IL NOSTRO LAVORO: Il NL - Anno 2 - N. 1 Viareggio - Gennaio 1964

1964

3° numero

immagine:  3° numero Siamo al terzo numero di questa pubblicazione. Non è affatto il caso di fare bilanci per vedere come stanno andando avanti le cose. Abbiamo messo insieme il testo del giornale secondo il metodo stabilito e con una partecipazione operaia da poter giustamente concludere che questo è un foglio a disposizione dei problemi operai e fondamentalmente composto dagli operai stessi. Nasce veramente da ambienti di lavoro e ha una concretezza autenticamente operaia.
La distribuzione è stata capillare, paziente, ma è arrivata pressoché in tutte le aziende, officine, centri di lavoro. E anche la distribuzione è stata fatta da operai nelle aziende più grandi. E dagli operai al cancello degli stabilimenti e dei cantieri sono state raccolte le offerte: non sono sufficienti a coprire la spesa presso la tipografia, sono però molto significative per impegno e simpatia. Alcuni amici hanno poi integrato la raccolta e il bilancio finanziario è in pari per i primi due numeri.
L'accoglienza da parte degli operai ai quali è destinata la pubblicazione, è stata serena, aperta, cordialissima, con chiari segni di vera comprensione e adesione, fino a simpatie incondizionate.
Gli altri? Da parte dei dirigenti d'azienda, classe padronale ecc. non vi sono stati né apprezzamenti, né risentimenti.
Qualche gesto d'insopportazione, ma forse determinato soltanto da nervosismo personale e null'altro.
Vi sarebbe da dire di chi sta ai margini del mondo operaio e guarda ciò che nel mondo operaio avviene con
occhio dubbioso, piuttosto sfiduciato, da posizioni di critica e di pretesa di chi sa quali cose. Certi impegni, come quello di questo foglio che non ha importanze particolari, ma è però di una certa originalità, non si possono
sostenere a forza di chiarimenti e di dimostrazioni fatte di parole: il foglio è quello che è. D'accordo, con tanti
difetti, con molti rischi, con alquante imprudenze e, concediamolo, con perfino eccessività, però il suo programma, il suo contenuto, le sue finalità non sono veri estremismi, tanto meno partigianeria.
E' una visione dei problemi umani del mondo del lavoro fatta dal punto di vista dell'operaio. Nessuno può negare il diritto di vedere le cose da un particolare punto di vista, e quindi con angolature ben precise.
Quel punto di vista non è stato accettato così a casaccio, come capita, e tanto meno preso da certe sistemazioni ormai ben determinate e organizzate su un piano ideologico e concreto: sarebbe stato impegno assurdo e forse anche facilone. Chi pensa così e giudica il foglio con questi criteri, dimostra di non aver capito nulla, e, quel che è peggio, verrebbe a dire che nel mondo operaio, se un'azione di seria e impegnata presenza viene tentata, non può che essere confusa con movimenti estremisti ecc.
E' ridicolo pensare una cosa del genere, eppure è mentalità diffusa.
No, il punto di vista dal quale fondamentalmente il giornale guarda il mondo operaio e i suoi problemi umani, in tutto il loro insieme, è il punto di vista cristiano. Vi è il Vangelo, vi è la dottrina sociale della Chiesa a stabilire e a offrire basi dottrinarie, criteri di giudizio e modi di impegno più che abbondanti per spingere coscienze aperte a entrare nel mondo operaio e annunciarvi una liberazione, stabilirvi una realtà di giustizia, insegnarvi una moralità di condotta e di rapporti fino a ottenere una dignità alla persona e alla sua collettività, in modo da costruire uomini veri e quindi cristiani autentici e Figli di Dio.
Soltanto, che al Vangelo e all'insegnamento della Chiesa, bisogna credervi fino alla fiducia più assoluta e quindi completamente al di là di ogni incertezza.
Se diamo un qualche esempio di questo coraggio, ne siamo contenti, se nel frattempo suscitiamo qualche perplessità, ce ne dispiace (ma non troppo, però), se poi riuscissimo a dare qualche fiducia, allora sarebbe veramente una gran gioia.
In ogni modo speriamo che qualcosa si muova nello stagno tranquillo dei ben pensanti, dei prudenti, dei saggi, per un crescere dì interesse e di simpatia verso questo gran mondo del lavoro.




don Sirio



La riunione di redazione per il numero di febbraio sarà fatta sabato 25 gennaio p.v. alle ore 21. Sono invitate le Commissioni interne, gli operai, gli amici.


Il discorso di Betlem

Noi vorremmo innanzi tutto presentarci, ancora una volta, a questo monito In cui noi ci troviamo. Siamo i rappresentanti e promotori della Religione Cristiana. Abbiamo certezza di promuovere una causa che viene da Dio; siamo i discepoli, gli apostoli, i missionari di Gesù, Figlio di Dio e Figlio di Maria, il Messia, il Cristo. Siamo i continuatori della sua (missione, gli araldi del suo messaggio, i ministri della sua religione, che sappiamo avere tutte le garanzie divine della verità. Non abbiamo altro interesse ohe quello di annunciare questa nostra fede. Non chiediamo nulla, eccetto la libertà di professare e di offrire a chi liberamente l'accoglie questa religione, questo rapporto instaurato fra gli uomini e Dio da Gesù Cristo, nostro Signore.
Noi guardiamo al mondo con Immensa simpatia. Se il mondo si sente estraneo al Cristianesimo, il Cristianesimo non si sente estraneo al mondo, qualunque sia l'aspetto che esso presenta e il contegno che esso gli ricambia. Sappia il mondo d'essere stimato ed amato da chi rappresenta e promuove la religione cristiana con una dilezione superiore ed inesauribile. E' l'amore che la nostra fede mette nel cuore della Chiesa, la quale altro non fa che servire da tramite dell'amore immenso, meraviglioso di Dio verso Sii uomini.
Questo vuol dire che la missione del Cristianesimo è una missione di amicizia in mezzo all'umanità, una missione di comprensione, d'incoraggiamento, di promozione, di elevazione; diciamo ancora di salvezza. Noi sappiamo che l'uomo oggi ha la fierezza di voler fare da sé, e fa delle cose nuove e stupende; ma queste cose non lo fanno più buono, non lo fanno felice, non risolvono problemi umani nel loro fondo, nella loro durata, nella loro generalità. Noi sappiamo che l'uomo soffre di dubbi atroci. Noi sappiamo che nella sua anima vi è tanta oscurità, tanta sofferenza.
Noi abbiamo una parola da dire, che crediamo risolutiva. E tanto più noi osiamo offrirla, perchè essa è umana. E' quella di un uomo all'uomo. Il Cristo, che noi portiamo all'umanità, è il «Figlio dell'uomo»: cosi Lui chiamava se stesso. E' il primogenito, il prototipo della nuova umanità, è il fratello, è il collega, è l'amico per eccellenza. E' colui di cui solo si può dire in verità che «conosceva che cosa ci fosse nell'uomo». E', si il mandato da Dio, ma non per condannare il mondo, ma per salvarlo.





