Foglio di problemi umani nel mondo del lavoro
Già da molto tempo, sono mesi, stavo rimuginando l'idea di una pubblicazione periodica sia pure ridotta e povera, che riflettesse, con fedeltà e sincerità, la vita operaia di Viareggio.
Quell'esperienza che ho vissuta in tre anni di lavoro e poi in altri tre di contatto quotidiano con gli operai, mi hanno sensibilizzato ai problemi della condizione operaia, scoprendomi doveri di presenza, di partecipazione e d'intervento per tentare qualcosa che valga un miglioramento di rapporti, un clima più sereno, una dignità umana più rispettata, una valutazione del lavoro più sentita.
A tutto questo, più altre finalità strettamente cristiane e sacerdotali, ho mirato con la mia vita di prete operaio. E è per lavorare ancora a questi scopi, che ho pensato a una pubblicazione ordinata a raccogliere tutti i problemi su un piano umano della condizione operaia, per dire una parola serena capace di illuminare situazioni buie, liberare da soffocazioni ingiuste, sollevare un po' di fiducia e di speranza, allargare visuali e prospettive al di là dei limiti d'interessi personali ed egoistici.
Vi sono grossi problemi di educazione, di formazione al vero spirito operaio, che è doveroso affrontare. E sta il fatto che questa preoccupazione di educarsi al concetto della dignità della propria persona e del proprio lavoro, gli operai devono sostenerla con la loro buona volontà, perchè nell'azienda tutto il problema è soltanto problema di produzione al massimo e con la minore spesa possibile. Tutto il resto va bene sempre, quando si china la schiena e si dice sempre che è cotta.
Ho pensato che un prete che vive nel mondo operaio ha il dovere di occuparsi di questi problemi. Non sono qui per celebrare Messe nelle aziende e per dare Benedizioni o amministrare Sacramenti: sono qui perchè tutti i problemi dei fratelli operai siano anche problemi di un prete e quindi della Chiesa. Perchè tutta la loro sofferenza e fatica quotidiana sia sofferta anche da un prete e dalla Chiesa.
Perchè tutto questo sia vero non soltanto su un piano soprannaturale e invisibile, ma in modo concreto ed effettivo anche su un piano di testimonianza ho creduto che il modo migliore era lavorare con serietà e responsabilità alla stampatura di un foglio che rendesse visibile e responsabile a tutti i livelli questa presenza e questa partecipazione.
Può darsi che sempre più io venga a risultare dalla parte dei poveri e sembrerà che sempre più si aggravi un'impressione di polemica contro i ricchi e i padroni: non credo, perchè sarà sempre vero che quando si cerca la Verità e la Giustizia con sincerità e disinteresse, non si cerca mai per gli uni o per gli altri, si cerca per tutti.
D'altra parte Gesù Cristo diceva che ciò che vi è stato detto in un orecchio ditelo sui tetti, e a voler essere testimonianza di Lui, come ci ha comandato, è inevitabile trovarsi intruppati coi poveri e coi deboli.
E Pio XII diceva già nel '42: «la Chiesa non può ignorare o non vedere che l'operaio nello sforzo di migliorare la sua condizione si urta contro qualche congegno, che lungi dall'essere conforme alla natura, contrasta con l'ordine di Dio e con lo scopo che Egli ha assegnato ai beni terreni. Chi e soprattutto quale sacerdote o cristiano potrebbe restare sordo al grido che si solleva dal profondo e che in un mondo già fatto giusto da Dio, invoca giustizia e fratellanza dagli uomini? Ciò sarebbe un colpevole, ingiustificabile silenzio».
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Ho pensato d'intitolare questo foglio che vorrebbe, ogni mese, essere seguito e letto da tutti i lavoratori della zona di Viareggio, «il nostro lavoro». E' perchè questo foglio vorrebbe essere una pubblicazione di tutti i lavoratori, di chi lavora, cioè di chiunque è impegnato in una prestazione della propria attività alle dipendenze di aziende piccole o grandi che siano.
