l'evangelizzazione dell'esercito
Già da tempo uno degli impegni che ci siamo assunti, come comunità cristiana e sacerdotale, è quello di lottare contro l'ordinariato militare, l'istituto cappellani militari, la collusione che ne risulta fra Chiesa ed esercito, potere ecclesiastico e potere militare, ecc.
Tutto questo è perché giudichiamo l'esercito e tutto l'apparato militare come un centro di potere, come un'organizzazione di forza e di mezzi ordinata alla guerra e quindi una realtà di fatto assolutamente inconciliabile col Cristianesimo.
Ci angoscia quindi, per un Amore veramente profondo e una fedeltà totale alla Chiesa, il constatare una presenza e una partecipazione della Chiesa nei quadri stessi dell'esercito fino ad essere con un vescovo e un buon numero di sacerdoti coinvolti nell'apparato militare, cominciando dalle dipendenze economiche fino all'inquadramento disciplinare proprio dell'esercito e all'opera formativa inevitabilmente militaresca e quindi non nella possibilità di una evangelizzazione autenticamente e liberamente cristiana.
Lasciamo da parte alcune considerazioni, e non perché non siano importanti e non ci turbino profondamente, come il problema di alleanze e concordanze della Chiesa (e qui intendiamo quella gerarchica) con il potere e in particolare con il potere militare, del resto mai in difficoltà e in contrasto, come se nel mondo militare tutto andasse in maniera così perfette da non suscitare mai scontentezze o giudizi discordanti o criteri di giudizio diversi, così da costringere a prese di posizione chiare e coerenti da parte della Chiesa che ovviamente anche dentro il mondo militare deve "obbedire a Dio più che agli uomini" e conservare "la parola non legata" perché "prigioniera unicamente di Cristo".
Qui il discorso sarebbe molto serio e impegnerebbe fortemente sul piano storico e con possibilità di sorprese non certo simpatiche nei confronti della Chiesa, sempre troppo disponibile all'esercito e agli eserciti, fino a misure di partecipazione alla vita militare, sempre con compiacente servilismo.
Sul piano dell'evangelizzazione il problema diventa ancor più drammatico perché è assolutamente impensabile .una vera e propria evangelizzazione là dove, per esempio, l'uomo vale in proporzione alle sue capacità di morte (per sé e per gli altri). e dove il discorso e l'addestramento e quindi la creazione della mentalità e più propriamente quella dell'istintività, è nella capacità di dividere gli uomini, con una distinzione fatta a fil di spada, fra alleati e nemici: con la persuasione che la vittoria, e quindi la gloria, la carriera, le medaglie ecc. è dipendente dalle possibilità di sterminio del nemico.
Ma lasciamo andare, anche perché di questi problemi ne stiamo parlando, ne scriviamo e ne affrontiamo la complessità anche con quel nostro lavoro di teatro popolare "Una Fede che lotta".
C'è una difficoltà che ci viene mossa continuamente e che è nel cuore sicuramente di ogni cappellano militare e nel loro vescovo, a giustificazione della loro presenza nell'esercito e delle stelle che portano. I soldati sono anime anche loro, hanno i loro problemi spirituali e morali, le loro difficoltà pratiche, hanno cioè bisogno di un sacerdozio che li conforti, dia loro i sacramenti, celebri per loro la S. Messa, li richiami continuamente al bene, sviandoli da cattive compagnie, ecc. La caserma è luogo tale e con problematiche specialmente morali così intense che non può non richiedere la presenza del sacerdote e del suo ministero.
Tutta una serie di motivazioni a giustificazione di un ministero sacerdotale nelle caserme e quindi nell'apparato militare, dipendenti dal fatto che anche i soldati, e quindi anche gli ufficiali e i generali, hanno un'anima e un'anima da salvare.
D'accordo, prendiamo per buone tutte queste motivazioni e specialmente cerchiamo con buona volontà di partecipare a quest'ansia così assillante della Chiesa di salvare l'anima dei militari, fino a consentire che a dei suoi preti siano messe le stellette e debbano inquadrarsi nell'esercito (cercando di ,inghiottire l'amarezza :per tutta un'ansia totalmente all'opposto che la Chiesa continua ad avere verso la classe operaia non consentendo a dei suoi preti di mettersi la tuta e condividere la vita operaia).
Facciamo conto che anche a noi prema molto salvare l'anima dei militari, degli ufficiali, ecc, (sia chiaro però che non siamo assolutamente d'accordo a cercar di salvare "l'anima" dell'esercito e cioè la sua giustificazione, le sue motivazioni - anche se questa respinta dell'esercito è discorso di stolti secondo l'opinione comune specialmente di chi si sente protetto e ben al sicuro dall'esercito in armi, a difesa contro "il nemico").
