BERTOLOZZI» - VIAREGGIO TELEF. 4.25.23

Lettere agli Industriali

E' vero che queste quattro pagine mensili sono un periodico per i lavoratori delle aziende locali, piccole o grandi che siano, e risentono quindi della loro destinazione che vuole essere schiettamente operaia, però non credo che sia giusto non rivolgere direttamente una parola anche agli imprenditori, agli industriali, a tutti quelli cioè che sono i responsabili dell'esistenza e dell'andamento aziendale, agli ideatori e i realizzatori di quei complessi dove poi le maestranze svolgono la loro attività produttiva, ai detentori del capitale e della sua utilizzazione, ai dirigenti in capo di tutto l'organismo vivo e vitale di uno stabilimento.
Siete lavoratori anche voi e spesso il vostro lavoro dev'essere molto duro, complesso, difficile e quindi molto pesante. Voi, è chiaro, non potete lavorare con libertà: sono troppi i motivi che inevitabilmente vi schiacciano perchè vi stringono da ogni parte fino a non darvi possibilità di respiro. Il capitale è uno schiavista spietato e la prima vittima (anche se tanto invidiata da tutti) ne siete proprio voi. Le sue leggi sono terribili e sembra che non sia possibile (è il pensiero di Gesù Cristo) non subirne le tremende conseguenze. Di qui, da questa schiavitù, nascono poi tutte le altre complicazioni perchè a un certo momento - è la prima legge spietata del capitale - tutto deve essere piegato a servire il capitale fino al punto che l'interesse diventa l'unico criterio con cui tutto viene giudicato e pesato.
Nascono quindi i contrasti per la difesa che gli altri valori devono necessariamente fare di se stessi.
E la vita diventa una lotta, una lotta spesso, disgraziatamente, senza riguardi e rispetti. Una lotta che fa dimenticare tutto, che fa passare sopra a tutto, ma che impoverisce e intristisce l'esistenza fino alla insopportazione.
Non so bene, ma ho buone ragioni per aver l'impressione che questo giornale tipicamente operaio, voi ve lo sentiate sullo stomaco, quasi come un nemico, come se fosse contro di voi. Non nascondo che qualche volta vi sarà qualche cosa che possa essere contro i vostri interessi, ma è certo che non è contro di voi per il semplice motivo che non è contro nessuno. La sua impostazione è assolutamente cristiana, e lo spirito che lo anima, vi sembrerà strano, ma è sicuramente lo spirito del Vangelo e i suoi fondamenti dottrinali sono quelli della dottrina sociale della Chiesa. Quindi non può essere contro nessuno, è però chiaro e preciso nella affermazione della Verità e nella ricerca della Giustizia perchè la visione cristiana nella vita non vuol dire che tutto va bene con quattro sospiri e che ogni dovere possa essere sistemato con una offerta (sia pure massiccia) alle opere pie.
A volte non si può non pensare che i ricchi e quindi gli industriali, i dirigenti ecc. pensino che loro non abbiano niente da imparare dalla religione e più precisamente dal Cristianesimo e dalla Chiesa, fin quasi a dare l'impressione di non averne bisogno se non per farsene un aiuto per i loro interessi.
Sono otto anni che sono qui a fare il sacerdote nell'ambiente operaio di Viareggio ma devo dire che mai un industriale, un dirigente mi ha domandato cosa insegna la Chiesa, qual e il punto di vista cristiano nei confronti di problemi sociali, di rapporti umani, di andamenti aziendali. Mai. Lo so che non domandate niente perchè tanto sapete già che ciò che vi sarebbe risposto non potrebbe che essere contro i vostri interessi. Diceva un industriale di un'azienda locale che ormai la Chiesa, da Papa Giovanni in poi, è contro di voi.
Capisco perchè queste quattro pagine non abbiano trovato il vostro favore e tanto meno il vostro appoggio: avete giudicato questa ricerca di presenza cristiana nel mondo operaio e questa partecipazione dei problemi aziendali condotta da un sacerdote, come un accendere ancora di più un fuoco che già brucia assai, un contribuire ad aggravare un pericolo in se stesso così preoccupante.
Ma tutto questo vostro atteggiamento dipende, in gran parte, da un'idea errata della religione e del Cristianesimo e della Chiesa. Per troppo tempo questa idea errata si è andata rafforzando per una collusione storica di temporalismi forse inevitabili e certamente spiegabili con i tempi, fra Chiesa e classe dirigente.
E il Cristianesimo sempre più è stato spinto in un devozionalismo fatto di sentimento religioso e di pietismo popolare, svuotandolo di capacità d'incidenza nella vita reale e concreta dell'esistenza umana.
Non poteva durare così. E i tempi nuovi sono arrivati per tutti e vogliono dire liberazione da posizioni di privilegio, da situazioni interessate, da chiusure egoistiche di casta o di classe, da mentalità utilitaristiche allargate fino a Dio, alla Chiesa, ai preti ecc.
I tempi attuali non sono che un progredire di questa liberazione della quale le grandi Encicliche
Sociali della Chiesa segnano le tappe. - •.
Sta succedendo, grazie a Dio, che l'essere cristiani acquista sempre più il valore di una autentica qualificazione di esistenza umana: non accettare l'esistere cristiano è respingere il Cristianesimo.
Chiedo scusa se mi permetto scrivere queste cose in forma di lettera. E' per fare diretto e imme-diato il discorso che indirettamente può essere meno comprensibile.
Non credo che agli industriali e ai dirigenti dispiaccia che un sacerdote parli loro di (problemi cristiani che li riguardano.
Se sono cristiani, ne saranno contenti, se non sono cristiani il discorso non li tocca ne tanto ne poco e quindi niente di male.