E' vero che io non sono più nella condizione operaia. Ormai è già molto che non ho le ossa rotte alla sera per la fatica dei lavoro in cantiere, i calli mi sono spariti dalle mani e il libretto di lavoro, eccolo lì davanti, sulla mia scrivania, rimasto solo un ricordo e una nostalgia.
D'altra parte però anche se non posso più lavorare materialmente, se non sono più un prete operaio, un prete cioè che fa la vita operaia a tutti i livelli, sono rimasto totalmente aperto ai problemi operai, appassionatamente sensibile a tutto ciò che riguarda i lavoratori. E' per questa sincerità che mi sento giustificato a considerare il vostro lavoro ancora come mio lavoro: è di qui il titolo di questo foglio: il nostro lavoro.
Mi pare d'altra parte di potermi sentire nella condizione migliore per occuparmi di tutti i vostri problemi di lavoratori.
Penso di avere una preparazione spirituale e sacerdotale che mi renda aperto a una totale amicizia con tutti gli operai. Ho una esperienza di lavoro pagata di persona, vissuta per lunghi anni nella condizione operaia più completa. Mi trovo attualmente a vivere in piena povertà e non solo materialmente, ma anche da un punto di vista d'importanza personale veramente a zero. E forse è per questa mia situazione di povertà e di nessuna importanza, nemmeno ecclesiasticamente, che sento di avere una indipendenza e una libertà quasi illimitata nei confronti di tutti. Soltanto la mia Fede cristiana mi determina, ma questa mi spinge sempre più verso i poveri e i lavoratori.
Ho anche del tempo disponibile fin che voglio e spero anche qualche capacità di vedere serenamente i problemi e trattarli con onestà e compiutezza.
Allora ho deciso di rientrare nel mondo operaio, assumendone tutti i problemi, le difficoltà, le sofferenze: e non in modo silenzioso, nascosto, vissuto soltanto davanti a Dio, ma scoperto, coraggioso e responsabile attraverso questo foglio sul quale vorrei vivere ancora e seriamente «il nostro lavoro».
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Di che cosa si vuole occupare questo foglio mensile.
Vi sono già riviste e pubblicazioni sui problemi operai e di lavoro. D'altra parte è risaputo che in generale gli operai non hanno gran voglia di leggere e ne hanno anche poco tempo.
Tutto questo è vero, ma è vero anche che esistono problemi che devono stare a cuore agli operai. E questi problemi vanno trattati e bisogna cercare di risolverli, perchè ne va di mezzo il bene di ciascun operaio e della classe operaia nel suo insieme.
Sono sei anni che sono qui in ambiente operaio. E ci vuol poco a notare che la forza unitaria del mondo operaio si è andata sempre più sbriciolando in interessi individuali.
I frazionamenti sindacali, poi le delusioni, la possibilità di farsi strada da soli, la tentazione della sistemazione, la pressione padronale, la paura del licenziamento, la difficoltà di nuovo impiego ecc. hanno fatto sì che questa visione unitaria, questa solidarietà sia andata indebolendosi e forse vada indebolendosi sempre più.
Eppure vi sono terreni comuni sui quali tutti possono e devono convenire. Interessi identici. Basi fondamentali d'accordo. Elementi d'unione.
E' doveroso, almeno a me sembra, cercare d'interessare gli operai di un'azienda ai problemi, ai fatti agli avvenimenti di un'altra azienda, di tutte le aziende. Se non altro su un piano d'informazione.
Questo foglio vorrebbe raccogliere tutte le notizie interessanti le diverse aziende e comunicarle a tutto l'ambiente operaio della città. Molte cose (mentalità, modi di trattare, situazioni non simpatiche, prepotenze, ingiustizie ecc. e anche lodevoli iniziative, mentalità aperte, sensibilità doverose ecc.) non devono rimanere dentro i cancelli e tanto meno fra le pareti di un ufficio e quindi nel gozzo di un povero disgraziato costretto a ingollare. Vi deve essere un foglio che raccoglie e, con un criterio di giudizio schiettamente umano, deve narrare come stanno le cose e dire: questo ci sembra fatto male e questo bene, così sì e così no.
