Chiesa, casa del popolo di Dio
Questa volta è possibile parlare di chiesa senza il pericolo della solita equivocazione e confusione di idee di quando si parla di Chiesa, papa, vescovi, preti. cristiani militanti, praticanti, battezzati ecc.
Pensiamo alla chiesa: duomo, cattedrali, basiliche, parrocchiali, oratori, cappelle... tanto per distinguere i muri più o meno qualificanti di particolare presenza e importanza del fatto religioso, con la solita ridicolaggine del privilegio onorificante gli uomini e disonorante Dio, sempre in ricerca, come ci avverte Gesù, di adoratori non su questo o su quest'altro monte, ma in spirito e verità. Queste chiese, comunque si vogliano chiamare, eccole lì, ce ne sono in abbondanza, nonostante il problema di costruirne di nuove che angustia le curie delle grosse città e l'ansia costruttiva sempre zelante di tanto clero.
In questi ultimi tempi, sempre su! filo del nostro riflettore sulla problematica religiosa e cristiana, così come ci salta agli occhi nell'esperienza quotidiana e a seguito dell'impossibilità di diventare indifferenti nei confronti dei problemi della Chiesa del nostro tempo, ci è capitato di fare alcune constatazioni.
La chiesa è una casa, la casa d Dio, si dice comunemente. E va bene, anche se è vero che se Dio ha una casa l'ha nel cuore di ogni uomo e di ogni donna e le quattro mura e un tetto dove abitare vorrebbe tanto che fosse la casa dove abita una famiglia. O dove due o più sono riuniti nel suo nome. O dove è possibile riconoscere la realtà delle sue «Beatitudini», dove è legge unica l'Amore ecc.
In ogni modo è pacifico che la chiesa è la casa di Dio per tutte le ragioni che è inutile elencare. E difatti le chiese hanno un tipo architettonico particolare, inconfondibile e, più che sia possibile, una sontuosità e fastosità artistica o di ricchezza, che le rende, quelle pietre, come si dice, degne di Dio.
Ci viene da pensare però che se le chiese sono la casa di Dio dovrebbero essere anche la casa del popolo di Dio. Evidentemente perché sono la casa di Dio e del suo popolo, non dovrebbero essere proprietà dell'autorità ecclesiastica fino alle misure dispotiche consuete. Non è giusto che il clero se ne faccia possesso in esclusiva. E' assurdo che rimangano riservate unicamente al culto liturgico e devozionale e quindi luogo che in definitiva rimane accessibile e possibile per i cosiddetti praticanti e gli altri ne rimangono inevitabilmente esclusi.
La chiesa è luogo ormai qualificato, caratterizzato, nettamente definito come luogo di culto, con tutto quello che questa sistemazione di cose comporta, di gravissima responsabilità per il fatto che ne consegue l'esclusione dalle chiese delle masse popolari, sempre più delle masse giovanili, e delle crescenti situazioni di difficoltà alla Fede, diffuse ormai a ventaglio nella nostra società. E rimangono sempre più fuori della porta, o buttati fuori immediatamente come cani randagi, i problemi, anche i più brucianti della vita, dell'esistenza umana nella loro concretezza più cruda come i problemi del lavoro, della guerra, degli scontri sociali, della disumanità nel mondo, dell'ingiustizia, della sopraffazione del potere, della schiavitù dei popoli, della violenza dei potenti, ecc...
E se qualcosa entra è attentamente purificata, devozionalizzata a sospiro, a preghiera, a sentimentalizzazione spiritualizzata. Vi è però da sempre e vi rimane a possedimento unico, disponendone a criteri assoluti, l'autorità ecclesiastica: apre e chiude quando e come vuole: vi entra o lascia fuori chi vuole.
Domina nelle chiese una predicazione stabilita e controllata. Celebrazioni liturgiche rigorosamente precisate. Sistemazioni devozionali a incremento sentimentalistico, a totale detrimento della serietà e austerità di un luogo che dovrebbe richiamare l'idea di Dio e aiutare un incontro e un'esperienza di Lui, alla luce della sua Parola, fatta carne e vivente tra noi in Gesù Cristo.
