Il problema dell'obiezione di coscienza

Obiezione di coscienza e il Clero

Se ne ragionava l'altro giorno fra noi, e come spesso succede, parlando e discutendo le idee si svolgono come un filo da matassa aggrovigliata.
Si diceva che nei confronti di proposte cristiane, sempre più richieste dall'esigenza di chiarezza in una evangelizzazione realizzata nel nostro tempo, noi, uomini di Chiesa, noi clero, non siamo nelle condizioni adatte per poterle offrire.
Nemmeno siamo autorizzati e giustificati a parlare di certi problemi che pure travagliano il nostro tempo.
Di libertà dal potere civile, per esempio, quando i Vescovi devono giurare fedeltà allo stato, prima di andare a fare i pastori fra le pecore della propria diocesi, nelle mani del Presidente della Repubblica.
Di libertà dal potere militare e poliziesco, data l'esistenza di un Vescovo che fa il pastore nel gregge di pecore irreggimentate nell'esercito e nei vari corpi di polizia.
Di libertà nell'insegnamento religioso, regolato e stipendiato nelle scuole, e anche nelle parrocchie, ecc.
Di libertà nell'opinione politica e di rapporto sociale con la vita, per il fatto che s'impongono necessità inderogabili di particolari appoggi e sostegni da parte delle Chiesa.
E tantissimi altri problemi che in definitiva portano già chiara, stabilita e assolutamente inevitabile la modalità dell'annuncio evangelico, i limiti e le vie obbligate dentro le quali deve correre, e non può essere diversamente, l'evangelizzazione.
E ci siamo fermati ad approfondire con serietà e, pensiamo, con responsabilità, il problema, così bruciante, ai nostri giorni, dell'obiezione di coscienza.
Perché è un fatto che in una seria evangelizzazione sull'Amore fraterno, sull'essere tutti figli di Dio, sull'annuncio adorabile di Dio che è Padre (è la rivelazione più nuova e luminosa, fino a illuminare di luce nuova la terra e l'umanità, che il Figlio di Dio ha svelato ai figli degli uomini) per questa evangelizzazione non si può che essere antimilitaristi, assolutamente contro l'esercito, contro la guerra, contro le armi, contro tutta, insomma, quell'organizzazione fatta per uccidere che è il militarismo.
Ci troviamo subito, come Chiesa, andicappati, in un grosso imbroglio, nella evidente e amarissima condizione di una vera e propria impossibilità nei confronti dell'evangelizzazione all'Amore fraterno, chiaro, aperto, universale, per la compromissione - letteralmente ufficiale - della Chiesa con tutto il mondo militare e poliziesco.
Le distinzioni sono unicamente sotterfugi penosi, le giustificazioni sono tentativi di una copertura fatta di stracci, insufficienti a coprire le vergogne.
Un Vescovo è sempre un Vescovo; successore degli Apostoli ecc., e l'aggettivo specificante la sua missione di «castrense» è' assolutamente incompatibile. Basta metterei a tradurre questa parola «castrense» per capire l'incompatibilità. E' questione di sfogliare un vocabolario.
Che sacerdoti su quella «sacra talare» (sono rimasti quasi gli unici a portarle, chissà perché, forse per un segno di fedeltà alla Chiesa e all'esercito) portino i gradi di tenente, di capitano, di maggiore, ecc., lascia molto perplessi, specialmente se viene da pensare che da quella "sacra talare" ne venga una sacralizzazione per l'esercito e che da quei galloni ne possa venire un prestigio, un motivo di particolare stima (o di timore) per la "sacra talare" e per il sacerdozio.
Ma il discorso andava avanti, svolgendosi in riflessioni improvvise e laceranti.
Noi preti ci troviamo nella condizione di non poter trattare dell'obiezione di coscienza e quindi di non potersi schierare accanto a quei giovani che affrontano il carcere - e nella quasi totalità a seguito di motivazioni religiose - pur di non rivestire una divisa militare, imbracciare un fucile, entrare nell'ingranaggio dei cingoli di quel carro armato che è la vita militare, che è l'esercito.
E' un popolo (sparuto quanto si vuole ma in crescita, tant'è vero che sta premendo perfino in Par-lamento questo problema) è un popolo questo degli obiettori di coscienza, senza sacerdoti fra loro, senza un'ombra di solidarietà da parte della Chiesa, senza una evangelizzazione chiara e precisa.
Il motivo è semplice: noi preti siamo nella più assoluta impossibilità di poter essere obiettori di coscienza.
A seguito del Concordato con l'ordinazione «in sacris» si ha l'esenzione dal militare. E' un privilegio, non è un segno antimilitarista della Chiesa.
A seguito del Concordato, da sacerdoti e uno da vescovo, può diventare militare e nientemeno che ufficiale o nel caso del Vescovo, generale (o qualcosa del genere). E' al solito un privilegio e un segno e realtà di collisione fra Chiesa ed esercito.
Questo benedetto Concordato che ha ridato Dio all'Italia e l'Italia a Dio!
Cosicché se a qualche sacerdote (naturalmente ancora nei limiti di età e particolarmente chiamato a questa testimonianza) venisse l'idea di fare l'obiettore di coscienza, bisognerebbe che chiedesse la riduzione allo stato laicale e potrebbe darsi che gli arrivasse la cartolina di chiamata sotto le armi. Bruciata la cartolina, arrivano i carabinieri, cinque minuti di tribunale militare e il carcere apre i cancelli e li richiude per parecchio tempo.
Per una evangelizzazione seria, responsabile e pagata, contro la guerra, per poter gridare, a bocca pulita, la parola pace e diventare credibile che la Chiesa è contro la guerra e vuole seriamente la pace, quella cantata dagli Angeli sulla grotta di Betlem e quella che unicamente può dare Cristo e non il mondo, alla umanità, ecco, come preti, che cosa bisognerebbe arrivare a fare.


don Sirio


in Lotta come Amore: LcA gennaio 1973, Gennaio 1973

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