L'unione si fa attraverso l'interessamento vicendevole. La simpatia si ottiene affrontando con coraggio le cose. E il rispetto si ha a non avere paura della verità. Allora è facile anche ottenere un clima di comprensione e di Amore fra gli uomini e quindi anche fra i lavoratori e datori di lavoro.
Può darsi che giudichiate tutto questo ideale irrealizzabile: però rimane doveroso fare qualche cosa, tentare.
Sta il fatto che questo foglio non si occuperà di questioni e di problemi sindacali. Non va mai bene fare ciò che possono e devono fare gli altri. I sindacati sono l'organizzazione essenziale del mondo operaio. L'operaio che si rispetta deve affidarsi al proprio sindacato e viverne tutta l'attività con serietà, impegno e disciplina, nella fiducia che il sindacato cerchi unicamente il bene della classe operaia.
Credo che nessun operaio in tutti questi anni che sono qui può dire che io mi sono occupato di sindacalismo, che ho cercato di fare qualcosa di pertinenza dei sindacati, che mi sono pronunciato per un sindacato o per un altro. E tanto più poi per problemi politici e di partito.
A ciascuno il suo compito e la sua attività. Ho sempre pensato che il fatto che ero un prete, e un prete nel mondo operaio, mi comportava soltanto una cosa: fare il prete e basta.
Questo foglio vorrei che fosse un po' come un cuore aperto: sempre pronto ad accogliere ogni sofferenza, ogni ingiustizia. Come un'anima sensibile capace di partecipare ogni problema. Come occhi attenti ai quali niente sfugge o passa inosservato. Vorrei che fosse una scuola che insegna materie fondamentali come la giustizia e l'Amore e la pace fra tutti. Vorrei che fosse come un libro aperto dove tutti possano leggere che gli uomini sono tutti uguali, che il lavoro è diritto, dovere e dignità umana, che il danaro non deve fare dei mangiatutti...
Problemi umani, di dignità del lavoro e di rispetto della persona umana. Problemi di rapporto fra dirigenti e maestranze, fra impiegati e operai, Problemi di unione e di simpatia e di collaborazione fra i lavoratori di una stessa azienda e delle aziende fra loro: questo è il campo di lavoro di questa pubblicazione.
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E' chiaro che tutta questa attività è possibile svolgerla a patto che io trovi collaborazione nel mondo operaio. Questo deve essere un foglio scritto dagli operai, se non materialmente, almeno da un punto di vista di collaborazione.
Non sempre posso riuscire a sapere cosa capita in questa o quell'azienda. E non è facile nemmeno venire a conoscenza di una ingiustizia perpetrata a un singolo operaio. Vi sono discorsi o modi di trattare usati nelle aziende non davvero simpatici, ma non è semplice conoscerli. Se uno ingolla una pillola amara e tace per non avere la possibilità di risentirsi, non ci si può far nulla. Se vogliamo fare qualcosa per migliorare le condizioni umane (e sono importanti non soltanto quelle economiche, gli operai non dovrebbero dimenticare che queste sono sempre una conseguenza di principi di valore umano affermati e difesi) se vogliamo fare qualcosa, bisogna denunziare ciò che non va, ciò che è fatto male ecc. e indicare il modo giusto di vedere e di risolvere i problemi.
La collaborazione. Ho bisogno di sapere le cose. E' logico che devono essere problemi seri, controllati e rispondenti a verità. Poi l'articolo da pubblicare viene da sé. E anche senza dire nomi e circostanze, tutto sarà molto chiaro e scoperto. E ciò che è detto a Betta si dice perchè intenda anche Nena.
Non mancherà tutta la discrezione e la riservatezza necessaria e in ogni modo la responsabilità di ciò che è pubblicato sarà esclusivamente mia.
