Le nostre riflessioni

Abbiamo più volte espresso in queste pagine tutto il disagio, l'angoscia, eppure tutto l'amore che anima nell'impegno di lotta all'interno della Chiesa. Perché in essa si realizzi una misura sempre maggiore di autenticità nell'esser lievito e luce sulla strada dell'umanità. Ci spinge a questo una fede chiara in Gesù Cristo che ci sostiene nell'umile ricerca di una risposta sempre più piena alla Sua chiamata in forza della quale - lo crediamo profondamente - si fonda e si rinnova questa nostra esistenza quotidiana.
E' fatto fondamentale, la vocazione cristiana, c provoca l'uscire allo scoperto nella realtà umana mescolandovisi senza difesa per una condivisione dettata unicamente dalla fede nel mistero dell'incarnazione. Accoglienza senza riserve di quella stessa Parola che ha scelto come sua abitazione il cuore dell'uomo.
Per questo l'esistenza cristiana è strada che fa incerta e disagevole, da percorrere spesso in solitudine, non certo priva di pericoli, di agguati, di soprusi. E' assolutamente normale che sia l'esistenza chiamata ad un esodo incessante, animata e vivificata in forza dello Spirito per una fatica affidata unicamente al dono della fede e alla sua forza inesauribile. Su questa strada di fede i credenti possono incontrarsi e crescere in comunione vicendevole per una continua reciproca provocazione in ordine alla ricerca e all'attesa del realizzarsi delle promesse.
Il nuovo popolo di Dio, come l'antico, si forma lentamente e faticosamente in cammino di libertà prendendo coscienza, sotto la guida della mano di Dio ed a Lui solo affidato, dalla propria vocazione e missione in seno all'umanità per il Regno. Come pretendere in queste condizioni un andamento rettilineo a sistemazione impeccabile? Non è popolo che si possa guidare intruppato a gregge compatto con la mediazione di leggi e sentenze che si ammantino della cristallina limpidezza della Verità perché Veri si fa, quella di Cristo, in quanto vita e strada nella fede. Non può essere vera questa Verità se non affonda le sue radici nell'esistenza storica concreta, se non apre strade alla speranza degli uomini, se non scaturisce dal cuore di uomini visibilmente impegnati nella stessa avventura.
La Chiesa non può perdere, quindi, del tutto i segni che la caratterizzano come un popolo nel suo esodo, senza la missione a lei affidata. Un popolo che non si perde nei meandri della legge e del diritto, ma ama il confronto a viso aperto, sulla strada dove tutti si fatica e non nel chiuso dei tribunali dove il giudice sovrasta, le transenne separano, la polvere dei codici rende l'aria irrespirabile fino a soffocare.
Un popolo dalla coscienza allargata e resa valore personale per cui !'iniziativa può e deve partire da chiunque ed in qualsiasi momento, sia nel proporre che nel raccogliere proposte da confrontare, nella loro autenticità, unicamente di fronte a Cristo, in comunione con Lui. Un popolo che non sopporta quindi strutture che lo allontanino da questa possibilità di confronto nella comunione dei segni della vita, per un'irrequietezza naturale che viene dal sentirsi a suo agio solamente sulla strada, in cammino di fede.
Umanità animata dallo Spirito che soffia dove e quando vuole. Discendenza, d'Abramo nello stesso cammino di fede. Popolo che si affida alla promessa di Dio in Gesù Cristo e attende l'eredità del Regno.
La Gerarchia, il Magistero, non hanno senso se non in questa visione di fede e di cammino nella fede. A questa visione devono adeguarsi il più possibile per non essere di ostacolo alla fede, per non confondere un cammino già difficile, per non essere giudicati mercenari cui il gregge si affida. Non se ne contesta l'esistenza e il servizio, ma anche il Magistero gerarchico è sottoposto alla stessa legge di conversione che deve animare il popolo cristiano nel riflettere i1 valore assoluto di Dio e del nostro esistere in Lui.
E' terribile, d'altra parte, constatare quanto sia difficile cogliere sul volto storico della Chiesa i segni di questo camminare nella fede e sarebbe quindi assurdo credere in Gesù Cristo senza sognare una realtà diversa per il suo Corpo, un volto più fresco per la sua Sposa.
Non è possibile, per esempio, affrontare il cammino della fede e, nello stesso tempo, accettare di essere inquadrati in un sistema di catechesi o pastorale che tutto considera fuorché il dovere di animare e responsabilizzare la coscienza personale in ordine alla costruzione della propria vita di fede. Non è possibile credere fermamente nell'Eucarestia e, nello stesso tempo, accettare supinamente che i confronti tra credenti avvengano a colpi di tesi teologiche e siano risolti a base di articoli di codice sia pure canonico. Non è possibile sentirsi Chiesa e, nello stesso tempo, non sentire l'invito a perdere la propria vita in offerta incessante non solo delle proprie cose, del proprio tempo, delle proprie energie, ma anche e soprattutto della propria fede così come Dio la suggerisce e la dona in luminosità di Spirito per Cristo Gesù.
Non è possibile quindi essere afferrati da Cristo senza comprendere a fondo la radicalità ed insieme la responsabilità in ordine alla comunione dei credenti e all'umanità intera, per un'esistenza in cammino verso cieli nuovi e terre nuove.
Se questo fosse vero, nella Chiesa, oggi, molte cose dovrebbero cambiare. A cominciare dal semplice essere due o più riuniti nel nome di Gesù, sù sù alle parrocchie, alle diocesi, al Papa. Molte cose, dovrebbero cambiare in una Chiesa che custodisce la fede come verità da cogliere sui libri, sia pure venerabile, difesa da uno sbarramento di teologi e di canonisti, sia pure di provata prudenza. Una verità rigorosamente fissata ch si traduce in domande, sempre quelle da leggersi su un libro, a provocare sempre identiche risposte, lette anche quelle sullo stesso libro.