Paolo VI

Natale agitato al cantiere F.lli Benetti

Gli auguri di Natale al cantiere F.lli Benetti sono stati dati agli operai quest'anno con qualche giorno di anticipo da parte della Direzione. Auguri particolari, naturalmente, auguri che forse nessun altro padrone ha mai dato in così brutale maniera in vicinanza di certe, ricorrenze quando, generalmente, più o meno apparentemente, gli operai si congedano dai padroni in maniera piuttosto familiare, scambiandosi gli auguri.
Bisogna subito dire che da un pò di tempo in detti cantieri si vive nell'equivoco ed è strano perch+ ciò avviene proprio ora che ci si è ingranditi e organizzati e il lavoro non manca; quando c'erano 2 o 3 baracche (6-7 anni fa) era tutta una famiglia, ora invece che tutto, per l'azienda, va per il meglio, ai padroni piace sfidare gli operai: così è stato ed in maniera talmente assurda da far nascere risentimenti profondi negli operai che sono stati costretti, a così pochi giorni dal S. Natale, ad incrociare le braccia con tutte le conseguenze che, in ambedue le parti, ciò comporterà.
Tutto è successo perchè, dopo scioperi succedutisi in questo ultimo mese per rivendicazioni riguardanti lavori a cottimo (forma di lavoro in uso nelle principali aziende) e premi di produzione, sembrava si giungesse ad un accordo, quando il principale ha fatto sapere che la questione, già in mano al sindacato degli industriali e a quelli degli operai, era preferibile discuterla nell'ambito della azienda in una maniera che lasciava sperare bene.
Però, una volta ritirato tutto e arrivati al nocciolo del discorso, il principale, con un fare misterioso, ha fatto marcia indietro, dicendo che non era il momento e con il classico «si vedrà» ha liquidato tutti.
Per gli operai è stato come un fulmine a del sereno, una parte così non la meritavano e quindi sono scesi nuovamente in sciopero.
Bisogna osservare la scena, l'indifferenza del padrone, l'attimo di ribellione degli operai; in qualcuno si notava un profondo risentimento: situazioni che, proprio vicino a questa grande festa, la migliore dell'anno penso, non sono la migliore cosa da portare a casa.
Particolare nota di rilievo e che non si è nemmeno voluta discutere la cosa e per gli operai e stata una grande delusione.
Quello che non si comprende (è uno che ha visto gli ultimi vistosi sviluppi del cantiere, che scrive) è questo: come fa il principale a dimenticare i tempi in cui invitava le maestranze alla più stretta collaborazione quando, in prossimità di certe scadenze di lavoro collegate a penalità rilevanti, si trovava in cattive acque: e allora gli operai lavoravano giorno e notte, di festa e di lavoro, ce la mettevano tutta e tutto, per la ditta, e tutto è stato sempre risolto nel migliore dei modi: era un piacere vedere la festa del varo; tutti contenti, il principale e gli operai che, anche se stanchi, avevano l'impressione di vivere in una grande famiglia.
Non si ricorda la direzione quando un'agitazione per richieste, di vari giorni, si risolse poi in un aumento di 1000 lire accettate dagli operai?
Questi ed altri fatti sono la riprova della buona volontà delle maestranze; lo sviluppo stesso della azienda è a riprova di tutto Questo è allora perchè, ora che tutto va per il meglio, succedono queste cose?
Tutti gli anni abbiamo assistito alla commovente scena degli auguri natalizi al principale, questo anno ciò non si è verificato e è stata una cosa che non ha fatto certo piacere agli uni e onore agli altri.
L'augurio che ci facciamo è che certe cose accadano molto più di rado: a tutti l'invito a fare il suo esame di coscienza perchè tutto ritorni, a detto di favola, come una volta e meglio ancora.