Collaborazione quindi e interessamento per la diffusione del foglio. Vorrei che aveste l'impressione come di avere un amico che vi parla, a leggere queste due pagine. Un amico che vi racconta questa cosa o quest'altra, che si preoccupa di questo o di quest'altro problema, ma sempre da amico, con serenità e bontà, con serietà e senso di responsabilità in modo da meritare veramente una piena e totale fiducia.
don Sirio
dal Messaggio all'umanità del Concilio Ecumenico:
«Il Sommo Pontefice stimola tutti verso la giustizia sociale. La dottrina esposta nella lettera e nell'Enciclica "Mater et Magistra" chiaramente dimostra come la Chiesa sia oggi assolutamente necessaria al mondo, per denunciare le ingiustizie e le indegne ineguaglianze, per restaurare il vero ordine dei beni e delle cose affinché, secondo i principi del Vangelo, la vita dell'uomo divenga più umana».
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dalla Radio Vaticana il giorno 22 ottobre 1962
«Non macchinazioni politiche, ma la persuadente lealtà della verità; non la costrizione fisica, ma la testimonianza rispettosa e travolgente dell'amore; non orgoglio di dominio, ma un'incontenibile ansia di servire; non la superba ambizione di riformare gli altri, ma un prorompente desiderio di rinnovare se stessi; non la preoccupazione di erigere barriere, ma di abbattere quelle che esistono affinché gli uomini sentano e vivano (come fratelli, come figli di uno stesso padre: questo lo spirito che anima i lavori dei padri conciliari.
«Non è possibile ignorarlo, non è più possibile equivocare. Il messaggio che ieri hanno lanciato al mondo è un impegno solenne di fronte a tutta l'umanità. Tutta l'umanità può cogliervi l'eco delle pagine più nuove, più rivoluzionarie, più sublimi del Vangelo.
«Coerente con i motivi più genuini e più autentici delle pagine evangeliche sarà la linea che guiderà le loro azioni. Non i grandi, ma gli umili, non i ricchi, ma i poveri, non i forti, ma i deboli, non i sazi, ma coloro che hanno fame, non i sapienti, ma gli inconsci, saranno oggetto delle loro premure, delle loro preferenze.
«Salvaguardare la dignità dell'uomo, denunciando le ingiustizie, le assurde, disuguaglianze tra gli individui, tra le classi, tra i popoli, tra le nazioni, tra i continenti, restaurare il vero ordine dei beni e delle cose, promuovere la fraternità fra i popoli, restaurare la pace nel mondo, costituirà l'ideale sempre presente in ogni riunione conciliare.
«Nel messaggio dei Padri Conciliari è facile cogliere che la Chiesa si accinge a dare al mondo la testimonianza più solenne del primo e più grande comandamento: quello dell'amore».
E' successo in un'azienda. Un'azienda cresciuta su e fiorita dal dopoguerra. In pochi anni i profitti sono stati sicuramente rilevanti. Non è che si sappiano i conti in banca, ma che le cose sono migliorate si vede. E non soltanto dall'azienda che marcia a gonfie vele, e ne sia ringraziata la Provvidenza, ma da tutto un insieme assai ostentato e magnificato.
Nulla di male. Gli operai non sono invidiosi del bene altrui e continuano umilmente a servire chi ormai è arrivato: il capitale, da noi, suscita ancora rispetto e verrebbe da dire, devozione. E quando il capitale è riconosciuto in misure notevoli, si trova, come dire, al di là della portata dell'invidia della povera gente e ottiene soltanto rispetto.
D'altra parte è giusto riconoscere che nel miglioramento ottenuto fino alla ricchezza, vi ha giocato sicuramente capacità di lavoro, sagacia, spirito di sacrificio e intraprendenza ecc. Doti giustamente da ammirare. Capacità di considerare con tutto rispetto.
Oli operai di questo sono particolarmente generosi e riconoscono in pieno e così volentieri fino a provare sentimenti di orgoglio a essere alle dipendenze di chi ha saputo «sfondare» affermandosi in successi industriali.