d. S.


Lo Statuto dei lavoratori

PRO

Credo che leggi che favoriscono i lavoratori siano non solo utili ma necessarie.
Contro queste leggi alcuni sostengono che è bene che i lavoratori conquistino i loro diritti esclusivamente con le lotte sindacali.
Non mi pare che queste critiche siano giuste; secondo me, se una legge può favorire realmente i lavoratori, è senza dubbio bene lottare perchè venga fatta: oltretutto i padroni, in situazioni favorevoli per loro, non hanno mai perso l'occasione di ottenere qualche legge che li favorisce contro i dipendenti, e sarebbe quindi sciocco che i lavoratori rinunciassero alla possibilità di conseguire dei vantaggi e dei miglioramenti attraverso una legge.
Non è nemmeno vero che i rapporti padroni-dipendenti debbano essere regolati solo mediante la trattativa sindacale perchè si tratta di questioni riguardanti esclusivamente le categorie interessate.
A chi si oppone, per esempio, al progetto di legge per lo Statuto dei diritti dei lavoratori, sostenendo che i rapporti di vita nelle aziende sono materia contrattuale, sfugge la natura pubblica di questi rapporti: la tutela della sicurezza, della libertà, della dignità umana nelle aziende è un fatto di civiltà che investe tutta la società e tutti i cittadini: la condizione dell'operano nella fabbrica è una questione che si riflette sul modo di essere di una intera nazione, è una questione quindi di interesse fondamentale per l'intera collettività.
Che un industriale per rappresaglia possa licenziare tutti i sindacalisti della sua fabbrica è un problema che riguarda tutti i cittadini e non solo i lavoratori di quella fabbrica o di quella categoria; lottare per una legge che impedisca questa rappresaglia vuol dire lottare per la libertà sindacale nelle -fabbriche, ma vuol dire anche lottare per la dignità di tutti e la civiltà della nostra nazione.
Anche potendo ottenere lo stesso risultato con un accordo sindacale sarebbe più bello e più giusto che le rappresaglie e le discriminazioni fossero vietate con un provvedimento di legge, fatto in nome di tutto il popolo italiano.
E. V.


CONTRO

Le considerazioni che mi si offre di scrivere su tale argomento non possono essere necessariamente «contro», come potrebbe apparire dal titolo. Non nutro certamente preconcette ostilità nei confronti degli strumenti di tutela legislativa dei lavoratori, quando questi strumenti si rivelano indispensabili per il perseguimento di un interesse generale e pubblico.
Occorre pertanto richiamarci necessariamente ai principi sulla base dei quali soltanto è possibile concepire e realizzare, in termini di sostanziale autonomia del sindacato, la tutela dei lavoratori organizzati. Esemplificando, cito la proposta di riforma legislativa delle norme sul collocamento; la istituzione del Fondo per l'investimento del risparmio contrattuale dei lavoratori; la istituzione della Cassa per la formazione professionale.
Certamente non è accettabile che i problemi inerenti al rapporto di lavoro ed alla presenza dei lavoratori nell'impresa, siano oggetto di provvedimenti legislativi.
La contrattazione collettiva offre così ampie possibilità di regolare non soltanto gli aspetti remunerativi e normativi del rapporto di lavoro, ma anche le altre questioni riguardanti la presenza e l'azione del lavoratore nella fabbrica, in quanto tale od organizzato nel sindacato, che ogni altra regolamentazione di carattere legislativo finirebbe per mortificare proprio la libertà del lavoratore stesso.
Le soluzioni contrattuali, anche sulle condizioni di tutela dei lavoratori nell'azienda, rappresentano la via maestra per una più penetrante partecipazione dei lavoratori organizzati alla vita ed alla direzione dell'impresa nelle forme e nei modi liberamente stabiliti.
Alla luce di queste argomentazioni non può non risultare privo di realismo il proposito di risolvere questi complessi problemi attraverso la elaborazione di leggi..
Sono pertanto convinto che la tutela dei diritti e degli interessi dei lavoratori possa essere più validamente e più efficacemente perseguita, per gli aspetti che strettamente riguardano la disciplina del rapporto di lavoro, sul terreno della libera contrattazione collettiva, e per gli aspetti che riguardano il progresso generale dei lavoratori, sul terreno della politica di sviluppo economico-sociale. Appare quindi più opportuna e più sicura la via del contratto collettivo anche per la definizione di concrete forme di tutela dei diritti e delle libertà dei lavoratori. Alcune di queste forme sono già previste in diversi contratti in materia di trattenute sindacali, permessi, comunicazioni sindacali, ecc.
Pertanto, argomenti del tipo: a) Libertà di comunicazioni sindacali, b) Libertà di riunione in fabbrica per scopi sindacali, c) la materia delle trattenute sindacali, d) la materia dei permessi sindacali, possono tranquillamente costituire oggetto di un accordo sindacale a livello in-terconfederale, facilmente rettificabile ove occorra, senza dover scomodare il legislatore che fisserebbe rigide norme le quali finirebbero, come spesso accade, per essere utilizzate a danno degli stessi lavoratori.