La Commissione Interna

Le regalie al dirigente

E' da pochi giorni che è passato il Natale. E poi c'è stato capodanno e infine l'Epifania. Sono solennità religiose di fondamentale importanza nella Fede cristiana e dovrebbero significare e comportare ripensamento serio e consapevole dei problemi dell'esistenza umana, ordinati a un cercare di poter vedere un po' con chiarezza di luce serena i misteriosi «perchè» della nostra vita.
Ma ormai tutto galleggia in una impressionante superficie di stupidità, perchè anche le cose più serie sono condannate a essere soltanto occasione di sforzature artificiose, di piatto convenzionalismo, di interessi più o meno verniciati a festa ma che nascondono un triste opportunismo o, peggio ancora, un egoismo camuffato.
Mi riferisco al Natale, tempo di regali. Ma non è per risentirmi contro la mania assurda dei regali, tanto è una pazzia in aumento, come tante altre del nostro tempo, e non c'è niente da sperare da un'opera di persuasione.
E nemmeno vorrei parlare del pacco (panettone, spumante, ecc.) che ogni azienda che si rispetti «dona» ai propri dipendenti, anche se spesso può significare una certa intenzione di copertura sentimentale di molti problemi di rapporti umani fra dirigenza e maestranza spesso troppo dolorosi da poter sperare di risolverli o addolcirli con un panettone (ma di questo, ricordo che se ne parlò l'anno scorso in un articolo che suscitò tanto scalpore).
Ma il problema che il clima del regalo di Natale ci fa venire in mente fino a tirar su una vecchia e sempre viva sofferenza, è quello delle «regalie» che i dipendenti fanno in occasione delle Feste o in altre occasioni bene studiate, ai padroni, ai dirigenti, ai capi personale, ai capi reparto e forse, perchè no, agli impiegati di cui, al momento buono, si può avere bisogno.
E'un discorso duro, che può comportare di perdere amicizie e simpatie fra questi poveri operai o dipendenti di ufficio che per sfondare hanno bisogno del fagiano, del fiasco d'olio, di un paio di capponi, della cassetta di liquori, o quando è la stagione, di un canestrino di funghi morecci, con le foglie di castagno sopra. Ma non importa, anche se poi «il nostro lavoro» certi capi reparto o dirigenti lo guarderanno di traverso, mal sopportando che si vengano a guastare soddisfazioni personali, servilismi piacevoli alle vanità e all'egoismo, pranzetti simpatici di fagiano cucinato all'olio d'oliva innaffiato di vino di vigna e rallegrato dal cesto di frutta venuto dalla campagna... per un saper vendere le proprie grazie ai dipendenti con sistemazione di posti privilegiati e favori del genere.
Molto cammino, grazie al cielo, è stato fatto per una liberazione dall'ingiustizia e spesso dalla disonestà della raccomandazione da parte del personaggio influente, e ora ciò che conta è la prova d'arte e ottima referenza di buon mestiere, ma il regalo portato a casa, dato in mano alla signora, arrivato fumante sulla tavola, può ancora molto, moltissimo, disgraziatamente.
Può far compiere, per esempio, gravi ingiustizie. Creare favoritismi al di là o anche contro motivi di merito per onestà capacità. E può lasciare marcire di rabbia il disgraziato che non ha fagiani e fiaschi d'olio a disposizione o che ha un po' di dignità personale che non vuole umiliare, fino a ridursi a chiedere il riconoscimento del proprio diritto non alla giustizia, ma all'avidità orgogliosa e pretenziosa del superiore.
Non so se i casi di corruzione a base di regali sono molto frequenti nel mondo operaio o impiegatizio. Ma gli operai che si abbandonano a questa immoralità che è tradimento nascosto verso i loro fratelli di lavoro, che è discriminazione creata fra gli operai da loro stessi, che è egoismo indegno e segno di debolezza servile e di degradazione personale da ogni punto di vista e che è un voler creare dirigenti corrotti e ingiusti, intriganti e disonesti, questi operai del fagiano non sono pochi e la piaga è dolorosissima.
Fra ì dirigenti sono sicuramente pochi, forse pochissimi, quelli che «accettano» il regalo a casa, dai loro dipendenti, meno ancora certamente quelli che se l'aspettano o che lo pretendono, sempre meno quelli che se ne lasciano condizionare fino al punto che finché non arriva il fiasco d'olio, loro non si decidono; assolutamente non ve n'è quasi nessuno di quelli che non la perdonano a quegli operai che non si sono arresi ma tengono fieramente, duri e testardi, il cappone nel proprio pollaio per mangiarselo a Natale coi propri figlioli...
Mi perdonino i dirigenti e i capi e i padroni ecc., ma il problema esiste, e trattandosi di un mondo fatto a collettività come quello aziendale, anche un caso solo, cioè anche un solo dirigente «sensibile» al regalo, crea nell'azienda situazioni incresciose fra gli operai che poi sempre vengono a sapere, vedono cose strane, ingiuste, e quindi si accendono rancori, si creano fratture, cedimenti o irrigidimenti fino a problemi angosciosi di coscienza, disagi profondi e quindi umiliazioni avvilenti o reazioni terribili.
Il malcostume della raccomandazione, e tanto più l'immoralità delle «regalie», non dovrebbero esistere nel mondo operaio dove il criterio fondamentale di apprezzamento dovrebbe essere soltanto il lavoro, la norma direttiva dello andamento aziendale dovrebbe essere «il bene» dell'azienda collettivamente intesa e la legge che regola i rapporti dovrebbe essere il sereno e giusto rispetto della dignità umana dal principale ugualmente fino all'ultimo manovale o apprendista.
E' una specie di crumiraggio il regalo al dirigente. Un vendersi alla cupidigia di un altro. Un comprare disonestamente ciò a cui si riconosce di non avere legittimo diritto. Un corrompere le coscienze, spingendo all'ingiustizia. E' un tradimento fatto nel segreto verso chi è legato alla tua stessa catena e non ti accorgi che con le tue stesse mani rendi più ingiusto e quindi più cattivo il mondo in cui anche tu devi vivere, irrespirabile quell'aria che pure tu devi respirare.
Lo so, caro amico, che non pensavi a tutte queste cose quando sei andato a casa del dirigente con il pollo a cui tua moglie, con un sospiro di rimpianto, ha legato le zampe con un tricciolo, prima di metterlo nella borsa.
Hai pensato soltanto che per rimediare a quel problema, per sperare a quel posto, per ingraziarti il principale e tenerlo buono per qualunque evenienza,, quella era l'unica cosa da fare.
No, vi è qualche altra cosa assai migliore e assolutamente onesta e doverosa: esigere che i superiori facciano il loro dovere per rispetto della giustizia, che i loro criteri di giudizio e di apprezzamento verso i dipendenti siano oggettivi, sereni e quindi disinteressati, pretendere che non vi siano discriminazioni e differenze irragionevoli, e quindi assurde simpatie o antipatie e tanto meno preferenze a base di interessi e di egoismi personali...
La morale è la regola pratica che indica ciò che è male e ciò che è bene, capace di guidare, attraverso una coscienza ben illuminata, ogni comportamento della vita umana. Vi è quindi anche una moralità propria della vita aziendale, di fabbrica, di rapporti di lavoro ecc. Chiedo scusa se mi permetto scrivere di questa moralità: mi pare, anche se può essere duro il discorso e se a molti può dispiacere e scocciare, che cercare di affrontare certi problemi sia doveroso per questo nostro foglio che vuole essere sensibile, pronto e aperto ad ogni problema di giustizia e di rapporti umani fondati sul rispetto degli uni verso gli altri.


d. S.