«Pensare che è partito dal nulla» é sempre un discorso carico di ammirazione.
Anche perchè la persona onesta riconosce il diritto di tendere continuamente al miglioramento delle posizioni.
Soltanto che questo diritto - almeno questo diritto - andrebbe riconosciuto a tutti.
Anche l'arrivato, anche chi ha avuto successo, che ha migliorato le proprie posizioni, deve riconoscere questo diritto al suo prossimo e specialmente lo deve riconoscere a chi ha contribuito al proprio miglioramento, a chi gli ha dato possibilità di successo.
Un dipendente riceve un'offerta di lavoro con un sensibile miglioramento di guadagno. Sono anni e anni che la busta se l'è ingoiata tutta quel mediocre mantenimento della famiglia. Non un passo avanti. Niente risparmi. Quella casa è sempre la stessa. Il mangiare, su per giù è sempre quello. Se qualcosa è cresciuto è il numero dei figli e crescono ogni giorno i loro bisogni. Sempre a camminare sul filo del rasoio di un andamento economico da equilibrista.
Traspare un sogno. Un guadagno fortemente maggiorato e i progetti, alla notte, nel dormiveglia, si moltiplicano.
Il discorso al principale è molto semplice: se mi cresce la paga, rimango, altrimenti anch'io ho diritto di andarmi a «ingegnare» (la parola è magnifica e dice tutto).
Nasce il finimondo. Parole grosse. Minacce. Niente aumento, si capisce, e «se te ne vai, ricordati che non rimetti più piede qua dentro».
Ecco, questo non va bene. Perchè tanto inquietarsi? La cosa tanto terribile, in fondo, è soltanto un semplice problema di giustizia: riconoscere agli altri ciò che si giudica per se stessi un assoluto diritto.
Migliorare le proprie condizioni di vita è proprio della natura umana: l'uomo è un essere perfettibile, dice il filosofo. E se abbiamo un po' di civiltà è perchè l'uomo ha cercato sempre di migliorare, di rendere sempre migliore la propria esistenza.
Ma questo diritto - almeno in linea di principio sicuramente e, speriamo, sempre più anche su un piano di fatto - questo diritto appartiene a tutti, non è soltanto un diritto riservato a pochi.
E tanto più questo diritto l'ha chi quel poco di miglioramento se lo guadagna bagnandolo del proprio sudore.
Non è bello e tanto meno giusto considerare il dipendente come legato alla macina del frantoio che frange per il proprio esclusivo benessere: ormai nemmeno l'asino ci legano più, con una benda sugli occhi per evitargli l'impressione di girare sempre in tondo, costretto a far sempre quel cammino a strada obbligata e sempre al solito passo, per avere alla sera, sempre, la solita manciata di paglia.
Parliamo di quel gruppo di operai che al mattino parte a bordo della Draga dal fumaiolo col pennacchio di fumo a vaporiera, del rimorchiatore che sbuffa come un fumatore di pipa, della pompetta, delle bette: di quell'armamentario vecchio decrepito per la escavazione del porto.
Partono dall'attracco al «cantaccio» acqua ferma e nera come la pece, sfilano in ordine all'uscita della Darsena Toscana e il rimorchiatore fa una sfumacchiata quando fischia, rauco e sfiatato, perchè la passerella si prepari aperta.
Poi i rimorchiatori trascinano gli altri mezzi di escavazione compresa la solenne Draga Viareggio, qua e là per il porto o all'imboccatura dove le mareggiate fanno una groppa d'asino di sabbia sì che i motovelieri del traffico con la Sardegna non possono né entrare né uscire dal porto.
E' un duro lavoro, esposto all'intemperie, disagevole e di poca soddisfazione .Tant'è vero che tutti a Viareggio i marittimi non hanno che da lamentarsi del porto per quel fondale di sabbia spesso buono soltanto per i patini.
D'altra parte le ore di lavoro sono quelle che sono: fra l'andare e il tornare con quei vecchi e rattoppati stantuffi, si perdono delle ore e di quelle di escavazione effettiva ne rimangono poche.
