Hanno fatto un deserto e lo chiamano "Pace"
Forse, fra poco, i lupi concederanno la Pace. Pace che si stenderà come un immenso velo nero a ricoprire .il sangue di migliaia di uomini che nel Vietnam l'hanno sparso, irrigando quella terra di sofferenze indicibili, di lutti, di stragi assurde.
I lupi, ormai stanchi per la troppa durata di questo pasto feroce - ma pur sempre conveniente - forse decideranno che il cimitero vietnamita possa riposare. Piano piano il riso tornerà a fiorire nella terra lacerata dalle bombe a biglia, dal napalm, dall'urlo delle vittime innocenti; e nelle foreste nude per i defolianti chimici un giorno la primavera riuscirà a vincere la morte che ora vi regna. Ma i morti non vedranno quella primavera e resteranno chiusi nel loro inverno, con la bocca gelata dal freddo della morte e dell'ingiustizia da cui sono stati lacerati.
Per questo è necessario non dimenticare, non andare avanti facendo finta che niente sia successo, ricoprendo tutto il delitto col velo di un'ingiusta pietà. La vera pietà per coloro che dalla fine della seconda guerra mondiale non hanno ancora conosciuto la Pace consiste nella volontà di non di-menticare il crimine di cui essi sono stati le vittime e combatterlo con tutta la forza della propria ribellione.
Può darsi che la storia fatta dai potenti di questo mondo - storia ipocrita, falsa, manipolata dall'interesse del più forte - dia ragione all'affermazione di un loro degno rappresentante: «Fra qualche anno la parola Vietnam sarà soltanto nell'ultima pagina di qualche libro di storia». Può darsi che così avvenga; ma c'è una Storia diversa, costruita e tessuta dalle mani pazienti di Chi dalla massa informe della argilla umana cerca con infinito Amore di plasmare la nuova creazione. In quella Storia che è sacra - perché segnata dal soffio dello Spirito di Dio - il Vietnam resterà senza dubbio segnato a caratteri di fuoco. E su quelle pagine, non scritte da mano d'uomo, il giudizio resterà chiaro e preciso, tagliente come il filo di una spada.
La pace che i lupi potranno concedere forse verrà; ma il sangue sparso, le lacrime, le ferite, le distruzioni, la carne lacerata, la solitudine scavata nel cuore di migliaia di creature rimane lì, tutta intera, come un macigno tremendo a pesare sulla coscienza di chi ipocritamente può pensare di cancellare con una firma d'inchiostro tutto il fiume di morte uscito dalle sue mani.
I lupi concederanno forse la Pace: i presidenti, i generali, gli industriali, i tecnici, i piloti, i soldati, tutti quelli che in qualche modo hanno partecipato a questa mostruosa costruzione della morte (compresi i cappellani militari, ultimi attori di questa tragedia da loro «benedetta») se ne andranno anche loro «in pace», ai loro nuovi affari. Un lavoro è finito, si lavorerà a prepararne un altro.
Può darsi che vada così, ma il cancro rimane e la piaga aperta appesterà questa nostra civiltà senz'anima, incapace d'impedire un massacro assurdo, pazzo, criminale come quello vietnamita.
Tutti quelli che dalla lontana America, dall'America democratica, super-sviluppata, garante della libertà, hanno preparato e alimentato gli strumenti della strage, hanno incoraggiato i loro figli o i loro mariti a compiere «il loro dovere», hanno fatto miliardi col sangue dei poveri, hanno giocato le carte della carriera politica sullo schiacciamento dei deboli, tireranno un sospiro di sollievo e si sentiranno soddisfatti per la Pace che viene. E anche tutti i benpensanti - e sono tanti anche fra i cristiani - saranno pronti a riconoscere la magnanimità degli uomini politici che avranno voluto concedere riposo a un intero popolo dissanguato.
E forse non si daranno il minimo pensiero per non aver mosso nemmeno un dito perché quel povero popolo fosse lasciato libero nel suo cammino, perché la rabbia e la sete di potere di un branco di lupi rapaci non si rovesciasse sopra di lui.
Questa Pace fa paura, perché come la guerra di cui è figlia, porta il segno del più spaventoso egoismo. Non è la Pace di cuori rinnovati, di un uomo vecchio che rinasce, di lievito buono che emerge dalla distruzione del vecchio fermento. Non ha il sapore di una fraternità ritrovata: è una Pace vestita di sangue, coperta di lutti e di stragi.
Pace di lupi che ora indossano vesti d'agnelli e tentano di lavarsi le mani di tutto un tremendo problema, senza cambiare il cuore.
Che fare, allora? Mi sembra che sia giusto lasciarci invadere l'anima, fino a traboccarla d'angoscia, dalle migliaia e migliaia di volti piagati dei martiri vietnamiti, vittime di una atroce persecuzione, traditi dalla quasi totalità di noi cristiani che in tutti questi lunghi anni di tragedia non abbiamo saputo fare per loro niente di più che ricordarli forse in qualche distratta preghiera dei fedeli. I volti miti, pacifici, afflitti, dei santi innocenti del Vietnam, fascio di tralci buoni bruciati nel rogo della pazzia criminale dei potenti. E attingere da questi occhi spenti da una pioggia di fuoco, da queste mani lacerate dai chiodi dell'ingiustizia e della sopraffazione, il coraggio e il dovere per una lotta senza quartiere contro le radici della follia. E prendere coscienza che se accettiamo questo mondo «così com'è», se non usciamo dalle nostre tane per gridare e fare la Verità in piena luce, se non lottiamo allo scoperto perché i cannoni e i bombardieri siano trasformati in trattori, in aratri, in scuole, anche noi siamo assassini. E non ci sarà nessuna buona fede a salvarci: perché non basta dire «Signore, Signore» per entrare nel regno dei cieli.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA gennaio 1973, Gennaio 1973
Luigi Sonnenfeld
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