Un libro: Fiat confino - Storia dell'OSR

Il 15 dicembre 1952, a Torino, la Fiat mandò l'elettricista Pietro Baldini a sistemare un piccolo stabilimento, in Via Peschiera, per preparare l'apertura di una nuova officina, l'Officina Sussidiaria Ricambi.
L'apertura della nuova sezione venne spiegata con generici motivi tecnici, ma presto fu chiaro che la direzione non aveva alcun effettivo interesse per l'attrezzatura e la produttività del nuovo stabilimento, e i lavoratori trasferiti all'O.S.R. erano tutti attivisti dell'unico sindacato che si opponesse allo strapotere della azienda torinese.
La Fiat, nella lotta contro l'organizzazione operaia, cercava di decapitare il movimento di classe nei suoi stabilimenti concentrando in un vero e proprio ghetto gli attivisti più impegnati, e si preparava ad eliminare tutti coloro che non si fossero piegati alle discriminazioni ed ai soprusi, additandoli ai benpensanti come vagabondi per il minor rendimento dovuto alle pietose condizioni del macchinario.
Erano gli anni più bui della reazione antioperaia, ma quelli dell'O.S.R (battezzata dalla voce popolare officina Stella Rossa) non mollarono, smascherando le manovre del monopolio torinese davanti all'opinione pubblica italiana, tanto che la commissione parlamentare di inchiesta nelle fabbriche visitò l'O.S.R. e parlò con gli operai per una intera giornata. Fallì anche il tentativo di disgregare la compattezza dei lavoratori con l'immissione di una ventina di elementi provocatori, e quando nel dicembre 1957 gli operai furono tutti licenziati e l'officina venne chiusa, perfino il consiglio comunale di Torino, che pure era di maggioranza centrista, condannò all'unanimità il comportamento della Fiat: la tenace resistenza degli operai della O.S.R. aveva reso impossibile a chiunque chiudere gli occhi sul carattere di discriminazione dei licenziamenti.
La storia dell'officina Stella Rossa è stata rievocata, attraverso i racconti di trenta operai raccolti da Aris Accornero, nel libro "Fiat confino" (edizioni Avanti), primo volume di una collana dedicata alla condizione operaia in Italia. Attraverso le piane parole dei protagonisti la vicenda dell'O.S.R. rivela una dimensione esemplare, ricorda che vale sempre la pena di lottare, anche nelle situazioni più avverse.
Infine, le testimonianze degli operai torinesi, alcune di poche righe, altre di parecchie pagine, compongono, nelle disuguaglianze di espressione e di accenti (anche se la espressione è facilitata dalla generale condizione di attivisti e dirigenti politici e sindacali), un insieme in cui le varie personalità si fondono in un autoritratto umano e maturo della classe operaia.


E. V.

La domanda e l'offerta

Problemi raccolti presso l'azienda Pavimenti Apuani

immagine:  La domanda e l'offerta La mano d'opera, purtroppo, segue come gli altri beni di consumo o strumentali, la legge economica della domanda e dell'offerta.
Ad essa si attengono con "sacro scrupolo" gli imprenditori, applicando le norme economiche del liberalismo più degenere a tutto scapito dell'umanità e della dignità dei lavoratori.
Frequentemente - direi con titolo di merito - si sente dire: - Ma io applico le paghe contrattuali, do' tutti i suoi diritti. E questo specialmente lo si dice con soddisfazione come per aver compiuto integralmente il proprio dovere.
Accade anche che quando la mano d'opera abbonda, il padrone che ne ha bisogno offre il minor prezzo - quello per lui più conveniente e che gli consente di realizzare il maggior guadagno.
Per minor prezzo - sia chiaro - indichiamo la pura e semplice paga, base e contingenza. Quindi niente terzo elemento, niente caro pane, niente mensa (o indennità sostitutiva mensa) niente scatti paga, niente cottimo e spesso viene richiesta una prestazione superiore all'orario giornaliero stabilito, perchè "se non si fa la produzione che fa la concorrenza non sarebbe possibile far fronte alle ordinazioni col pericolo di sospendere il lavoro almeno parzialmente".
Questa spada di Damocle, anche nel XX secolo, pesa sugli operai e condiziona la loro personalità alle esigenze della produzione che, poi, si traducono in reddito del principale.
In situazioni di questo tipo non è possibile riconoscere un aumento di paga ai lavoratori più capaci, più anziani ed esperti e quindi più preparati e cioè che incidono di più sulle possibilità di realizzo della azienda perchè - altrimenti - bisognerebbe darlo anche a quanti - pur facendo lo stesso lavoro - non hanno gli stessi requisiti.
Il nuovo assunto viene posto alla conduzione di macchine ed immatricolato come manovale o manovale specializzato, mentre la sua retribuzione dovrebbe essere quella dell'operaio comune.
E le azioni del padrone vengono così autogiustificate, le une dopo le altre, in perfetta buona fede, che però costringe l'operaio a vedersi - per un verso o per l'altro - maggiormente sfruttato a tutto interesse dell' azienda.
Sappiamo dei periodi di fecondità e dei periodi di carestia anche per le aziende, ma esaminiamo un arco di tempo di 10-15 anni in cui sono compresi anche tempi di prosperità, si rileva che le cose non sono mai cambiate. Allora ci prende un senso di sgomento e di sfiducia in certa parte dell'umanità, tanto forte, fino a giustificare e legittimare ciò che la disperazione e le continue ristrettezze ma soprattutto la sete di giustizia sociale e la dignità umana offesa fanno compiere.