Nasce il problema delle ore straordinarie di lavoro. In fondo è cosa normale e arrotonda anche il mensile, spesso, nei periodi di tempo cattivo, assai ridotto.
Ma dal luglio dell'anno scorso, 1961, il problema del lavoro straordinario è diventato un problema di ingiustizia di cui è vittima quel gruppetto di operai dell'escavazione.
Dal luglio '61, in diversi periodi di lavoro straordinario, di ore supplementari ne sono state fatte molte. Soltanto 90 ore sono state pagate con un anticipo di 18.000 lire circa.
Poi promesse. Poi rimandi. Poi assicurazioni. Ma il saldo di questo lavoro straordinario non arriva.
Vi sono circa da 200 ore di qualche operaio fino a circa 400 di qualche altro che aspettano da tanto tempo di essere liquidate.
Naturalmente nessuno vuol prendersi la responsabilità di questa mancanza di serietà amministrativa, perché quando il lavoro è stato eseguito, ogni seria azienda deve provvedere al pagamento.
Si è pensato, quando lo straordinario era necessario, a fare pressione sugli operai perchè accettassero di farlo e non sono mancate le minacce più o meno velate da parte dei dirigenti quando qualche operaio faceva difficoltà dato l'accumularsi di ore non pagate
Ora dicono che la questione è presso il Consiglio di Stato e è il Consiglio di Stato che deve decidere.
Il Consiglio di Stato, il Ministero del Tesoro deve decidere se e quando dovrà essere pagato e da chi questo lavoro straordinario che poveri operai hanno compiuto nel porto di Viareggio. In obbedienza ai loro dirigenti, i quali avranno obbedito ai dirigenti superiori della Sezione di Genova OO.MM.
Non è stato un divertimento, è stato lavoro, lavoro serio e vero e particolarmente di sacrificio perchè straordinario, fino a notte, spesso, e con la pioggia e al vento.
E il lavoro deve essere pagato. E' il dovere di ogni datore di lavoro e quindi, pensiamo, anche del Ministero dei Lavori Pubblici. Lo Stato, anzi, e le sue organizzazioni e dipendendenze, certi esempi cattivi non li dovrebbe dare.
Se poi la responsabilità di certi pasticci non è del Ministero, dovrebbero essere presi i dovuti provvedimenti.
Ma il Ministro Sullo non deve essere molto portato a prendere in considerazione umili proteste e rispettose e giuste richieste di poveri lavoratori. Non si degna mai nemmeno rispondere alle lettere inviategli, come se non avesse segretari a sufficienza.
E allora vuol dire che questi operai devono vedere gettate a mare centinaia di ore di lavoro straordinario. Nessuno li paga e le loro famiglie aspettano a vuoto - fino a chissà quando - quel gruzzoletto che - giusto ora che viene l'inverno - avrebbe fatto proprio comodo.
L'11 dic. p.v., la sera alle 9, sarà tenuta presso don Sirio, alla Chiesetta del Porto, la riunione di redazione per il compilamento del testo del numero di Dicembre de «il nostro lavoro».
Sono invitate le Commissioni Interne di tutte le aziende. 1 componenti delle Commissioni interne che eventualmente non potessero partecipare, sono pregati di mandare qualche operaio che li rappresenti.
Tutti gli operai che desiderano partecipare a queste riunioni di redazione, possono venire liberamente.
Chi avesse problemi da presentare, questioni da proporre, situazioni da prendere in considerazione ecc., è pregato di fare arrivare il tutto direttamente a don Sirio o ai componenti della Redazione del giornale.
Le Commissioni interne che ancora non ci hanno dato la loro adesione e collaborazione, se lo credono opportuno, possono farlo partecipando alla prossima riunione dell'11 dic. o in qualsiasi altra maniera.
Questo numero è inviato a tutti gli operai gratis, Il suo prezzo sarà di L. 20. Confidiamo che gli operai vorranno aiutarci perchè questo foglio possa continuare ad occuparsi e preoccuparsi dei loro problemi.
