Tu non uccidere

Spero che questo mio intervento in merito all'intervista con l'Ordinario militare per l'Italia pubblicata da "Avvenire" del 10/2/73 trovi possibilità di pubblicazione, per un fraterno ma chiaro confronto circa il problema della presenza sacerdotale nell'esercito.
Mi è difficile restare indifferente di fronte ad affermazioni come quelle contenute in tutta l'intervista, che non lasciano dubbi sulla sicurezza che la presenza dei sacerdoti cattolici nella struttura militare sia un'ottima cosa, un servizio altissimo ai giovani di leva, agli ufficiali, sottoufficiali e militari delle varie specialità (polizia, carabinieri, finanza ecc.). Il vescovo militare è sicuro della missione affidatagli nella Chiesa e la difende con passione, additando all'ammirazione i cappellani militari che stanno portando avanti un'importante compito pastorale che si potrebbe definire come "evangelizzazione dell'esercito".
Poiché è detto - sempre nell'intervista - che sono gradite "le critiche costruttive, i consigli che ci aiutino a purificare questa nostra presenza, a conservarla nella sua essenzialità evangelica... ", vorrei offrire il mio modesto contributo per un chiarimento del problema affrontato. Credo che sia anche un giusto e doveroso servizio alla ricerca della Verità, a cui i lettori di "Avvenire" penso abbiano diritto; ed anche un modo per tentare di far diventare il giornale sempre più uno strumento di autentico dialogo fra credenti. Premetto che queste mie riflessioni nascono unicamente da motivi di Fede, gli stessi che stanno alla base della mia vocazione sacerdotale e quindi dell'impegno di comunicare ai miei fratelli il messaggio di Liberazione e di Amore del Cristo Gesù.
EVANGELIZZARE I MILITARI
L'intervista meriterebbe di essere ripresa e considerata nei suoi vari punti, perché in ognuno di essi vi sono delle affermazioni che io sento di dover totalmente respingere. E questo partendo da ragioni di Fede, dai valori che il Vangelo di Gesù e la Chiesa propone a coloro che vogliono essere i discepoli del Figlio di Dio. Ragioni e valori che spesso purtroppo - come accade nella vita individuale - vengono smentiti a livello delle scelte concrete che facciamo dentro le strutture della vita sociale.
Non potendo esaminare punto per punto tutto il discorso dell'Ordinario militare, vorrei chiarire quello che mi sembra essere il centro del problema, il nodo che tiene tutto il resto della complicata matassa. Qual'è il ruolo, la missione del sacerdote di fronte agli uomini dell'esercito? Che parola ha da dive, da rivelare, da annunciare? E' dalla risposta che si dà a questo interrogativo che discendono le conseguenze di ciò che occorra realmente fare.
Per me è chiaro - ed è triste notare come il vescovo non ne faccia il minimo cenno - che agli uomini che si addestrano alla guerra, all'uso delle armi, alla disciplina militare, al "signorsì", il sacerdote non possa dire che una parola: "Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio. Amate i vostri nemici". "Non c'è amore più grande di chi dà la vita per coloro che ama". "Voi siete tutti fratelli". Una parola, ma che in fondo è tutto il Vangelo, quello scritto dagli evangelisti e molto più quello vissuto da Gesù Cristo, da Betlemme alla Croce, alla Resurrezione.
Una visione della missione sacerdotale nel popolo degli uomini (e quindi anche fra gli uomini della guerra) che non parta da questo annuncio della Liberazione cristiana dal mostro della violenza, dell'odio, del demone della guerra (la violenza e l'odio più terribili, perché organizzati, studiati, propagandati come amor di patria) non può aiutarla a compiere quella conversione di cui come Chiesa abbiamo bisogno di fronte al problema della presenza nella struttura militare.
Il sacerdote cristiano che vuol veramente testimoniare il Cristo Morto e Risorto, non può tranquillamente benedire tutta una realtà di uomini, di mentalità, che si trova strutturalmente fuori del progetto del regno di Dio. C'è un mondo con cui la proposta evangelica non può andare d'accordo, con cui il Cristo non può entrare in comunione se prima non viene abbattuto il muro di divisione. E' questo muro che occorre distruggere perché l'incontro col Cristo Liberatore e Salvatore sia possibile: la missione sacerdotale è ordinata prima di tutto a questo (poi viene il ministero dei sacramenti). Ora, in ordine agli eserciti di qualunque specie, il sacerdote non può che apparire come l'uomo del rifiuto di Dio di tutta una costruzione ordinata alla morte, alla distruzione, allo sterminio delle coscienze prima, delle vite umane poi. Di fronte ai capi che tengono in piedi la macchina della guerra, è tradimento venire a patti, cercare in qualche modo di mettersi d'accordo: il servizio fedele del Vangelo obbliga il sacerdote