A. B.

Il crumiraggio

La nozione

Alcuni amici hanno chiesto alla redazione che parlassimo di quel frequente fenomeno che è il «crumiraggio».
Il concetto di «crumiro», strettamente collegato a quello di sciopero, è quanto mai semplice: crumiro è il lavoratore subordinato che continua a lavorare quando i suoi compagni scioperano, come colui che prende il posto degli scioperanti. Crumiro, insomma, è chi infrange la solidarietà di classe, rafforzando la posizione padronale.
Resterebbe da stabilire fino a che limiti si estenda naturalmente la solidarietà di classe (se, ad esempio, siano crumiri o no gli impiegati che non partecipano allo sciopero degli operai), ma un discorso del genere, sul quale tuttavia torneremo, non ci interessa ora. Ci preme, piuttosto, tentar di cogliere il significato umano e sociale del crumiraggio.
Andremo avanti per approssimazione, individuando una serie di punti che potranno essere sviluppati in seguito.
Di classe operaia - è un'affermazione scontata - si può parlare soltanto in periodo di capitalismo industriale. E' quando le imprese si accentrano intorno ai mercati, scardinando di colpo dalle campagne migliaia di uomini ed addensandoli nelle cosiddette cinte suburbane, che si crea l'ambiente idoneo a far sorgere rapporti nuovi tra i lavoratori.
La vita comune, i comuni problemi di sopravvivenza producono dapprima strette maglie di solidarietà, poi la coscienza di far parte di uno stesso tessuto sociale. I lavoratori si accorgono di poter trovare soltanto nella loro unità la forza di cercare un avvenire migliore e l'unità è facilitata e cementata dalla coscienza di avere di fronte un comune avversario contro il quale impegnarsi.
La solidarietà di classe nasce a questo punto e crumiro è dunque chi tradisce la propria vocazione naturale, che è quella di essere, permanentemente, con coloro che soffrono per le stesse ragioni.
Per conquistare condizioni di vita migliori, gli operai si accorgono dì poter contrapporre al monopolio padronale soltanto la loro unità. Nell'organizzazione sindacale la classe operaia sperimenta la propria coesione, negli scioperi soprattutto, riscontra la propria capacità di sacrificio e di resistenza.
Nell'agitazione sindacale, e nello sciopero soprattutto, la classe operaia ritrova la propria dignità umana, cessando, per una volta, di essere merce-lavoro. Il crumiro, dunque, rinuncia alla propria stessa dignità.
Gli operai acquistano coscienza di come i loro problemi di categoria siano il risultato di una determinata struttura sociale e si impegnano, in prospettiva, alla costruzione di una società nuova, nella quale scompaia la distinzione fra coloro che tutto posseggono e coloro che dispongono soltanto della propria forza-lavoro e l'uomo, cessato di esser merce di scambio, si liberi dalla più penetrante forma di schiavismo dell'era moderna.
Due sistemi di vita, l'uno in atto, l'altro appunto in prospettiva, si contrappongono e il crumiro tradisce la propria classe nel momento del suo massimo impegno.
Gli economisti parlano di «costo» dello sciopero. Per i capitalisti il «costo» è rappresentato dal mancato profitto e dal mancato ammortamento; per i lavoratori il «costo» è rappresentato dalla perdita definitiva del salario, che è l'unica loro fonte di sopravvivenza.
Nello sciopero i lavoratori gettano sul piatto della bilancia la propria capacità di resistenza, che non è illimitata, sperando di costringere a cedere il datore di lavoro. Il crumiro, diminuendo il «costo» dello sciopero per i capitalisti, è come rubasse i sacrifici dei propri compagni.
Ma anche il crumiro ha una sua realtà umana.
Egli è schiavo della miseria e della diseducazione e non è in grado di accorgersi dell'esatto significato di quanto sta facendo.
Non è in grado di accorgersi, ad esempio, di star condannando non solo sé stesso, ma anche i propri figli al perpetuarsi di una condizione di vita, della quale neanche lui può ragionevolmente esser contento.


S. R.

Il crumiraggio

L'etimologia

Quale l'origine del termine? La parola «crumiro» è penetrata in Italia alla fine del secolo scorso. «Krumiri» era il nome di una banda di predoni del Nord-Africa, che, al tempo dell'occupazione francese della Tunisia, si posero al servizio degli occupanti compiendo angherie e saccheggi contro le loro stesse genti.
Si è poi avuta la trasposizione nel campo sindacale, appunto per indicare e qualificare, con un indubbio senso dispregiativo e negativo, l'atteggiamento di chi, tradendo i propri interessi e quelli degli altri compagni di lavoro, si mette a disposizione del datore di lavoro per far fallire l'azione sindacale tendente ad ottenere miglioramenti di ordine economico e normativo. Parola dura e significativa, ne conveniamo.
Ma in altri Paesi il giudizio è più sferzante (e il picchettaggio molto... pressante e deciso). In Francia l'appellativo più antico è «fraux frére» (falso fratello) ma comunemente vengono usate espressioni come «rat» (sorcio) e «sarrasin» (saraceno). «Jaune» è il sindacato, la vera e propria organizzazione che, al servizio dèi padroni, organizza il crumiraggio. Gli Inglesi sono i più caustici: chiamano i crumiri «blakleger» (scarafaggi), mentre gli Americani adoperano «scab» (rognoso).
I più feroci rimangono i Giapponesi che bollano il crumiro con la parola di «peste».


