La grotta di S. Oreste

La visita del papa agli operai della galleria di S. Oreste nella notte di Natale, la messa da lui ce-lebrata fra i segni della fatica del lavoro, hanno suscitato in me alcune riflessioni che vorrei cercare di esprimere molto semplicemente. Non so quello che abbiano provato gli operai presenti sul posto di lavoro, ciò che sia arrivato al loro cuore, al cuore di tutti gli operai che hanno saputo di questo fatto. Per parte mia, ho cercato di riflettere su questo avvenimento senza polemica, senza preconcetti, guardandolo con occhi semplici per coglierne il significato sul piano della Fede. Per vedervi qualcosa dell'immenso e affascinante mistero dell'Incarnazione del Figlio di Dio.
Mi è stato spontaneo riandare alla stalla di Betlem, alla nudità della mangiatoia, alla povertà di Gesù nella sua nascita e nella sua immersione nel fiume della vita. «Nel cuore della montagna, in fondo alla galleria di S. Oreste che tanto ricordava la stalla di Betlemme, Paolo VI ha ripetuto l'annunzio che l'angelo aveva fatto ai pastori. Agli operai della miniera, che rappresentavano quanti nel mondo hanno fame e sete di giustizia, ha ripetuto che ad essi, anzitutto, si rivolge il messaggio di salvezza e di spe-ranza del Messia». (Avvenire, 27-12-72).
Il discorso del papa è stato tutta una ricerca di far comprendere il perché della sua scelta, da parte di chi egli era andato e per quale scopo: «Perché sono venuto? Vedete: io sono un messaggero, sono un apostolo ... inviato apposta per comunicarvi una buona notizia, un vangelo ...».
Questo fatto rimane dunque un segno da interpretare, un gesto da comprendere. Per me, esso è qualcosa che rivela in modo indiscutibile le contraddizioni dell'intera comunità della Chiesa. Un segno che al di là delle intenzioni personali di chi lo ha compiuto interpella la Chiesa intera e non dovrebbe es-sere lasciato cadere nel vuoto. Un passo che potrebbe essere il primo su una strada di liberazione.
Eppure può darsi che esso rimanga un gesto chiuso nel breve arco di una notte, nelle emozioni di un attimo, nell'illusione di un abisso colmato e di un'amicizia ritrovata. Di un Natale veramente fedele al Natale del Povero, del Cristo che non aveva neppure una pietra dove posare il capo né una tana dove rifugiarsi.
Nella grotta di S. Oreste, a ricercare le tracce di Cristo, è arrivata - con il papa - una Chiesa dolorosamente lontana dalla strada del Vangelo, compromessa da tutti gli innumerevoli interessi che la legano ancora così tanto al carro dei potenti e dei padroni del mondo. Una Chiesa amica dei falsi idoli, asservita ancora al potere del denaro, dei giochi politici e diplomatici, seduta ancora troppo spesso al tavolo dei ricchi, paurosa dell'unica forza della Croce. Una Chiesa, nel suo insieme, dal Vaticano, alle nunziature, alle curie, alle parrocchie - strutturata sui modelli della saggezza umana, sulle furbizie e sulle burocrazie, sulla borghese sicurezza della nostra civiltà egoistica: lontana così tanto dalla chiara povertà di quel Gesù di Betlemme e di Nazareth di cui la Chiesa dovrebbe essere la fedele continuazione storica, il prolungamento vivente della sua Incarnazione.
Devo dire schiettamente che il papa mi è sembrato più vicino ai magi del Vangelo che agli apostoli inviati dal Figlio di Dio sulle strade del mondo a gridare il sogno di Dio. La Chiesa di cui egli è segno di unità e di autorità è troppo lontana ancora nel suo insieme da quel gruppetto di uomini mandati senza borsa, senza due tuniche, senza denaro nelle cinture, abbandonati totalmente alla provvidenza quotidiana del Padre, unicamente preoccupati del Regno di Dio.
La grotta di S. Oreste ha manifestato con chiarezza - grazie alla dura realtà del mondo operaio - quanto lunga sia la strada da percorrere perché possiamo sentirei degni di chiamarci apostoli, discepoli, amici del Figlio di Dio venuto ad abitare fra noi. Essa rivela come l'annuncio del Vangelo ai poveri, agli oppressi, a chi porta in sé le ferite dello sfruttamento e dell'ingiustizia, non possa essere autentico se non viene da chi vive le stesse lotte, la stessa croce. Senza comunione di vita, senza incarnazione nella pasta dell'esistenza concreta di coloro a cui rivolta l'evangelizzazione, qualunque tentativo di incontro rischia di rimanere un gesto sterile e equivoco.
Per me, ciò che é avvenuto la notte di Natale nel galleria di S. Oreste rimane un appello e un'accusa che lo Spirito di Dio - cuore della Chiesa - rivolge a tutti noi.
Non si può rallegrarci di questo «lieto avvenimento» senza renderei conto di ciò che occorra realmente fare per essere sulla strada segnata dai passi del Cristo; senza prendere coscienza di quello che Dio chiede insistentemente alla sua Chiesa. La Parola che non si fa carne non è Parola di Dio, non è Parola cristiana. Andare dai poveri senza esserlo, non è annuncio evangelico né rivelazione dell'Amore del Padre: può diventare addirittura una pietra d'inciampo in più sul cammino dell'incontro col Dio vivente.
Bisognerebbe avere occhi e cuore così tanto capaci di Fede da poter scorgere in certi gesti l'energia di conversione che vi è nascosta e che cosa essi realmente richiederebbero: una scelta chiara di rinuncia ad ogni falso potere, ad ogni autorità che non sia servizio; la rottura di ogni compromesso economico e politico, l'abbandono di ogni segno di privilegio, l'entrare a far parte del popolo dei poveri, di quelli che non contano.
La Chiesa che con Paolo VI è entrata nel grotta di S. Oreste, nella fatica della classe operaia, nel terreno di scontro fra il potere del denaro e della ragione economica e l'incessante sforzo di liberazione e di fraternità, per portarvi l'annunci del Cristo Salvatore, può darsi che abbia compiuto un gesto che si rivelerà come un seme vuoto se non comporterà - come sarebbe giusto sperare - una scelta precisa di conversione.
Ma la prima istintiva impressione è che tutto resterà perduto (come è successo infinite altre volte) fra le pietre di quella galleria; per cui cresce il senso di una profonda vergogna per un gesto d'amore che ha tutto il sapore del tradimento.


don Beppe


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1973, Gennaio 1973

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