Logicamente rimane padrone della chiesa il gruppo di praticanti e delle praticanti. Gruppo, attualmente, con evidente progresso e liberalizzazione, chiamato comunità parrocchiale. E' questa comunità che dispone unicamente ed esclusivamente della chiesa e di tutto quello che è il servizio effettuato nella chiesa, tant'è vero che nella disposizione e nella realizzazione di questo servizio, si tiene conto in maniera e misure condizionanti, delle esigenze, delle richieste, delle pretese di questa comunità.
E così tanto che ciò che questa comunità non gradisce viene attentamente escluso e ciò che è di gradimento, in un modo o in un altro, passando sopra a criteri pastorali di serietà e responsabilità gravissimi, viene fedelmente realizzato.
Succede che le chiese effettivamente sono proprietà di pochi, a volte di pochissimi e non sono né possono essere o diventare casa del popolo di Dio.
E' molto triste, pesantemente penoso, che le comunità parrocchiali somiglino in maniera e misure impressionanti al fratello maggiore della parabola del figliol prodigo e rischiano di essere gli scribi che né entrano, né lasciano entrare nel Regno dei cieli.
I tempi che stiamo vivendo comportano ricerche pastorali e impegni concreti che devono iniziarsi «dalla casa di Dio» (il profeta alludeva al tempio e a tutto ciò che nel tempio avveniva). Le riforme rituali e liturgiche non sono sufficienti e nemmeno indicate per iniziare un fatto fondamentale nella vita cristiana delle comunità parrocchiali e della cristianità in genere: quello della conversione che significa, prima di ogni altra cosa, spezzare ciò che chiude e rinchiude, e aprirsi ed aprire. Il cuore prima di tutto, e poi tutto un tipo di Fede, di comportamento religioso, di realtà di rapporti e tante altre cose, comprese, come segno concreto e reale, anche le chiese.
Può darsi che siano venuti i tempi di impegnare tutta la pastorale tesa all'uso delle chiese in modo che siano veramente casa di Dio e del suo popolo. Luogo d'incontro di assemblee di popolo a trattare i problemi che bruciano i nostri tempi, alla luce di Dio.
Assemblee dove la parola di Dio non è legata, istituzionalizzata ed ecclesiasticizzata. Dove Gesù Cristo è possibile sentirselo accanto, nel fuoco acceso della sua Parola, nel suo mescolarsi imprudente e chiarissimo di vero Dio e vero Uomo, alle vicende della storia di ognuno e dell'umanità intera.
E' possibile questa pastorale, è doveroso in coscienza viverla, tentarla, se non altro, rischiarla anche se di rischio si vuole parlare.
Alla sera, quando appena le penombre della notte calano, le chiese puntualmente si chiudono, a meno che non ci siano Messe o processioni fatte sul tardi per la comodità della gente praticante.
Potrebbero essere riaperte per assemblee di popolo, per riunioni di gruppi, per dibattiti popolari, per ricerche di coscientizzazione cristiana sui problemi della vita...
Basterebbe che non si avesse paura che abbia a spegnersi la fiammellina all'altare del Santissimo Sacramento.
Credere che Gesù presente nel tabernacolo sarebbe felice di accogliere nelle sua casa gente che parla, discute, si incontra e magari anche si scontra liberamente, come se fosse a casa sua e anzi molto di più, come è giusto che succeda ne1la casa di Dio, che evidentemente non è quella lustrata a specchio della solita famiglia cristiano-borghese.
Ed essere convinti che fumare una sigaretta in chiesa non è molto di più sconveniente che accendere candele, con quel loro odore tipico e respingente che impregna la casa di Dio fino alla nausea.
Bisognerebbe seriamente riflettere che la chiesa è la casa di Dio perché possa essere la casa di tutti, Almeno quelle case di Dio dove non vi sono quadri e ricchezze da rubare. Abbiamo tentato questa «pastorale», ma è stata risolutamente e autorevolmente respinta, repressa. Ne riparleremo un'altra volta, di tutto il problema.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA settembre 1972, Settembre 1972
Luigi Sonnenfeld
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