Pastorale operaia

Situazione

La Chiesa ha bisogno che i suoi apostoli riscoprano con le loro mani e con il loro sudore, l'uomo e Dio, altrimenti preti e operai continueranno a vivere su pianeti diversi: Gesù Cristo non si è imposto egli stesso questo lungo apprendistato umano?
Situazione
Ecco come avvengono le cose. Le raccontiamo così, alla buona, "senza documentazione" perché il documento più vero e probativo, è la propria angoscia che sale su a stringere dolorosamente il cuore, ogni volta e è ogni giorno, che viene da constatare lo scavarsi sempre più profondo del fossato che separa e divide la Chiesa dalla classe operaia o, per parlare più correttamente e cioè annebbiando le idee fino allo sbiadirsi del problema, dal mondo del lavoro. E ormai il disancoraggio della gente che lavora da una visione cristiana della vita è progressivo a misure che vanno da un impegno radicalizzato a estrema sinistra che taglia netto perfino col riformismo comunista e respinge decisamente ogni dialogo "religioso" ed all'opposto da uno scivolare, a concretezze impressionanti, verso un imborghesimento della classe operaia che ovviamente anche se può comportare un rammollimento della vecchia ruggine anticlericale non comporta (ed anzi fruttifica il contrario) un crescere di fede e di autenticità di Popolo di Dio.
L'imborghesimento non sarà mai la via al Cristianesimo: alle scelte e alla ricerca, alla possibilità della visione cristiana della vita e della sua concretizzazione individuale e comunitaria.
Dalla famosa data, così scioccamente perché gloriosamente strombazzata, della Rerum Novarum, via via lungo i decenni e gli anniversari puntualmente aggiornata dai diversi papi fino a Papa Giovanni, con tutti gli studi annessi e connessi, a biblioteche intere e le ricerche, la sofferenza, la pratica, il travaglio individuale, di gruppi, di organizzazioni, fino alle più recenti dell'Onarrno e simili, agonizzanti negli uffici assistenziali e devozionali delle fabbriche fino alle Acli, ecclesiasticamente annientate sul campo di battaglia e alla lotta, da guastatori e genieri coraggiosi a tentare di costruire ponti di fortuna fra le due sponde, spericolati sull'acque minacciose della fiumana in piena, come sono stati e sono i preti operai. .. è tutta uno storia triste e penosa per tentare di incarnare la Chiesa (la Fede è un'altra cosa) là dove la chiesa non vuole essere incarnata, là dove la Chiesa non vuole "farsi uomo" e non vuole "mettere la sua tenda, abitarvi". E nessuno può fare per un altro quello che l'interessato non vuole assolutamente fare.
Quando poi succede, come nell'enorme problema dei rapporti fra Chiesa e classe operaia, che uno non vuol fare ma vorrebbe dimostrare che fa, allora si rischia l'imbroglio, che in un modo od in un altro, o prima o poi, viene smascherato e da parte di chi inganna e da parte, tanto più, di chi è ingannato.
Siamo al tempo di questa smascheratura.
Ormai alla base della Chiesa, cristiani e preti, non si accetta più, quasi alla totalità, una pastorale a programmazione preordinata nel mondo del lavoro. E cioè si respinge "la pastorale". Semplicemente perché "pastorale" vuoi dire attrezzaggio furbesco. ricerca di modalità più adatte, complesso di iniziative, strategie intenzionalizzate, messa in moto di ingranaggi e l'avanzare in terre di conquista....
Rigirata come si vuole, presentata e ripulita e rispolverata, tirata a nuovo, la pastorale nel mondo del lavoro, vuol dire che tutto rimane (e in quel «tutto». vi è tutta la Chiesa) esattamente come sempre anche se sono nuovi (o almeno così vorrebbero presentarsi) i modi, le iniziative, i sistemi pastorali ecc.
Ormai nella classe operaia sempre più è manifesta la Chiesa come una realtà temporalistica, adattabile su misura ma specialmente propensa ai rapporti di potere, ai valori economici, alle esigenze e agli opportunismi politici. La piccola Chiesa delle parrocchie, quella più grande delle diocesi e delle Conferenze Episcopali e la gran Chiesa cattolica. Il giudizio attuale della classe operaia è ancora più pesante nei confronti della Chiesa perché il rapporto che è venuto maturandosi, non è più nemmeno un rapporto di diffidenza o di sfiducia, è di noncuranza: la Chiesa è qualcosa messo da parte, è un problema quasi senza senso.
Ne legge qualcosa sui giornali, parificandone a livelli di cronachetta tipo curiosità, gli avvenimenti le cose che succedono in Vaticano e le storielle delle celebrazioni religiose, sbadiglia a quello che di Chiesa e cioè di ecclesiastico vede nella televisione e accende una candela per devozione o, così perché glielo hanno insegnato i suoi vecchi, va alla Messa la domenica o guarda passare una processione.
Esagerazione? Può darsi, ma per sincerarsene. se uno ne ha voglia e i Vescovi e i preti questa voglia la dovrebbero avere, basta chiacchierare con la gioventù dai diciotto anni in poi e viene subito fuori la situazione di rapporto che c'è in questo nostro tempo, tra il mondo in cui viviamo e la Chiesa.
* * *
La pastorale del mondo del lavoro, d'altra parte, bisogna farla. E appena assestata la zampata del leone sulle ACLI (questo ponticello gettato là da una sponda all'altra a pencolare sull'abisso) a parte i tentativi col MOCLI e la Federacli, i nuovi incaricati della C.E.1. per «studiare» la nuova pastorale, dal maggio dell'anno scorso dopo un documento ufficiale dell'episcopato, approntano le nuove tematiche pastorali e scoprono offrendo il tutto come novità assoluta, che le caratteristiche della nuova pastorale del lavoro che deve impegnare i gruppi sacerdotali da costituirsi in ogni diocesi, sono:
- Questa pastorale "è opera di tutta la Chiesa", deve essere «organica», deve essere "completa", deve essere "incarnata" e cioè questa pastorale perché sia incarnata «deve capire i segni dei tempi ed adeguarsi alla mentalità, alla cultura, alle condizioni di vita del mondo operaio e per questo deve essere aperta alla creatività e alla sperimentazione continua in un mondo che rapidamente cambia». Vien da pensare che dopo tanti secoli «cristiani», c'è ancora da capire e precisare nel linguaggio del magistero, della teologia e della ricerca di vita cristiana, cosa vuoi dire «incarnazione». E parrebbe che da dopo Gesù Cristo dovrebbe essere la verità cristiana più semplice e comprensibile, dal momento che è così decisiva nella Fede in Gesù Cristo e così chiara, allo scoperto com'è, nella sua vita e nella sua Parola.
Ma equivocare e cioè studiarvi sopra all'infinito è un modo disinvolto e intelligente per non capire due e due quattro. Cercare di fare le pastorali è una maniera elegante per girare intorno agli ostacoli e svolazzare sopra le cose sfarfallandovi interessamenti o risultanze, in definitiva, programmate e intenzionalizzate.