«Che cosa chiedi?», «il battesimo»; così, fin dal primo istante della nostra vita di fede abbiamo imparato a rispondere quello che altri hanno dettato per noi, senza più uscire da questa sudditanza nel catechismo dei bambini, nell'insegnamento della religione da adolescenti, nella catechesi matrimoniale dei fidanzati, nella predica domenicale del parroco, nell'ammonìzìone del confessionale, nelle lettere pastorali del vescovo, nelle encicliche papali. Tutto un insegnamento da subire perché tutt'al più si concede di rispondere con un "amen" che nella tradizione popolare ha il significato di un'entità del tutto trascurabile e di una rassegnazione senza speranza.
Una verità morta, dunque, per un popolo addormentato e avvinto da catene di morte. Crediamo invece in una verità viva e vivente che ciascuno raccoglie nel cuore e mostra con intatto stupore al vicino, al prossimo nell'amore che non conosce distanze o barriere. Una verità da adorare immersa nella realtà di questo mondo a fondare una speranza nata e cresciuta su una possibilità di vita che vince la morte e si rinnova in perenne creazione.
Per questo a colui che si fa battezzare non può essere consegnato semplicemente un cero ed una veste bianca ripetendo più o meno meccanicamente le parole di sempre. Lo stesso gesto da secoli si fa diverso in quanto ogni volta il battezzato è lui ad essere affidato all'esistenza nella fede dei suoi genitori o dei suoi compagni, all'indicazione di fede che promana dall'esistenza concreta del sacerdote nella sua autentica responsabilità pastorale. Perché nasca in lui la fede e si sviluppi a rinnovare il miracolo di questo Corpo che crea le proprie membra e le cresce a dimensione di servizio totalmente e pienamente responsabile. Crescita amata e desiderata, indicata e provocata affinché la vita si esprima in pienezza e dischiuda sempre più la luce di verità.
Per questo chi compie un cammino nella fede non può essere considerato come un soggetto passivo da, guidare, sia pure sapientemente. Anzi, la sollecitudine e l'impegno di comunione dovranno percorrere tutt'altra strada, cercando semplicemente e apertamente una coscientizzazione crescente del suo essere battezzato, provocando senza pavide prudenze il confronto tra quella coscienza illuminata dalla fede ed i più aperti e scottanti problemi dell'umanità per una visione della vita nello Spirito di Dio. I gruppi cristiani, le chiese, le parrocchie, le diocesi, dovrebbero essere luoghi dove si favorisce al massimo questa presa di coscienza e questo rapporto a confronto diretto con l'esistenza e la storia umana. Anche se invece di un gregge docile, da guidare pater-nalisticamente, si avvertirebbe immediatamente la esistenza di una Chiesa in continuo ribollire di sti-moli vitali per iniziative, proposte, sensibilizzazioni e valori emergenti dall'apporto di ciascuno.
Allora forse la Gerarchia sarebbe stimolata a compiere quel servizio di comunione e di guida cui si proclama destinata e che invece sembra inevitabilmente proporsi come rinnovata fonte di potere. Allora le parrocchie e le diocesi, i gruppi cristiani, non sarebbero più centri di pastorale e di attivismo spirituale, ma "luoghi" di comunione nel segno eucaristico e a render questo sempre più limpido nella sua autenticità, in un confronto quotidiano con gli uomini che diviene accoglienza senza pregiudizi di qualsiasi realtà che illumini il cammino della fede. Allora la Chiesa sarebbe con più verità questa pellegrina sulla terra a lievitare nel mondo la realtà di una nuova creazione.
Per ora dubitiamo molto che questa possibilità possa verificarsi in una Chiesa che si esprime nei segni della scomunica, dell'esclaustrazione, del rifiuto gestito in modo autoritario, del giudizio sulla fede delle persone emesso a mo' di sentenza. Dubitiamo altresì per la stessa Chiesa che a questi segni prepara con un insegnamento che non prende in considerazione, nella pratica e palesemente trascura nella pastorale ordinaria e nella vita concreta delle parrocchie e delle diocesi, la coscienza e la responsabilità personale in ordine alla fede con tutta la forza di partecipazione che questo di fatto comporterebbe nella vita della Chiesa. .
Il proporre - com'è stato fatto -, a Padre Diez Alegria, di affidare il manoscritto del suo libro ad un amico fidato che lo pubblicasse tra vent'anni dopo la sua morte per godere, defunto, del titolo di profeta, è tipico dello stile, della mentalità cui si affida questa Chiesa. Un mondo di morti che, come sta avvenendo per esempio per don Milani, sfrutta disinvoltamente in modo sacrilego, la morte stessa per appoggiare e confrontare la propria verità. Perché i morti non parlano e il silenzio è d'oro come i quattrini e chi se ne appropria lo può ben far fruttare per i propri interessi
Tocca a noi esser vivi sul serio per un'esistenza autenticamente vivente. Tocca a noi prender coscienza, alzare la voce, lottare in questa Chiesa perché in essa si levi vera speranza di vita per gli uomini. Tocca a ciascuno di noi che crede in Cristo proclamare non. il Dio dei morti, ma il Dio d'Abramo, d'Isacco e di Giacobbe, di personalità dalla vita non sempre lineare, ma forti nella fede, il Dio dei viventi nel suo Spirito.
A chi crede in Gesù Cristo è affidato questo impegno battesimale, questo impegno pasquale.


La Comunità del Porto


in Lotta come Amore: LcA aprile 1973, Aprile 1973

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