Sarebbe cosa gradita e veramente simpatica se, dopo aver letto questo primo numero, faceste conoscere le vostre impressioni, il vostro giudizio, le vostre approvazioni o le vostre critiche. Potete farlo anche per lettera scrivendo a Don Sirio - Chiesetta del Porto - Viareggio
La Redazione
A volte, a torto o a ragione -- è sempre assai difficile stabilirlo - succede che, a poco per volta, si stabilisca una certa tensione fra dirigente e operaio. Una franca chiarificazione fra le due parti forse risolverebbe ogni cosa, ristabilendo calma e serenità, rapporti cordiali. Ma spesso la cosa è molto difficile. E anzi normalmente le posizioni si irrigidiscono.
Il dirigente si trincera nelle sue attribuzioni autoritarie. E pensa che il solo modo giusto di guardare sia quella dall'alto.
Esigenze di disciplina, mantenimento delle distanze, questioni di principio, problemi di prestigio ecc. tutte mentalità fatte apposta, molte volte, per complicare, non per risolvere problemi di sana e intelligente dirigenza.
D'altra parte l'operaio si accende sempre più delle proprie ragioni. Comincia a vedere prepotenza dovunque. E scopre che tutto è ingiusto, fatto male e che ormai ce l'hanno soltanto con lui.
Stando così le cose, spesso succede che la corda si strappi per un nonnulla o che il bicchiere trabocchi per una goccia.
Nulla di male in fondo. Ci vuole tanto poco, specialmente ai nostri tempi in cui il lavoro per un buon qualificato non manca. Uno riconsegna gli attrezzi di lavoro, si lava per l'ultima volta a quel rubinetto, saluta gli amici - e forse con un groppo alla gola - timbra per l'ultima volta il cartellino. La direzione salda la liquidazione, naturalmente più o meno laboriosa come un parto difficile, e tutto è a posto.
O almeno dovrebbe essere a posto, con buona pace anche del dirigente finalmente sollevato.
Invece no. E qui è il guaio e qui comincia il malloppo assolutamente indigeribile .Perchè terminato il rapporto di lavoro, l'operaio è libero cittadino e ha il diritto di potersi sistemare dove meglio crede.
L'azienda non deve continuare a perseguitarlo, il dirigente non deve continuare ancora a sognarselo la notte come un incubo, quell'operaio.
Ha fatto una domanda a una grande azienda. Vi sono tutte le capacità lavorative richieste. Sono state presentate referenze rispettabili. Opera d'arte andata bene.
Ma le informazioni richieste all'azienda precedente sono disastrose.
Cosa ha raccontato il dirigente che dà tutta l'impressione di aver colto la palla al balzo e di rifarsi la bocca buona approfittando dell'occasione?
Se ha raccontato le sue pene, non ha certamente raccontato che anche lui ha avuto dei torti, dei limiti, delle incapacità. Non si è preso la sua parte di responsabilità - e ce n'è sempre una parte per tutti - in tutta la vertenza successa, e quindi la domanda è stata respinta.
Una domanda è stata respinta, e respinta per certi motivi buttati là come niente, non è poco. E non soltanto per una buona sistemazione perduta, ma per un riflesso di valutazioni che per un uomo non sono di poca importanza.
Sarà giusto che gli industriali si aiutino e si proteggano a vicenda, però è anche importante che non facciano di tutto per scavare sempre più fra loro e il mondo operaio, abissi di separazione, di risentimento, di astio.
Hanno dato l'adesione e collaborano a questa pubblicazione la Commissioni Interne dell' Aziende ; Picchiotti -Cantieri Riuniti - Fervet - Salov - Pavimenti Apuani - Genio Civile - Saspi.
Resp. Sirio Politi - Lungo Canale Est 37 - Viareggio
Numero Unico
Tipografìa A. BERTOLOZZI - Telef, 25.23 - Viareggio
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455