Non per nulla nell'ultima riunione episcopale italiana, dal documento emesso dalla C.E.I. il 20 giugno, per la pastorale del mondo del lavoro, non è sembrato opportuno proporre altro «per favorire in tutta la comunità ecclesiale un impegno di educazione ai valori sociali del cristianesimo, che venga preparato un catechismo sociale e un direttorio di pastorale sociale».
Saranno nominate certamente commissioni di studio (fatte anche da operai?), verrà fuori questo catechismo per la classe operaia e quel cosiddetto direttorio sul quale binario correrà la pastorale operaia.
La Chiesa avrà il suo bravo catechismo rafforzato dal direttorio. Una pastorale a base di studi, di riunioni, di iniziative, di attività ecc.
E il mondo del lavoro, la classe operaia, andrà avanti per la sua strada, come se nemmeno la Chiesa esistesse e tanto più senza neppure sentirsi sfiorato da tutta quella pastorale, fatta dalla Chiesa, a compiacenze unicamente ecclesiastiche.
E' chiaro che non siamo d'accordo con questi «Uffici pastorali per il mondo del lavoro» in via d'istituzione nelle diocesi e non ci sentiamo disponibili per questa pastorale del mondo del lavoro.
Intendiamo però vivere rivolti più che sia possibile alle problematiche cristiane della realtà del popolo di Dio che lavora manualmente e in particolare della classe operaia e disponibili e impegnati all'evangelizzazione in mezzo ai nostri fratelli operai, condividendone più che ci è possibile, la vita e tutto quello che l'esistenza operaia comporta, nella convinzione che pur trattandosi di «vocazione personale sia tutto per la realizzazione di un progetto ecclesiale collettivo». (doc. preti operai francesi)
Nella nostra nullità personale e di gruppo vorremmo tanto offrire qualcosa: nonostante che il nostro qualcosa sia quasi sistematicamente respinto.


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in Lotta come Amore: LcA settembre 1972, Settembre 1972

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