Agli amici,
avevamo promesso di continuare la riflessione iniziata con il numero di giugno sui sacramenti e tutto il problema della sacramentalizzazione, ricercando indicazioni pratiche, concrete, tirate su specialmente dalla nostra esperienza.
Ci siamo accorti però che l'esperienza in questo settore così decisivo del ministero sacerdotale e pastorale, - perché particolarmente costitutivo, - almeno così dovrebbe essere, - della vita cristiana individuale e comunitaria e quindi di Popolo di Dio, questa esperienza è enormemente limitata, fin quasi ad essere assurdo presentarla.
L'esperienza più grossa, più rimarchevole, che rischia spesso l'angoscia per manifestazioni quasi d'irrimediabilità, è che la ricerca di una sacramentalizzazione che abbia almeno un minimo di consapevolezza, di coscienziosità, sia in chi questi sacramenti amministra, sia in chi li riceve (i genitori nel caso del battesimo a bambini), è inevitabile che cozzi contro una consuetudine, un assuefamento, una tradizionalità passiva, piatta, burocratica, di intensità tale, o meglio, di densità tale, che è praticamente ostacolo insormontabile.
Ci si trova dinanzi come ad una nebbiosità religiosa che tutto ovatta, ravvolge impenetrabilmente: realizzare una concretezza è impossibile o quasi.
Seconda esperienza è l'assoluta inutilità delle riforme liturgiche. Fare riti nuovi, modificare formule, introdurre segni, letture, spiegazioni, formulari di preghiere, ecc., che dovrebbero sensibilizzare, creare attenzioni di coscienza e determinare incidenze particolari nella realtà dell'a vita, è pura e semplice illusione. E' tentativo facile, quasi sembra buono soltanto per mettere in pace una pastorale che si è accorta che occorrono riforme. E tutto è stato riformato con libri nuovi, rubriche nuove, ecc. Ma dalla riforma del rito alla sua capacità d'incidenza e anche soltanto di presenza nella vita, c'è di mezzo l'enorme spessore gommoso di una scoscientizzazione, di una pas-sività religiosa, di un devozionalismo tradizionalistico secolare, sul quale tutto, anche le più ardite (?) novità rimbalzano penosamente.
Terza esperienza. Anche tutta la fiducia così accentuata quasi che sia il toccasana, nella catechesi, non riusciamo a condividerla. Perché anche la catechesi è parlare, sia pure rifacendosi alla Parola di Dio. E il parlare è sempre parlare e il mondo e la gente ne è abbondata, come si dice da noi.
Ascolta, più o meno stupefatta e sorpresa se il discorso risulta come nuovo, acconsente rispettosamente, ma di lì a che qualcosa scenda dentro e ottenga un'idea e una mentalità nuova e diversa, e più ancora una modifica esistenziale, c'è la differenza dal dire al fare e cioè con in mezzo il mare.
Pensiamo che sia doveroso cominciare a rinunziare al cristianesimo di massa.
Giudichiamo che sia arrivato il tempo in cui l'annuncio della parola di Dio deve cominciare a fare paura e a sconcertare a seguito delle sue esigenze.
E' inevitabile che la Chiesa (il clero e la comunità cristiana) risulti una qualificazione di scelte e di impegno pratico, esistenziale, storico, assolutamente nuovo e diverso, dall'andazzo della vita secondo i canoni della nostra civiltà, cultura, buon senso, prudenza e saggezza di questo mondo. E' un discorso vecchio, è stata ed è la nostra battaglia.., i tempi ci danno, con buona pace di tutti, alquanto ragione.
Riguardo ai sacramenti l'importante è individuare il punto focale. essenziale, risolutivo: per esempio la nostra esperienza c'insegna che sia per il battesimo che per il matrimonio, il punto sul quale si decide o no del sacramento è la famiglia. Di qui, gravissimo e urgente, il problema della famiglia cristiana.
Offriamo le nostre riflessioni. Come sempre alla buona, come ci nascono dal cuore. Offriamo anche le nostre esperienze pur riconoscendone la limitatezza e la carenza.
Ognuno dà quello che ha e l'infinita onnipotenza della Grazia e dell' Amore di Dio supplisca ogni vuoto, piccolo o pauroso, che sia.
La Redazione
in Lotta come Amore: LcA settembre 1973, Settembre 1973
Luigi Sonnenfeld
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