pompe funebri?
So che dovrei dire, più correttamente. "sacramento degli infermi", ma la prassi è ancora talmente legata all'imminenza del trapasso che ogni tentativo di diversa interpretazione cozza contro una mentalità solidificata.
D'altra parte non ho motivi per pensare che una adeguata catechesi non possa contribuire a creare un atteggiamento diverso.
Non mi interessa quindi un discorso teso a rivalutare questo discusso sacramento, quanto riflettere sull'attuale situazione, raccogliendo alcune riflessioni sorte dall'esperienza pratica.
Anni fa era normale nascere e morire nella propria casa ed essere sepolti dai propri amici,anche se già i bisogni dell'anima erano affidati all'istituzione ecclesiastica. Ora invece cominciare o finire la vita in casa propria è diventato un segno di estrema povertà o di posizione eccezionalmente privilegiata. Il morire e la morte sono passati sotto la gestione istituzionale dei medici e degli impresari di pompe funebri. Che poi sotto questa gestione ci sia una delle mafie più redditizie non è cosa nuova: basta seguire la trafila che parte dall'infermiere premuroso di aiutare i parenti affranti fornendo telefono o indirizzo di agenzie funebri, sicuro della percentuale che scivolerà nelle proprie tasche.
Non vorrei neppure dilungarmi troppo su questo malcostume se non per dire che questo lavoro da "avvoltoi" è a volte (non poche) svolto dal sacerdote che assiste il morente e che accumula così alla busta della famiglia, il "regalo'' volta a volta o "una tantum" dell'impresario riconoscente.
Che sia uno schifo e, quando c'è di mezzo un prete o una suora, una specie di avvilente simonia, è cosa certa e spesso lamentata. Solo che non mi sembra possibile "moralizzare" 'l'ambiente se non ridando coscienza alla gente di un diritto-dovere di fronte alla morte di un parente o di un amico, affinché tutto si svolga in serena familiarità e la pietà verso i defunti sia il segno di una matura coscienza sensibile ai valori della storia personale di ciascuno in quanto immersa nella storia di tutta un'umanità. L'atteggiamento dolente che affida ad altri questo compito col pretesto di restar soli con il proprio dolore mi sembra contrasti con un serio atteggiamento di fede e sia spesso il segno di un egoismo e di un pretesto perché l'attenzione converga sul pianto dei parenti.
Anche di questo dovremmo tener conto pensando quanto il latino del sacerdote che accompagnava l'unzione dei cinque sensi abbia sostituito tutta una preghiera familiare, segno di una fede che diventa condizione indispensabile all'amministrazione dei sacramenti.
Certo è che corone di fiori, parati neri o violacei, carro di II o di I, veli neri, volti stravolti, il ricordare che "munito dei conforti religiosi" il congiunto è "piamente" deceduto, fanno parte di un unico apparato imposto al povero popolo ignorante, proposto ( per questo le distinzioni di classe) alla vanitosa borghesia, perché anche nel momento della morte non si prenda coscienza della fondamentale dignità della persona che si esprime in libera responsabilità, ma si offra incenso (e denaro) alla istituzione capace di sicura protezione (pensa a tutto). Senza riflettere magari, che questa protezione estesa in quasi tutti i campi della vita sociale. non fa che accentuare la dipendenza della gente e renderla sempre più incapace di organizzare la propria vita sulla base delle proprie esperienze personali e delle risorse disponibili nell'ambito delle rispettive comunità.
Il sacramento, legato a questo carrozzone, non potrà mai liberarsi, con le più raffinate catechesi di questo mondo, da un equivoco sostanziale che cozza contro il carattere personale, libero, creativo ed insieme comunitario della fede. Non potrà essere pienamente "segno di fede".
Un mio caro amico ha perduto nel volger d'un anno la moglie molto giovane e la mamma. L'estrema unzione è stata amministrata nel modo più tradizionale, in un clima di autentico dolore, ma è stato uno dei momenti di attenzione, innumerevoli, della famiglia e degli amici verso la morente. Alla morte i parenti hanno pensato a tutto con estrema semplicità e dignità, non atteggiandosi a "famiglia duramente colpita", ma compiendo quei gesti con serena pietà, come quando la mamma a casa riordina tutto anche la sera a mezzanotte, e il babbo sente il dovere di por-tare fuori tutta la famiglia anche se è stanco per il lavoro. Ordinare la cassa, denunziare il decesso al Comune (quante storie e scandalizzate esclamazioni di sorpresa da parte degli impiegati che non volevano neppure dare il modulo necessario! E' dovuto intervenire il capo-ufficio a vedere questi contestatori di un mondo il più tranquillo e silenzioso, di una parrocchia di morti!), fissare l'ora della messa...
Tutto con serena compostezza non certo imposta da educazione o da convenienze, ma da chiaro e semplice atteggiamento neppure scosso all'arrivo al cimitero di Lucca dall'accoglienza frettolosa, sciatta e irrispettosa di un giovane cappuccino (?) che ha brontolato in latino quattro frasi e se n'è andato ad aspettare il "prossimo".
E' stata quella la prima volta in cui come sacerdote non mi sono sentito a disagio, senza essere mescolato ai professionisti (con tutto il rispetto per la loro buona fede e buona volontà) della morte. Tutto era fatto in grande 1ibertà, ed è oggi (o, sempre?) l'unico terreno in cui può attecchire la fede.
Su un piano sociale un taglio deciso alla tariffa d'agenzia e a tutto quel sottobosco di guadagni era stato fatto anni fa, qui a Viareggio, dalla Croce Verde, e credo che specie per la povera gente sia stato un gran bene. E mi sembra ovvio ricordare che la Croce Verde non è certo un'organizzazione simpatizzante per la religione! Sarà dunque vero, anche qui, che Dio può far nascere figli suoi anche dalle pietre?
don Luigi
in Lotta come Amore: LcA settembre 1973, Settembre 1973
Luigi Sonnenfeld
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