A. B.

L’accordo sugli assegni familiari

Dopo lunghe trattative condotte al cosiddetto «alto livello» (Governo, Industriali e Sindacato) l'accordo sugli assegni familiari e pensioni, è stato raggiunto e sollecitamente approvato dal Consiglio dei Ministri.
E' un accordo che ha lasciato in noi operai perplessità, preoccupazione e sopratutto la convinzione di essere stati ancora una volta i soli sacrificati nel. la attuale difficile e grave situazione economica.
La legge, nel suo contesto e sotto tutti gli aspetti, è criticabile. Dovrei dire «-vergognosa», perchè questo è il giudizio degli operai che ne sono parte in causa.
La somma a disposizione esisteva e pertanto doveva essere impiegata all'unico scopo a cui era destinata.
E' umano dubitare, per noi operai e per i pensionati, della giustezza di detto accordo; accordo che ha trovato alla sua conclusione, la partecipazione dei sindacati (e qui sta il dilemma: o il ricatto dell'occupazione imposto ai Sindacati, oppure la situazione è talmente grave per cui i nostri rappre-sentanti hanno ritenuto di accettare l'accordo ovvero, cosa che appare terribile anche supporla, i dirigenti sindacali sono degli incompetenti).
Sono parole dure e gravi supposizioni, ma prendiamo il problema così come si presenta ponendo, come esempio, un operaio con tre o quattro figli a carico. La cifra che può percepire oscilla su una media mensile di L. 70.000 con la maggiorazione de. gli assegni (e questo a orario non ridotto). Da tale cifra deve togliere l'affitto, il vestire, le scarpe, la scuola, le imposte, ecc. che rappresentano spese in costante aumento, e quel che rimane non lo mette certamente in condizioni di farlo sentire colpevole di eccessivi consumi, in modo particolare per il settore carni.
Per lui è forse indifferente anche il ritorno al «tesseramento» dei generi di consumo come durante il periodo bellico: ma di fronte a certe situazioni gravi, i sacrifici per affrontarle dovrebbero essere sopportati da tutte le categorie e, secondo la mia idea, incidere in modo più diretto su coloro che hanno degli stipendi molto alti e ciò per dare un esempio a noi ed operare con giustizia.
Esaminiamo inoltre il caso di un pensionato il quale, generalmente è sempre un uomo di oltre 60 o 65 anni e spiegategli i motivi per cui dovrà campare ancora un anno per vedere la tanto decantata riforma. Se risponderà con tante parolacce compatitelo e perdonatelo: appartiene ad una categoria ignorante e umile (come lo saremo noi operai e contadini se ci arriveremo).
Se poi ingrana e comincia a parlare di altre categorie di pensionati che prendono il doppio o il triplo di quanto prende lui (e forse hanno lavorato anche meno) non ditegli le solite ragioni sul come e perchè la nostra società considera i meriti e valuta i suoi componenti poiché sono certo che non lo potrà comprendere (e in questo caso- non per mancanza di istruzione).
Se dicesse che quest'altra volta il voto non lo darà a nessuno, in quanto è stufo di essere abbin-dolato, lasciatelo dire...
E questo vale anche per i giovani e meno giovani che parlano, specie in questi ultimi mesi, di teorie rivoluzionarie, spesso dimenticando i benefici che hanno goduto nel periodo del recente boom economico.
A me, però, sembra che la cosa più grave sia la perdita d'orgoglio e del proprio pudore che si verifica tra gli operai fino a vergognarsi di essere dei lavoratori.




L. P.

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