E' giusto e doveroso aver cura dei soldati e cioè delle loro anime.
Allora la proposta che facciamo è molto semplice: è un fatto di pastorale, del resto comunissima nella Chiesa, e molto ben suffragata da dissertazioni senza fine, attuata in tutte le condizioni della vita, ad eccezione, guarda caso, soltanto dei soldati.
Si dice che la pastorale non deve guardare per l'evangelizzazione e la sacramentalizzazione alle particolari condizioni di vita, non deve creare delle distinzioni, deve respingere ogni sistemazione classista puntando unicamente al bene delle anime, perché sono i valori spirituali che devono impegnare un lavoro pastorale.
Si dice che la pastorale nella sua esplicitazione di annuncio della parola, della celebrazione eucaristica, della sacramentalizzazione, ha il suo luogo nella Chiesa particolare (leggi parrocchia, diocesi) e la sua sorgente ecclesiale nel Vescovo, ordinario della diocesi.
Secondo questi principi la soluzione dello spinosissimo problema (da un punto di vista cristiano ed evidentemente non da quello del Concordato) della Chiesa intruppata nell'esercito è subito e facilmente risolto, senza che ne venga a soffrire l'anima dei soldati.
Ogni caserma è in una parrocchia: chi deve provvedere alla pastorale dei militari di quella caserma è la sua parrocchia: si tratterà tutt'al più, se il bene delle anime dei militari rivela urgenti bisogni ,di accrescere il numero della comunità sacerdotale di quella parrocchia. Ma evidentemente non sarà una pastorale con le stellette e quindi in una condizione innegabile di una più autentica. evangelizzazione, logicamente secondo le preparazioni e le sensibilità del parroco e dei suoi sacerdoti e di tutta la comunità parrocchiale.
Ogni caserma è in una parrocchia e ogni parrocchia è in una diocesi dove è il Vescovo della Chiesa locale, quindi ogni caserma ha il Vescovo (un vescovo vero pastoralmente parlando), i1 quale Vescovo, padre e pastore di tutto il suo gregge, avrà cura anche dei suoi figli che "una legge di patria ha fatto soldati" e affronterà, secondo il suo zelo e come gli detterà la sua paternità, i problemi pastorali dei soldati, provvedendo con purezza e libertà al bene delle loro anime perché sarà un vescovo senza stellette, non un vescovo dell'esercito. ma del popolo di Dio.
. Tutto questo vuol essere semplicemente un progetto pastorale (ne abbiamo già offerti tanti di progetti pastorali, logicamente mai raccolti. e intanto continuano a dirci che siamo soltanto negativi, contro tutti e contro tutto, polemici e via dicendo...) per assicurare il bene spirituale dei militari.
Un progetto per lasciare l'esercito senza sacerdozio e senza episcopato perché l'esercito in quanto esercito, dev'essere abbandonato alle sue finalizzazioni che non potranno mai rientrare nei valori cristiani.
Perché la Chiesa acquisti questa verginità che insieme ad altre la rendano sempre più vera Sposa di Cristo e Madre di tutti i popoli: qualcosa del Cuore di Dio che è Padre di tutti gli uomini, immagine e continuità storica di Gesù Cristo, primo fra tutti i fratelli, segno e realtà dello Spirito che è Amore diffuso in ogni cuore.
Tutto questo nostro progetto, è chiaro, non vuole mancare di rispetto ai sacerdoti cappellani militari che sicuramente con zelo attendono e si impegnano in una pastorale sicuramente spesso tanto difficile e complessa, e tanto meno intendiamo mancare di riverenza al vescovo castrense, anche se ci rimane piuttosto difficile capire il suo episcopato, dato che del vescovo abbiamo una considerazione di Fede per la sua continuità apostolica.
Se ci permettiamo lottare non è contro le persone, è contro il sistema di presenza sacerdotale nell'esercito.
E' per Amore della Chiesa nella quale intendiamo impegnare la nostra fedeltà come gente che nella Chiesa e per la Chiesa ha giocato e gioca tutta la vita: è per quest'Amore che non possiamo non lottare nella Chiesa per una sua liberazione. In vista di una identità sempre più totale con Gesù Cristo, di cui la Chiesa è continuità e presenza storica nel mondo.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA aprile 1973, Aprile 1973
Luigi Sonnenfeld
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