Fidarsi è bene?

Mi rendo conto che sto guardando con pessimismo alla Chiesa e so che non è giusto. non vi devo consentire, ma non riesco ad uscirne. Quello che scrivo è venuto su spontaneo da questa difficoltà ad un'opera di conversione che deve andare al di là di ogni esistenza personale per di-venire conversione di popolo, di Chiesa. Non è per riflessione attenta - forse mi sarei fermato -, è solamente perché mi sento solo per avere sulle spalle un peso di verità e libertà che mi schiaccia, anche se so che questa solitudine è segno di una povertà cristiana. Capisco che la scelta cristiana passa anche da questa inutilità, da questa pochezza. Su questo fondo la mia presenza, la mia forza d'amare e quindi di vivere nella Chiesa con amore anche se spesso è fatto di discorsi taglienti, di durezze. Se credessi che la Chiesa può solo rivestire la pelle del lupo, dovrei, per coerenza, uscirne. Se rimango è perché, quasi come in sogno, credo possa rivestire l'immagine dell'Agnello.
Da qualche tempo, in seno alla stessa Chiesa gerarchica, si manifestano prese di posizione piuttosto dure nei confronti delle situazioni di ingiustizia e di precarietà provocate dal potere politico e amministrative. Ultima della serie la dichiarazione del gerente di Roma cardinale Poletti sullo stato della capitale. Anche l'atteggiamento delle singole chiese particolari è analizzato con occhio critico in modo da dare un'idea di un discorso molto responsabile, chiaro e non disposto a compromessi.
Non sarò certamente io a dispiacermi di queste cose.
Specialmente quando ai discorsi fanno seguito i fatti, non può non derivarne un beneficio per tutta una realtà altrimenti arroccata su posizioni di privilegio.
Ciò che mi fa rimanere perplesso è, tanto per esemplificare, l'atteggiamento di uomini di Chiesa come il cardinale di Santiago già all'avanguardia nel rinnovamento conciliare riguardo alla giustizia sociale ed ora così assurdamente convinto di poter cristianamente convivere con i «golpisti».
Fino a che punto possiamo dunque prendere sul serio queste voci che si levano nella Chiesa a difesa della giustizia, o meglio contro l'ingiustizia?
E' chiaro che ogni situazione va considerata nei suoi aspetti particolari e d'altra parte, in generale, non è pensabile parlare di cattiva fede nei confronti di chi si espone così alla critica, spesso feroce, degli ambienti di destra specie curiali.
Mi sembra di poter dire comunque che esistono sintomi rivelatori, anche in una realtà molto quotidiana e a noi vicina, di una mentalità forse più diffusa di quanto si pensi.
Per esempio, in situazioni come quella cilena, sud-vietnamita, brasiliana, delle colonie portoghesi, una porzione ben importante e ufficiale di Chiesa, mostra con le parole e con i fatti, di essere molto più coinvolta nel tentativo di conservare il posto conquistato dalla Chiesa stessa nei ri-spettivi paesi e di fronte ai diversi regimi (non importa quali), di quanto lo sia nel «conservare la fede». Conservare il posto acquisito dalla Chiesa, beninteso, per alleviare i dolori dei perseguitati, per proteggere i deboli, per compiere tutta un'opera di carità che non trova però riscontro nel rispetto autentico della giustizia. Soprattutto - lo si può notare nei documenti ufficiali - non trova riscontro in autentiche motivazioni di fede.
Più vicino a noi, per esempio nelle riunioni di sacerdoti e laici, spesso si nota come il discorso tenda a chiudersi nella richiesta di direttive pratiche, di 'ricette' efficaci, anche se tale richiesta è mascherata dietro una ricerca concreta, non a parole, ma a fatti. Il terribile è che anche qui il discorso di fede è considerato al livello di chiacchiere che lasciano il tempo che trovano. Si tratterebbe di finezze spirituali che oltretutto rischiano di distogliere l'attenzione dei cristiani e quindi rendono più difficile la compattezza nell'azione.
Cosa intendo per motivazioni di fede, per discorso di fede? Non voglio dire che nelle situazioni esemplificate sopra, manchi la fede intesa come richiamo ai valori divini. Solo che manca per lo più un'attenzione rigorosa a derivare l'atteggiamento concreto dalla Parola di Gesù che non sia la citazione presa a prestito dal Vangelo, ma la risultante di un ascolto che coinvolge l'intera esistenza.