Il crumiraggio

L'esperienza

Ecco a grandi linee il sistema usato in una Impresa per impedire l'adesione dei dipendenti agli scioperi e per dividere i dipendenti stessi in due categorie: crumiri e scioperanti, così da far franare le azioni di rivendicazione salariale. Queste infatti si protraggono per lungo tempo e in parte falliscono, perchè un numero non indifferente di operai continua a lavorare. Il sistema è articolato in modo tale che non si esaurisce durante gli scioperi, ma va oltre e sono soprattutto le conseguenze che comporta lo scioperare che influiscono sulle decisioni dei lavoratori.
Nell'azienda esiste un apposito registro sul quale vengono scrupolosamente segnati i nomi di coloro che non si presentano al lavoro. Questo registro è così importante che - dopo gli scioperi - viene consultato ad ogni minima richiesta dello operaio. E se uno è stato segnato nero su quel registro, nero resta: dall'azienda non avrà più alcun aiuto.
Se un figlio ha avuto la speranza di entrare in ditta, al posto del padre che lascia il lavoro dopo 20-30 anni di servizio... bisogna che si rivolga altrove: i figli di scioperanti non sono più graditi.
Se un operaio vuole migliorare la qualifica e vorrebbe un posto più adatto per arrivare, si prepari a veder passare gli anni e sfuggirgli di sotto tutti i posti migliori perchè su quel registro c'è stato scritto nero!
Ma per quello che non ha scioperato ed è stato fedele per più di una volta, forse dopo qualche mese, o anche meno il passaggio di qualifica è logico, l'assunzione di un parente è normale, la promessa di una casa è cosa sicura, e se poi ha bisogno di un prestito si potrà sistemare anche quello. Sorrisi, considerazioni e senza dubbio un brillante avvenire nella azienda.
Intanto, quando viene il momento della paga, lo scioperante prende solo quattro soldi, l'altro, invece, oltre alla paga normale ci trova premi straordinari, compensi speciali, e voci varie che in pratica raddoppiano il salario. Da 60 mila arriva a 110, 120 mila e più.
Perchè, fra l'altro, il crumiro può lavorare di più per sostituire chi manca. Gli viene chiesto se può rimpiazzare quel turno, se è disposto a continuare per quel altro, ci sarebbe da essere pronti nel caso mancasse anche il tale ecc. Allora la cosa diventa tanto complicata che l'azienda per agevolare questo crumiro gli offre da mangiare e dormire sul posto di lavoro. A conti fatti quello ha la prospettiva di mettersi un gruzzolo da parte, se lo sciopero continua. E perchè non dovrebbe accettare quando in un mese può comprare una motocicletta, o può saldare il debito della macchina, o può fissare una gita di qualche giorno magari all'estero? Sgobberà per un mese e forse più se lo sciopero si ripete spesso (pazienza se si trovano subito d'accordo, ma prima o poi si ricomincerà), ma qualcosa in mano gli resta! E con questi ragionamenti il crumiro dimentica i compagni che stanno sacrificandosi anche per lui.
Perchè chi sciopera non arriva alla metà del mese, fa debiti su debiti, chiede prestiti a parenti o conoscenti, si limita il fumo, il cinema ecc. E pensare che i crumiri stando dentro l'azienda oltre a tutto hanno pagato anche il mangiare, il bere, il fumo, ecc...!!!
In queste condizioni l'operaio non può essere libero di lottare per una rivendicazione giusta. Ci sono delle offerte da parte dell'azienda troppo allettanti; e ci sono delle conseguenze negative troppo dure. Il benessere preme a tutti e il bisogno non manca mai per giustificare una condotta poro leale nei confronti dei compagni di lavoro che lottano. Visti tutti i vantaggi che ne derivano e visti anche gli svantaggi, molti scelgono la parte di chi li sa comprare. Perchè tutti questi sistemi non sono che mezzi di acquisto della merce più preziosa: chi lavora. E le offerte così allettanti e così pressanti comprano, riescono a comprare e a dividere i lavoratori. Chi è col padrone perchè fa i suoi interessi, insieme a quelli del padrone e chi è contro, e non fa i propri interessi, ma fa gli interessi di chi non ha scioperato; perchè se vengono ottenuti gli aumenti li prende anche il crumiro e ne sente subito il vantaggio, mentre lo scioperante è tanto pieno di debiti che per qualche mese non se ne accorge neppure!
Questa è una storia di pochi mesi fa e vissuta con tanta sofferenza da centinaia e centinaia di operai per i quali la libertà di sciopero è stata soltanto la libertà di coprirsi di debiti, di rischiare cose incresciose, di rimetterci da ogni punto di vista, dentro e fuori l'azienda ecc.
Per i crumiri è stata invece la libertà di andare a lavorare e cioè di fare grossi guadagni, di ottenere privilegi d'ogni sorta, di mettersi contro i propri compagni di lavoro, di moltiplicare i rancori e forse odio nell'ambiente di lavoro e fuori ecc.
Non si può non domandarci se, nel primo caso come nel secondo, si possa parlare seriamente di libertà nel mondo operaio.


* * *

Il crumiraggio

Lettera aperta

immagine:  Il crumiraggio Caro amico crumiro,
Sì, sì, è vero, libertà di sciopero, ma anche libertà di lavoro. E vi è tanto di legge ad affermare questa libertà, vi sono le camionette della polizia a custodirla, vi sono i fuori busta a favorirla, vi sono le minacce ad aiutarla e molte altre cose, fra le quali un voler pensare egoisticamente soltanto a se stessi, infischiandosi degli altri: il tutto è per mantenere questa libertà di lavoro, in caso di sciopero, che molto spesso vuol dire soltanto e semplicemente libertà per l'egoismo.
E' verissimo che spesso è successo, e può ancora succedere, che lo sciopero sia a carattere più o meno politico, che i motivi siano poco chiari, fino al punto che spesso lo sciopero sembra doversi confondere con interessi di partito, con programmi classisti, ecc.
Sappiamo bene che gli operai spesso sono soltanto un pretesto o un mezzo, crediamo perfino che nessuno, o quasi, li ama fino a cercare soltanto il loro vero bene, ma sono invece sempre destinati a servire gli interessi degli altri... pure, nonostante tutte queste e altre ragioni ancora {tutte quelle che vuoi) il crumiraggio non può non essere condannato e respinto su un piano di valutazione umana e sociale per il semplice fatto che deve essere giudicato non una forma di libertà, ma, nel suo insieme e per la molteplicità del problema operaio, una affermazione individualistica ed egoistica. E l'interesse individualistico in una problematica sociale, collettiva, è sempre egoismo quando l'affermazione di questo interesse ritorna a vantaggio esclusivamente personale e materiale.
Ma non è il caso di fare disquisizioni. Sta il fatto, caro amico, che nessuno vuole diminuire la tua personale indipendenza, rimane però lampante (e vi dovresti riflettere coscienziosamente) che se tutti gli operai, i lavoratori, gli impiegati di aziende private o enti pubblici, avevano fatto come te, lavoravi ancora sedici ore al giorno, mangiavi pane e cipolle, vivevi nelle capanne, eri alla mercé del padrone come un mulo, carne da lavoro, legato ad una catena di schiavitù con tutta la tua famiglia ecc. ecc.
Caro amico, in questi ultimi cent'anni ce n'è stata di gente che ha sofferto perché chi veniva dopo vivesse un po' meglio. E tanta lotta e tanta sofferenza e tanto sangue, disgraziatamente, e stato necessario per un avviarsi ad una liberazione del lavoro da leggi ingiuste, da sfruttamenti incontrollati, da modi di lavoro inumani, da schiavitù spaventose.
Vedi caro lavoratore, quando in questi nostri tempi, al punto in cui siamo, tu rivendichi la libertà di lavoro, intendendola come libertà di poter andare a fare i tuoi interessi, di metterti dalla parte del padrone, di tentare di rendere inutile un sacrificio di gente che campa sul lavoro come te, di avere aumenti di salario con la pelle degli altri, dì ottenere privilegi col sacrificio altrui ecc., non parlare di libertà di lavoro, ma soltanto della libertà di essere un egoista e uno sfruttatore del tuo prossimo, e del tuo prossimo quando questo soffre e affronta sacrifici e pericoli per il bene suo e di tutti i suoi fratelli.
Non sono un rivoluzionario a pensare così e non favorisco la violenza, ne la giustifico: sono semplicemente un cristiano che ha imparato da Gesù Cristo il dovere di scoprire la sofferenza degli altri e parteciparla e condividerla, in modo da sollevarla e confortarla, non a renderla più pesante e forse tragica per loro e vantaggiosa per me, sfruttandola per i miei interessi materiali.
E' facile dire: faccio così perchè io non sono comunista. E sarà anche così: questo non mi riguarda. Ma stai attento di non dire con la stessa facilità: faccio così perchè io sono un cristiano. No, amico, il crumiro non può essere cristiano: neanche per ombra. Te lo dice, e con tanta affettuosa sicurezza, e nella più assoluta assenza da spirito, di polemica, di recriminazione e di insensibilità preconcetta, il tuo