ad invitare ad uscire dalle mura della città vecchia, per incamminarsi verso la nuova, tutta da costruire. Egli non può che ripresentare - senza mutarla - l'antica proposta di Isaia: cambiare le spade in falci, le lance in aratri, i cannoni, i carri armati, i missili nucleari in trattori, case, scuole, ospedali; gli arsenali di guerra in pane per la fame dei fratelli. Qualunque altra proposta non è proposta cristiana, perché non nasce dal cuore di Do come ci è stato manifestato in Cristo, ma è frutto delle mille compromissioni della saggezza umana. Saggezza che non genera il regno di Dio: anzi - in questo caso - è la radice di una tragedia che vista in retrospettiva assume i caratteri di un dramma terribile. Di fronte a tutta la storia di guerra, ai milioni di uomini che si sono affrontati e sterminati sui campi di battaglia, al sangue sparso come ad affogare la speranza, la parola di Verità e di Liberazione che i sacerdoti cristiani non hanno annunciato rimane come una tremenda accusa. Perché non fu detto! Non andate. Disobbedite. Non combattete. Distruggete le armi o siate maledetti?
In un'epoca come la nostra in cui cresce sempre più la possibilità di violenze atroci, in cui la tecnica è capace di mettere a punto le armi più raffinate (il Vietnam non ha insegnato nulla?) credo sia giunto il tempo di non continuare a sostenere dei ruoli che non sono quelli pensati e voluti dal Cristo, a cui soltanto dobbiamo servire.
Il problema dei cappellani militari non è un problema personale; discutendolo non si vuol discutere la bontà individuale, l'impegno, la dedizione o il sacrificio che ognuno mette nel suo servizio. E' un problema di sostanza di un aumento di Liberazione che non viene fatto, di una contraddizione che non emerge, di un mondo da distruggere - per la forza della Parola di Dio - che invece viene incoraggiato, sostenuto e benedetto.
Credo che l'umanità abbia bisogno di una presenza sacerdotale che riproponga tutto intero il messaggio dell'Amore cristiano, che non eviti lo scontro - duro ma salvifico - con il regno del peccato. Non si tratta di togliere al mondo militare la presenza dei sacerdoti cristiani (questa è una semplice conseguenza della logica evangelica): si tratta di invitare questo popolo di schiavi (chi potrebbe dire che la guerra non è schiavitù terribile) ad incamminarsi verso la terra promessa della pace e della fraternità. Per questo viaggio è indispensabile partire decisi a non venire a patti con l'uomo vecchio, col vecchio lievito della forza, della sopraffazione, dell'uomo lupo dell'uomo, Se il sacerdote non propone questo cammino di Liberazione, accettando i rischi del deserto, egli rimane complice di tutte le ingiustizie, le torture, la morte con cui i Faraoni di tutti i tempi hanno sempre affogato il popolo. Il mondo militare è veramente un paese da esodo, una terra dalla quale occorre uscire coraggiosamente per andare incontro al Dio vivente: la missione sacerdotale dovrebbe di continuo alimentare questa marcia verso la luce.
Una Chiesa che non riesce a prendere coscienza di questo sacro dovere, rimane senza dubbio ancora tanto lontana dal segno del suo unico Signore e Maestro. Per questo il problema dei cappellani militari non riguarda loro individualmente. E' tutta la Chiesa - siamo tutti noi ad essere chiamata in causa: il non volerci assumere le nostre precise responsabilità storiche, può diventare una contro-testimonianza per chi ricerca il volto di Dio fra le pieghe dell' esistenza.
Non sono molto sicuro che - come dice l'Ordinario militare nel chiudere l'intervista - qualora lo si volesse mettere sul banco degli accusati, "migliaia di combattenti caduti nelle grandi guerre o ad esse sopravissuti sorgerebbero a difendere ii loro cappellano militare perché in lui essi hanno conosciuto e amato il Cristo".
E' difficile e molto rischioso tentare di sapere quello che i morti potrebbero dire; soprattutto quelli affogati dalla tempesta della guerra, sepolti sotto le pietre, disintegrati dalle bombe, chiusi dentro i ghiacciai o dispersi nel mare.
Potrebbe anche darsi - e un Giorno lo sapremo sicuramente - che essi sorgano insieme al Cristo Signore e puntino il dito verso di noi - Chiesa di Dio - per avere accompagnato e benedetto i soldati mandati al macello su tutti i campi di guerra, invece di gridare loro l'unica Parola di Salvezza: "Non andate. Poiché sta scritto: TU NON UCCIDERE".

Giuseppe Socci, sacerdote
Comunità del porto - Viareggio

N.B. Questa lettera l'Avvenire, per quanto ci risulta, non l'ha pubblicata. Ci addolora molto questa "parzialità" del quotidiano cattolico, anche se non ci sorprende, purtroppo.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA febbraio 1973, Febbraio 1973

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