La posta di fratel Arturo

Riprendo il discorso sulla Eucarestia al sorgere del sole nel quinto anno del secolo, chiedendo allo Spirito di Gesù di far giungere alle orecchie del Padre il gemito dell'umanità che è restata senza casa e senza gli esseri amati nel paradiso terrestre asiatico diventato in pochi istanti terra di morte. Questo gemito ha battuto nel nostro cuore cristiano. Ma la stessa pietà cristiana non si è estesa sulla Palestina, sull'Iraq, sui bambini mutilati, sui trentamila bambini che muoiono di fame ogni giorno, su tutte le vittime di quel demoniaco potere che abita il cuore dell'uomo. L'intenzione di spengere al più presto questo gemito e allo stesso tempo mandare avanti il programma di lanciare contro popolazioni inermi armi accresciute di potere distruttivo, è il segno della presenza demoniaca sulla terra. L'umanità cristiana che marca un giorno di lutto per la solidarietà verso le vittime dello tsunami e allo stesso tempo tace rassegnata al progetto di guerra infinita è quella stessa a cui Paolo rivolge la sua condanna: chiunque in modo indegno mangia il pane e beve il calice del Signore sarà reo del corpo e del sangue del Signore... chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore mangia e beve la propria condanna (ICor. 11,26 segg.). Penso al mio lontano passato quando la Chiesa terrorizzava gli adolescenti proibendo di ricevere il corpo del Signore se si fossero trattenuti su un pensiero impuro e peggio se fossero arrivati all'atto della masturbazione, e mi rendo conto che viviamo tutti in mezzo a cuori devastati da propositi di odio verso i fratelli. Un odio camuffato da giustificazioni varie, terrorismo, eliminazione del male, difesa della nostra integrità religiosa. Con il pretesto di difendere Dio che nessuno ha visto o può vedere, continuiamo ad ucciderlo nella carne del Cristo che è qui sulla terra, fra noi nel suo infaticabile operare per realizzare la verità nell'amore. Questa incapacità radicale del cuore umano di essere vero, perché capace di camuffare il proprio egoismo con atti di generosità, è drammatico e ha conseguenze disperanti. E' un aspetto peggiorato del fariseismo così ripudiato dal Cristo, che si trova di fronte all'impotenza di distruggerlo.
Il fariseismo moderno appare più complicato con atti e scelte che ostacolano evidentemente il progetto di pace e di giustizia che Gesù definisce regno di Dio. C'è speranza per il futuro dell'umanità? L'Amico mi consola concedendomi di vedere il domani anche se nell'opacità del tempo. Intanto ho la sicurezza che il pensiero ha dato una svolta e non potrà più tornare indietro. I pensatori che sono anche i progettisti della società, sono scesi sulla strada e si fanno compagni di tutti gli stranieri e, mettendosi con loro in cammino, ascoltando le loro storie, sentiranno che un Altro diverso cammina in questa fila. Qualcuno sicuramente sentirà il cuore battere di un palpito nuovo e insolito (cfr. racconto di Luca 24). Penso con gioia che i teologi, privati del servizio dei filosofi (philosophia ancilla theologiae) dovranno abbandonare i loro telescopi puntati su Dio, su Gesù, sulla 'carnale Eucarestia' e cambiare sostanzialmente il loro metodo di ricerca. Cominceranno ad interessarsi del Gesù raccontato, di colui che ha abbandonato la condizione divina per realizzare un progetto terreno, universale, qui ora. Ne nascerà una cristologia come investigazione del senso che ha oggi il progetto regno. Gesù sarà accolto, amato, ascoltato come progetto. La nostra risposta sarà un semplice 'eccomi' piuttosto che canti sdolcinati e irreali che si dirigono a un Gesù evanescente che sfuma tra le nuvole d'incenso. E allora sarà necessario fare chiarezza su questo progetto di 'amorizzare' il mondo e nessuno sarà più innocente: o lo favoriamo o costituiamo un ostacolo. Il posto di Tommaso d'Aquino sarà necessariamente occupato da un economista che ci spiegherà chiaramente come attraverso scelte economiche realizzate con un computer si possono immettere nell'umanità dinamiche di morte o dinamiche di vita. Il fiorentino Chiavacci ha anticipato questo avvicinamento, o meglio matrimonio, fra teologia ed economia