Che la vita trovi riscontro in motivazioni di fede significa credere che Cristo è vivo e vivente, proposta da accogliere senza timore fin nelle esigenze più assolute, da non ammorbidire con interpretazioni secondo logiche umane, da non respingere nel quadro del suo tempo.
Ora questa Chiesa, attenta ai problemi della giustizia e della società ben più' di quanto lo fosse anche pochi anni fa, si comporta sovente nei confronti di Cristo come un partito, un'ideologia, si comporta nei confronti del proprio fondatore. Un rapporto vissuto nell'individuazione di elementi che si possono richiamare all'origine, al pensiero, agli scritti del fondatore stesso. Siamo cristiani, siamo Chiesa perché il nostro atteggiamento nei confronti dei problemi personali e dell'umanità è atteggiamento che si rifà ad una certa morale del Vangelo, ma non dovremmo forse essere cristiani e Chiesa nella misura in cui è «evangelica» la stessa nostra esistenza? Non dovremmo essere forse cri-stiani e Chiesa perché nella nostra vita scorre sempre nuova la vita di Cristo?
Se come cristiani e come Chiesa non siamo capaci di vivere questa «novità», non riusciamo cioè ad essere «profezia» del Regno di Dio che è già in mezzo a noi, allora cosa conta ammantarci di sensibilità sociali, di angoscia per l'ingiustizia, di sofferenza per la sopraffazione? Se è sufficiente il pericolo che ci possano danneggiare o possano usare violenza contro di noi per andare d'accordo anche col diavolo, se occorre, che sbandieriamo a fare certe affermazioni, certe dichiarazioni di fedeltà al Vangelo, certe promesse quasi che si volesse legare davvero il nostro destino a quello dei poveri e dei perseguitati? Se basta che ci colpiscano nei nostri interessi personali per far macchina indietro che pretendiamo? Di essere rispettati e stimati? Seguiti certo, ma con una certa convenienza, come chi appoggia il proprio tornaconto personale a quello di un altro fino a farne interesse di gruppo, di massa. Giusto come nei partiti dove la purezza e l'ideale dell'origine sono polverose come i ritratti degli uomini che per quelle idee pagarono di persona, eppure creano l'illusione di una serietà di propositi.
Sarò spietato, ingiusto, cattivo, ma non riesco a farmi crescere nel cuore la fiducia che lo spirito ecclesiastico (con tutto quello che di deteriore esprime il termine) sia vinto. Nel cardinale come nel prete, e potrei benissimo essere io stesso, che si mette a lavorare. I problemi personali torna-no a galla e allora davanti a Cristo siamo come Pietro: non l'abbiamo mai conosciuto. Sono secoli che è così, perché ora dovrebbe essere diverso? E' un inverno di generazioni, può forse una rondine far primavera?
Che la gente sia a guardare, scettica in cuor suo, è normale, non può sorprendere. Che i poveri soprattutto non se lo filino per niente questo discorso nuovo della Chiesa se non per quanto può venir loro di interessamento e di convenienza, anche questo è normale. Sono anni che lo stiamo sperimentando e sappiamo quanto ogni infedeltà quasi distrugga la fedeltà di altri. C'è un abisso che non si colma con le parole, neppure con la carità, neppure con il gesto che nel cristiano odora ancora troppo di elemosina, nel prete di proselitismo, nel vescovo di politica.
Me ne rendo benissimo conto perché anch'io sono prete. Ci vuole vita vissuta nella luce stessa di Cristo cercato fino all'inverosimile perché: la sua vita sia visibile le sue parole possano essere sangue e carne da toccare con mano. Ci vuole questa fedeltà nella misura delle generazioni, perché sia chiaro I'affidarsi. unicamente a Dio e confidare solo nella sua potenza.
Ecco, la Chiesa finché gode di potenza propria, potrà sbracciarsi e grida e contro il ricco e il potente: non sarà creduta, non saremo creduti. Lupo non mangia lupo. Fino a quando la Chiesa non sarà «agnello» che le zanne del lupo possono sbranare.


don Luigi


in Lotta come Amore: LcA novembre 1973, Novembre 1973

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