d. S.

Previdenza sociale

Assegni familiari

Gli assegni familiari hanno avuto origine nel nostro sistema previdenziale nel 1934 quando ad alcune categorie di lavoratori fu ridotto l'orario di lavoro a 40 ore settimanali; così per compensare la conseguente diminuzione di guadagno furono dati gli assegni familiari ai lavoratori con figli a carico.
In seguito gli Assegni familiari assunsero un significato più ampio. Svincolati dall'orario di lavoro, furono estesi alla generalità dei lavoratori e concessi oltre che per i figli anche per gli equiparati ai figli (fratelli, sorelle, nipoti), per la moglie e i genitori. Le leggi del 17.6.1937, 6.8.1940, 16.9.1946 e seguenti hanno disciplinato dettagliatamente la materia basandosi sul principio di considerare l'uomo che lavora non solo in sé stesso ma altresì in rapporto alla sua condizione sociale.
Infatti il salario (anche se fosse in ogni caso sufficiente) attualmente è stabilito in funzione delle esigenze generiche di un individuo e non tiene pienamente conto delle situazioni particolari e familiari in cui si trova chi lavora.
E lo stesso salario non può essere sufficiente tanto per uno scapolo quanto per un lavoratore con moglie e figli a carico.
D'altra parte se il salario di uno sposato fosse più alto di quello dello scapolo è cosa sicura che aumenterebbe per il datore di lavoro la possibilità di scegliere dipendenti non sposati dato che per questi sarebbe tenuto a corrispondere un salario inferiore. Così si troverebbero con maggiori difficoltà di impiego i lavoratori con famiglia a carico.
Gli assegni familiari, allora hanno il compito di compensare l'insufficienza del salario in rapporto alle particolari situazioni di vita del lavoratore. E questo è un rapporto sancito dalla Costituzione stessa in quanto l'articolo 36 dice espressamente: «Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione... in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla sua famiglia una esistenza libera e dignitosa».
Venendo all'argomento in pratica (e solo in un aspetto essenziale in quanto la materia è molto vasta) sappiamo per esperienza che gli importi attuali degli assegni familiari non sono sufficienti a compensare le deficienze del salario in rapporto alle necessità familiari. Essi sono così ripartiti:
ASSEGNI MENSILI
figli coniuge genitori
• Per i dipendenti da aziende industriali, artigiane,
commerciali, ecc. L. 4.940 L. 3.588 L. 1.430
• Per i dipendenti da aziende del credito,
assicurazione, ecc. L. 6.500 L. 6.500 L. 6.500



E. C.

Lettere in redazione

Caro don Sirio,
sono un operaio della Soc. Montecatini e seguo il giornale "Il nostro lavoro". Ho avuto occasione dì notare alcune cose nei giorni 23-24 di questo mese.
Grazie ai nostri cantieri e alle nostre piccole fabbriche viareggine, come ho potuto vedere con i miei occhi, tutti gli operai sono andati a casa con in cima al manubrio del proprio mezzo il dono tradizionale della sua fabbrica. Ma non è vero affatto che tutti gli operai hanno avuto il dono, perchè gli operai della Montecatini.... non hanno portato ai suoi bimbi il panettone da essa offertagli.
Chissà perchè? Sarà per reintegrare gli elargimenti che codesta Società aveva nel passato? cioè nel "46-48?... oppure sarà perchè la Società Montecatini non si trovi in condizioni finanziarie di poter fare ciò?
Se ella è tanto gentile da pubblicare o rispondere a questa mia, inizierò io stesso le mancate offerte di questo stabilimento.
Grazie
Anonimo


Pubblichiamo volentieri questa lettera perchè è colmata di tanta sofferenza e poi perchè vogliamo accogliere i problemi di tutti gli operai. Quindi l'anonimo che ha scritto non si deve sentire obbligato verso il giornale, perché ha pubblicato il suo rammarico verso la sua azienda. E' per noi un dovere e una gioia essere motivo di soddisfazione per gli operai.
Ci permettiamo però di dire al nostro amico della lettera di non dolersi troppo perchè la Società Montecatini non ha avuto la sensibilità di fare un qualsiasi dono alle sue maestranze in occasione del Natale. Questi pacchi natalizi a volte sono soltanto un formalismo paternalistico vuoto di premura e di vera considerazione, come i doni che il Sindaco o il Prefetto o la buona signora distribuiscono agli orfanelli. Molte cose le aziende dovrebbero fare per adempiere ai loro doveri di rapporti umani verso i dipendenti: sono doveri di rispetto, di stima, di giustizia, di libertà, di dignità umana ecc.
Non sappiamo bene se alla Montecatini tutto questo viene compiuto coscienziosamente e adeguatamente. Tu cosa ne dici, caro amico?
Però hai ragione, e può darsi che sia giusto, anche se noi non siamo d'accordo. Sarebbe stato un atto gentile, di considerazione umana quale può essere un dono a Natale a chi tutto l'anno logora la sua vita nel lavoro.
E' vero che un piccolo gesto di bontà a volte riesce a rimediare a tante cose
Però, per motivo di oggettiva onestà e perchè è giusto dire come stanno tutte le cose, bisogna, caro amico, che tu tenga presente che a marzo i dipendenti della Montecatini, ricevono (e è già da due anni) una gratifica di 175 ore di retribuzione, quasi l'equivalente a una 14.a mensilità: gli operai delle altre aziende non sanno nemmeno cosa sia questa gratifica primaverile. Di questo fatto bisogna darne atto pubblicamente alla Montecatini e anche tu devi riconoscere che è assai più di un panettone. Però comprendiamo la tua amarezza per quel piccolo segno mancato a Natale e ci auguriamo che al prossimo Natale le cose vadano secondo i tuoi desideri.