che non avverrebbe per un decreto della Congregazione romana che impone il 'cursus studiorum' ai seminari, ma come segno dei tempi che Gesù in una esplosione indignata dice di accogliere come manifestazione storica del regno. Se in carica ci sono gli sfruttatori dei poveri, gli assassini a piede libero con cravatta e un completo impeccabile, laici e credenti che vogliono vivere nella verità potranno puntare il dito contro di loro e unirsi per deporti dal loro trono. Ecco uno dei primi risultati della morte della 'filosofia-concetto' e della sua rinascita come etica. Per tornare all'Eucarestia, che ho deciso quest'anno di mettere al centro della mia preghiera e del mio studio, mi auguro che l'attenzione dei teologi non si posi più sulla presenza reale ma sul cuore dell'uomo che deve accogliere la carne e il sangue del nostro fratello Gesù. E questo cuore deve rinunziare alla sua innocenza e chiarire se farà del male ai fratelli conservando progetti contrari al regno o se accoglierà pienamente le possibilità che offrono i tempi di far avanzare il regno di Dio. Prima è necessario far crollare l'idolo dal piede di terracotta con il quale Gesù ha dichiarato incompatibilità assoluta ed eterna, 'o Dio o mammona'. Forse sarà necessaria la grande carestia accennata nel capitolo 15 di Luca perché l'umanità cominci a trovarsi nel bisogno e il figlio che si è creduto libero grazie al potere del denaro che lo aveva emancipato, si renda conto che il vivere non è accumulare denaro e andarsene in una regione lontana per sfuggire al controllo dei fratelli, non è vivere sugli altri, ma è convivere. Allora i movimenti appariranno totalmente antistorici, come una vampata di un giornalismo senza radici, come la truppa messa a disposizione di Roma per fermare la riforma della Chiesa (cfr. A. Melloni, Chiesa madre, chiesa matrigna, Einaudi 2004) e, aggiungerei, per non perdere l'innocenza di usare il denaro senza chiedersi se questa libertà non sia pagata dalla fame dei bambini nel Terzo mondo. Voglio finire comunicandovi la gioia di aver capito profondamente due espressioni di Gesù: 'come infatti il Padre risuscita i morti e da la vita così anche il Figlio da la vita a coloro che vuole. Il Padre infatti non giudica nessuno ma ha dato tutto il giudizio al Figlio (Gv. 5,21-23)'. La vita che scende da Dio si qualifica secondo l'uso che ne fa l'uomo. Può essere una energia umana guidata dall'amore che è verità o trattenuta dall'egoismo e finire in una pozzanghera fetida. Questo avviene qui sulla terra e il giudice può essere solo un Uomo che vive con gli altri uomini qui sulla terra. Il vangelo di Giovanni ci mostra continuamente un Gesù uomo fra gli uomini in cui sono calati i poteri di Dio. Penso agli interventi apparsi nel dibattito su Repubblica 'Perché non possiamo dirci laici' a firma di Giuliano Amato e di Arrigo Levi che, parlando dei credenti, affermano che hanno una marcia in più dei laici. La mia opinione, frutto di preghiera e di lunga riflessione, è questa: oggi siamo in grado di capire meglio Gesù, e il Gesù ebreo e il suo progetto regno di Dio che si deve svolgere nella piena e libera laicità, pur essendo allo stesso tempo quel sogno che Dio ha messo nelle mani del figlio Gesù. Questa è la sola verità dell'uomo, indipendentemente dalle sue qualifiche e dalle sue scelte politiche e religiose purché siano scelte. Questa verità si illumina nel tempo in cui gli uomini di pensiero hanno messo i piedi sulla cruenta polvere (Manzoni) e si sono accorti che 'comprendere l'uomo è il primo e irrefutabile compito del filosofo ed è la determinazione storica del soggetto della propria finitezza e acccttazione ad essere dentro la storia in maniera ineludibile (E. Baccarini, La soggettività dialogica, Roma 2002). Questa verità, apparsa nel tempo che lega l'uomo alla sua responsabilità, secondo me è un segno dello Spirito che rinnova continuamente la faccia della terra ed è come un vento che tu non sai da dove viene e dove va. Su questo sfondo chi può dire di avere una marcia in più?


fratel Arturo


in Lotta come Amore: LcA maggio 2005, Maggio 2005

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