Porto nel cuore, nonostante la situazione di crisi e di difficoltà in me e nel rapporto col mondo, con l'esistenza porto nel cuore la speranza: non una speranza, ché questa assolutamente non ho, ma la speranza.
E' difficile e faticoso camminare nella vita e avere accesa la speranza. Assai più che averla spenta e brancolare nel buio.
T anto più che è pericoloso, pericoloso come l'illusione, credere di avere la speranza e spesso si rischia il disonesto offrirla agli altri e cercare di alimentarla d'intorno.
Perché troppo facilmente la speranza può diventare alienazione, un rifugio comodo dove fuggire a nascondersi per respirare un po'; riprendere fiato a poter quindi ricominciare nella sopportazione, e un tirare avanti, nonostante tutto.
Seminare allora disperazione sarebbe forse più onesto perché costringerebbe a non guardare da un'altra parte, ma ad affrontare la situazione com'è, risolvendola o almeno lottandoci dentro fino all'esasperazione o alla liberazione.
La speranza è forza che aiuta a reggere ma spesso è anche vigliaccheria. E' la forza del debole, del sopraffatto, del vinto. E' rimandare a dopo rifiutando il momento presente.
Ho una grossa paura che la speranza che porto in cuore mi giochi la sincerità, cioè la totalità del tutto me stesso, nel momento che sto vivendo.
Mi viene da detestare la speranza rivolta all' avvenire, al domani, a situazioni nuove che verranno. Questo rimandare incessante significa una disponibilità rinunciataria impressionante. E' il domani che aiuta a superare, a vincere nell'oggi, mentre sarebbe giusto e bellissimo il contrario: l'autenticità, la verità, la pienezza dell'oggi giustifica il custodire nel cuore e il crescere della speranza per il domani.
Non si può e non si deve sfuggire dal presente, è assurdo disincarnarsi dalla concretezza dell'attuale e trasferirci nelle prospettive, nelle possibilità, nelle speranze del futuro.
Il futuro non esiste, esisterà, l'avvenire è tutto da venire, attualmente è un assurdo.
Anche in una visione cristiana della vita la prospettiva escatologica non può avere importanza per il suo incombere o come realtà conclusiva, risolutiva di tutte le cose, ma unicamente perché la verità finale, le ultime cose, si riflettono sul presente e lo illuminano perché il presente sia chiaro nella sua transitorietà e abbia tutto l'impegno, l'interesse, il valore, la dedizione, la Fede e l'Amore, cioè tutto l'uomo, niente escluso, per l'importanza assoluta che il momento presente porta con sé e che richiede giustamente di essere vissuto in tutto il suo valore, in tutta la sua pienezza.
Per questo a volte la speranza non mi conforta, ma mi rattrista quando non mi rimane che guardare nella sua luce (o nel suo crepuscolo) l'umanità: mi diventa inevitabilmente la speranza del domani sarà un' altra cosa, di un futuro diverso. E la speranza diventa amarezza perché mi scopre e mi convince di un presente impossibile, assurdo; disumano, e così tanto da sentirmi costretto a rifugiarmi nell'avvenire, a sperare nel domani migliore.
E mi accorgo che vado in cerca di consolazione e questo sollievo mi aliena e mi disincarna, mi impedisce di soffrire e di soffrire fino all'esasperazione e quindi di essere uomo vero, concreto, di buttarmi dentro la disperazione del momento, caricarmene e fino al limite delle forze e poi di rischiare anche l'impossibile.
Allora mi avvedo della mia inconsistenza, sono uomo e cristiano e prete che vive sulla speranza, come dire caniminare sulle nuvole e inganno me stesso e mi falsifico quando cerco coraggio e forza per giustificare la mia nullità, il mio vuoto, il mio tradimento nel presente., nel momento in cui sono vivo e concreto, rifugiandomi nella speranza che mi dà di credermi diverso domani, più impegnato, più responsabile, più uomo, più cristiano, più prete domani, in un avvenire fumoso, inconsistente, tutto possibilità e impossibilità da venire.
Tutte le sere ho paura di abituarmi e chiudere la giornata pensando al domani.
Come ho paura, ma paura di disincarnazione e di falsificazione di me stesso, quando penso al concludersi della vita rifacendomi all' al di là, al dopo la vita, anche se so e credo che quella è la vera vita e ora soltanto un corrervi verso.
Non penso mai al paradiso. Né al come sarà né al come non sarà. E' semplicemente assurdo lavorare d'immaginazione anche intorno alla speranza giustificabile soltanto con la Fede. Il Paradiso non è oggetto di speranza, è realtà di concretezza, è una presenza, una attualità, soltanto che è tutta nel Mistero di Dio, che non è oggetto di speranza, ma di Fede e tanto più di Amore.
Dio come realtà di speranza è nell'oggi, è in questo momento e difatti spero nell'umanità e in una umanità diversa, perché so che c'è Dio dentro l'umanità a guidarne la vita e so che Dio è Amore e quindi so che dentro quest'umanità così disumanità c'è l'Amore di Dio. La speranza che Dio è qui, che c'è Dio.
E' la speranza (valore diverso della Fede) di una presenza vitale, infinita, onnipotente, alla quale devo unire, immedesimare la mia presenza, la presenza anche del mio niente, della mia incapacità, della mia sconfitta quotidiana, ma anche quindi della mia lotta senza risparmi e senza difese di me stesso.
La Speranza è che in questo mondo, in questa vita, nella lotta quotidiana per l'umanità più vera, più libera, più umanità ci sei tu, c'è lui, c'è lei, ci siete voi, ci siamo tutti, uniti, un cuore solo, una identica lotta, in un Amore appassionato...
La speranza che viene da chi si lascia uccidere, torturare, marcire in carcere. Di tutti quelli che dicono di no al potere lottandovi contro anche fino a farsi schiacciare, fino agli allettamenti del denaro, della sistemazione, del privilegio...
La speranza che dentro la storia vi sono pugni di lievito, di luce accesa chissà come e chissà dove, ma accesa e lievito lievitante, come la forza che muove il mare, l'energia che muove la primavera, che scuote il cuore dell'umanità.
E mi aiuterebbe molto la speranza di una Chiesa in cui sentissi battere violento l'Amore del cuore di Cristo, in cui potessi constatare, ma non solo per Fede, ma anche e specialmente per Speranza viva, attuale, in questo momento, la presenza viva e vitale di Gesù Cristo risorto: «ecco io sono con voi ogni giorni fino alla consumazione dei secoli». Questa è la speranza che potrebbe diventare motivo infinito di gioia nel mio e nel tuo duro quotidiano, spesso così vuoto, incolore, inutile, monotono, fino a renderlo vivo e vivente della stessa vita di Dio.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA novembre 1973, Novembre 1973
Luigi Sonnenfeld
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