Un'inchiesta

Risposte a domande fatte a una quindicina di giovani operai e operaie, dipendenti da diverse aziende, riportate su «Politica», un quindicinale stampato a Firenze, nel numero 17 del 1 ottobre 1963. Eccone uno stralcio:
«Come si comportano i datori di lavoro nei confronti dei dipendenti? Io le racconto due fatti e stia sicuro che non sono inventati. A chiunque può chiedere conferma di quanto sto per dire. Chi sta parlando è un giovane tornato da pochi mesi dal servizio militare.
E' giusto, dice, che uno tornando dal servizio militare, si senta dire che nella fabbrica dove ha lavorato prima di partire, non c'è più posto per lui? Io dico di no. E questo è il primo. Ora c'è il secondo. E' successo di recente. Un datore di lavoro è stato condannato dalla pretura per aver commesso dodici reati nei confronti dei suoi dipendenti e degli organi assicurativi. Questo datore di lavoro non ha versato all'INPS il contributo del 15% a favore del fondo di disoccupazione su undicimila ore di lavoro straordinario eseguito da 87 operai, i contributi alla cassa assegni familiari, alla Cassa integrazione guadagni, all'INAM per il trattamento economico di 86 lavoratrici madri; non ha inviato i rendiconti dei contributi; ha versato a 86 operai le buste paga senza l'indicazione delle ore di lavoro straordinario effettuato in due anni e ha fatto eseguire a 29 apprendisti 48 ore di lavoro alla settimana, anziché 44 come prescrive la legge... un bel po' di roba, non le pare? Ma se l'è cavata con la multa di poche migliaia di lire, una sciocchezza.
- Non è un caso particolare?
- Non è un caso particolare. Più o meno tutti fanno così. C'è però che riesce a sgabellarla, grazie a conoscenze o alla bravura dei suoi impiegati nel camuffare le sue irregolarità».



Chiarezza d'idee

L'insegnamento della Chiesa non può costituire in se stesso un programma politico: qui è l'errore. Questo insegnamento si limita alla sfera dei principi. Quanto alla loro applicazione in concreto, questo sarà compito di un programma di azione politica, e questi programmi potranno essere numerosi secondo la diversità delle situazioni e secondo, bisogna ben dirlo, le abitudini di pensiero e i temperamenti degli uomini politici che dovranno tradurre quei principi in fatti concreti.
Vi sarà sempre una politica di sinistra e una politica di destra, che potranno, l'una e l'altra, definirsi riferendosi all'insegnamento della Chiesa.
Ma ciò che mi addolora è che la tendenza più generalizzata fra i cristiani e il clero è di tendere verso una politica di destra. Sì, vi è una maniera di considerare le cose umane che dà una grande importanza ai valori dell'ordine stabilito e alla ricchezza economica, e vi è un'altra maniera di considerare le cose umane che si pone avanti a tutto dal punto di vista dei poveri. Questi ultimi hanno il torto di non avere della competenza, e le loro aspirazioni contraddicono a volte le regole sane e ragionevoli di un'economia capitalista ben amministrata. Mi pare che vi sia una prudenza dei poveri e una prudenza dei ricchi.
E se provo della tristezza, è perchè la maggior parte delle reazioni politiche dei cristiani si ispirano più alla prudenza dei ricchi che a quella dei poveri.
L'insegnamento molto preciso del Santo Padre (Giovanni XXIII), nell'ultima enciclica, afferma che ogni opinione politica deriva prima di tutto dalla responsabilità dei laici competenti. Il che vuol dire che la Chiesa nella sua gerarchia, pur riservandosi il diritto sovrano di giudicare tutte le imprese umane dal punto di vista della morale divina, non deve più scendere direttamente nella arena politica.
Voglia il cielo che questa suprema saggezza sia compresa, e che coloro che si pongono, in politica, dal punto di vista dei poveri, sia pure a prezzo di qualche errore - e chi non ne ha anche a destra? - non siano più costantemente giudicati e condannati senza misericordia, come se si allontanassero dall'insegnamento della Chiesa.

Trad. da un diario privato francese


Offerte degli operai per il giornale

Le offerte degli operai che ci sono pervenute sono:
Compagnia lavoratori portuali .L. 5.000
Pavimenti Apuani . . . » 4.350
Società Esercizi Cantieri » 5.280
S.A.L.O.V » 3.525
Cantieri Nav. M. B. Bonetti » 9.600
Cantieri Nav. P. Picchiotti . . » 8.850
F.E.R.V.E.T. . » 7.200
Montecatini Marmi . » 15.950
Rubinetterie Ponsi » 9.800
Di questo numero sono state tirate 5.000 copie,
con un costo complessivo di L. 75.000.


questo numero...

Le offerte degli operai che ci sono pervenute sono:
Compagnia lavoratori portuali . L. 5.000
Pavimenti Apuani . . . . » 4.350
Società Esercizi Cantieri » 5.280
S.A.L.O.V » 3.525
Cantieri Nav. M. B. Bonetti » 9.600
Cantieri Nav. P. Picchiotti . . » 8.850
F.E.R.V.E.T. . » 7.200
Montecatini Marmi . » 15.950
Rubinetterie Ponsi » 9.800
Di questo numero sono state tirate 5.000 copie,
con un costo complessivo di L. 75.000.


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