Gente del Vangelo

5 - Gli abitanti di Nazareth

Il rapporto di Gesù con gli abitanti del paese in cui è praticamente vissuto fino ai trent'anni, riflette ed in un certo modo sintetizza il rapporto di Gesù con le folle della Palestina. E' Luca a proporre per primo questo rapporto in un momento in cui la fama di Gesù si diffondeva in tutto il paese d'intorno.
C'è tutto l'orgoglio di un piccolo paese per l'importanza che gli viene dalla crescente celebrità di uno dei suoi figli, la sensazione di un fatto straordinario che il caso ha voluto donare, quasi un privilegio, a gente dimenticata da tutti. Le solenni parole di Isaia, cariche di speranza, risuonano nella sinagoga di Nazareth insieme all'affermazione di Gesù: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete udita poco fa coi vostri orecchi». E si attende allora che il miracolo di Dio scenda a colmare il privilegio di coloro che sono riuniti in quel tempio.
La stessa situazione di chiusura, l'identica sensibilità capace solo di avvertire ciò che può essere un vantaggio immediato, lo stesso atteggiamento di sempre che costringe il messaggio religioso a piegarsi, a beneficio della mia o tua salvezza individuale, della mia o della tua volontà. C'è tutto un popolo cri stiano che si impegna con Dio unicamente nei termini di diritti e di doveri ben precisati, assicurato così da una gerarchia oltremodo sollecita nell'aiutarlo a maturare quella gran pensione che è il paradiso.
Il miracolo non avviene: viene invece, puntualmente, lo scandalo. Il racconto di Marco e Matteo è già preceduto dai primi conflitti di Gesù con i Farisei specie per la questione dei miracoli operati di sabato. L'atmosfera si è scaldata e la gente comincia a farsi una giustificazione della propria incredulità e della propria chiusure di cuore: è uno di noi, nato e cresciuto in mezzo a noi, ma da dove gli vengono queste capacità? La normalità di un'esistenza già fonte di compiacimento, diviene ostacolo da aggirare in qualche modo: «Da dove gli viene questa sapienza e questi miracoli? Non è costui il figlio del falegname? E sua madre non si chiama Maria? Ed i suoi fratelli Giacomo e Giuseppe, Simone e Giuda? E le sorelle non sono tutte qui tra noi?» (Marco)
Si comincia a pensar male di lui. Neppure per un attimo sembra sfiorare la testa di quella gente il pensiero che vi sia qualcosa da accogliere, una ricerca da iniziare, un'indicazione da seguire. Solo il dispetto per aver creduto di aver coltivato una rosa e l'amara sorpresa di ritrovarsi in mano pochi fili di paglia: «Non è costui il figlio di Giuseppe?» (Luca)
Gesù intuisce che, dietro questi interrogativi, si nasconde l'avidità, la curosità, l'interesse per un qualche vantaggio: «Sicuramente voi mi direte: ... Tutto quello che si va dicendo esser avvenuto a Cafarnao, fallo pure qui nella tua patria» (Luca). Se non altro un forte spirito campanilistico, una fredda ironia che nasconde il disappunto per la preferenza data ad altri.
La sua risposta non poteva essere più provocatoria. Evidentemente Gesù, il pastore buono, non ha la mentalità paternalistica del buon parroco né problemi di delicati equilibri propri dei vescovi. Che non siano storielle lo dimostra il fatto che «all'udire tali parole, tutti nella sinagoga furono ripieni di collera, e levatisi lo spinsero fuori della città e lo condussero fino alla cima della collina, sopra la quale era edificata la loro città, per precipitarlo» (Luca). E se questo è il rischio che ha corso Gesù non è difficile credere che lo abbia fatto in quanto gli interessava molto precisare il pensiero di Dio al riguardo.
«Ma in verità vi dico: molte erano le vedove d'Israele al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi, quando vi fu una grande carestia in tutto il paese; eppure Elia non fu mandato ad alcuna di esse; ma piuttosto a Sarepta, nella regione di Sidone, ad una povera vedova. E molti lebbrosi c'erano in Israele al tempo del profeta Eliseo: ma nessuno di essi fu guarito, ma lo fu piuttosto il siro Naaman» (Luca).
Un deciso no alla mentalità legata al privilegio. Essa va distrutta perché possa crescere un autentico rapporto con il Dio della grazia e della sovrabbondanza, con Colui che non ha nel cuore preferenze personali e coloro che sceglie li chiama non per dar loro la soddisfazione di essere dei preferiti, ma perché siano al servizio degli altri nell'accoglienza della Sua Parola. Un Dio che non è imprigionato alle proprie scelte da nessun interesse, fino a poter liberamente dare, a chiunque, senza un ordine ed una logica precisa secondo il nostro criterio. Seminatore dal braccio levato e dalla mano aperta che sparge il suo seme anche sulla strada, tra i rovi, in mezzo ai sassi.
Ne viene tutta un'esigenza di convertirsi dalla mentalità e dall'atteggiamento del 'figlio maggiore' (parabola del figliol prodigo) chiuso nelle sue pretese anche se giustificate da una vita giusta, per accogliere la vera 'giustizia', quella che ci viene donata in sovrabbondanza da Dio, che impedisce il richiamarsi a dei diritti nei confronti degli altri proprio perché l'unico diritto ammesso è di amare senza misura. A somiglianza di Dio, secondo il suo pensiero.
Uno stile di vita da verificare nel rapporto con gli altri, nella vita familiare, nella vita della Chiesa, Questo accampare diritti di sudditanza e di servizio, di comprensione e di affetto, di ubbidienza e di riconoscenza nel cieco atteggiamento dell'egoista che misura al millimetro i propri sforzi. Questo avere una chiesa propria dove gli 'altri' non possono entrare, avere un'ora di scuola propria, rappresentanti propri nell'esercito, accanto alle autorità civili nelle cerimonie ufficiali, un partito per noi, i 'nostri'...
E per il cristiano che esce soddisfatto dalla chiesa, assolto l'obbligo del precetto domenicale, la tranquillizzante fiducia di morire un giorno assistito da un prete tutto per lui, che la pensa come lui.
«Ma in verità vi dico: molti erano i cristiani nel mondo, eppure ... »


don Luigi


in Lotta come Amore: LcA settembre 1972, Settembre 1972

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