Non è una condizione di pace quella della vita. La constatazione di tutta una realtà di lotta è così evidente che è perfino assurdo cercarne una dimostrazione. Basta aprire un giornale, e a spiragli più o meno diversamente angolati, secondo quale giornale si ha tra le mani, si apre la spaventosa visuale dell'immenso, tremendo, spietato campo di battaglia che è il mondo. Dalla guerra guerra, quella che straripa di sangue tanta terra ( e è ormai quasi abitudine, e cioè indifferenza, per esempio, che un immenso popolo come quello degli Stati Uniti affoghi nel sangue un povero, disgraziatissimo popolo come quello del Vietnam), alla violenza di sopraffazione dei regimi totalitaristi e militari e alla ribellione della guerriglia, allo scontro fra oppressione e liberazione, sfruttamento e rivendicazione... fino allo sbriciolarsi del banditismo dalla pistola facile e dello spiritaccio ven-dicativo che arriva con spaventosa disinvoltura all'omicidio... tutto questo mondo e questa povera umanità è come terra solcata a rigagnoli e a fiumi di sangue. Un immenso campo di battaglia dove lo scontro si risolve in un orrendo rigurgito di sangue.
Orrore che perdura implacabile da quando è cominciata la cosiddetta storia dell'umanità, e cioè il racconto delle guerre, delle rivoluzioni, delle rivolte, delle violenze, cioè della civiltà che, in definitiva, vuoi dire il modo più colto, raffinato, civile, di sgozzare i fratelli e di succhiare il sangue, dichiarando dignitosamente quest'opera «civile» come ricerca di ordine, impegno di giustizia, difesa della libertà ecc. (e la letteratura di copertura della bestialità più sanguinaria dell'uomo, ognuno sa quanto sia strabocchevole, fino alle misure della più schifosa spudoratezza).
Pensiamo che quando diciamo pace, quando noi cristiani ci dichiariamo per quelli della pace, quando la Chiesa si riempie la bocca di pace e pace, pensiamo che sia un modo di evasione, di alienazione da quelle che sono le realtà, le concretezze della vita, dell'esistenza, della storia. Anche perché parliamo di una vera e propria utopia. E sognatori bisogna essere, ma più che sia possibile ad occhi aperti, specialmente quando si rischia di estraniarsi, di disincarnarsi dalla realtà delle cose (e queste di cui si sta discorrendo sono le più spaventose per la loro assurdità e il loro orrore) e rifugiarsi nascondendosi nell'ovattamento di una sospirosa speranza che almeno a noi non succeda quel qualcosa di orribile che è la guerra e possibilmente ci sia evitata anche la gocciolina di sangue per la puntura di un'iniezione.
C'è un pacifismo che non è affatto una ricerca di pace, un desiderio, una volontà di pace, ma è un attendismo pacifista, una passività che aspetta e guarda a naso in su che si levi la ventata buona a spazzare il cielo del nuvolone nero, carico di tempesta.
La pace è valore di conquista, è risultanza d'impegno, è fruttificazione di una seminagione a larghe mani, anche sulla strada, anche fra i sassi, fra ai rovi e sulla terra buona, se capita di trovarla.
La pace nel mondo nasce dal cuore di ogni uomo e di ogni donna.
Prima di tutto diventando ed essendo realmente uomo o donna di pace col pagare quotidiano questa pace, sacrificando la propria per una ricerca oggettiva, concreta di pace. E' il grave e durissimo discorso del porgere la guancia destra a chi ti percuote la sinistra, di lasciare i pantaloni anche a chi ti porta via la giacca.
Per la pace la prima lotta da fare è contro noi stessi. Per sradicare l'istintività del possesso, del diritto, dell'egoismo, abbarbicato fin nel midollo delle ossa e sempre pronto - è il serpente del primo giorno dell'umanità - a tirar fuori le proprie ragioni capaci di giustificare il mangiare quelle degli altri, comprese quelle di Dio.
Chi cerca la pace, e intende come pace la propria pace, fa la guerra più spietata e crudele: intorno a sé come individuo, come famiglia, come classe, come popolo, come razza, come civiltà.... è campo di battaglia e vi corre inevitabilmente il sangue.
Le esemplificazioni non occorrono. Sono nel cuore di ognuno e nella storia quotidiana di tutti: in casa, lì fuori, in città, nella nostra terra, fra la nostra gente, in ogni angolo del mondo, dove è ogni uomo deciso a cercare la propria pace (che poi in parole più chiare vuoi dire il proprio benessere e cioè il proprio vantaggio, il privilegio e cioè la ricchezza, il potere, ogni diritto, e a costo di tutto).
Una visione seria e responsabile della pace secondo il Vangelo, vuoi dire lottare e lottare a fondo contro questa pace.
Contro l'inganno e il sacrilegio di questa pace che nasce dall'egoismo e lo prospera coltivandolo a forza di benedizioni, di sacramentalizzazioni, di liturgie.
Il cristiano che va in chiesa a cercare questa pace così unicamente a ritorno personale e se ne esce fuori "più in pace", se ne va certamente con un peccato di più.
E anche (e è qui il punto dove vorremmo convergere una particolare attenzione) con una disincarnazione maggiore che può arrivare fino alla insensibilità, all'indifferenza e cioè non soltanto alla negazione dell'Amore ma alle vere e proprie condizioni di impossibilità dell'Amore.
Non può non fare impressione la disincarnazione spaventosa di una cristianità che nella propria fede e nella pratica rituale, devozionale di questa fede, trova, perché in definitiva non ricerca altro, la propria pace, il mettersi in pace, il chiudersi nella pace.
Estraniandosi così da una realtà di vita, d'esistenza, di storte traboccata da travagli spaventosi di guerre, di rivoluzioni, di sconvolgimenti, di problemati che immense che, nascendo dal cuore di ogni uomo (fratello), imperversano e sconvolgono e macerano a bagno di sangue questa povera umanità (la famiglia di figli di cui Dio è Padre).
Questa povera umanità nella cui tragedia di perdizione il Figlio di Dio, Gesù Cristo, si è immerso, vi si è lasciato travolgere, fino a riversarvi tutto il suo sangue per portarvi dentro la salvezza, e cioè "la sua Pace".
Dobbiamo ancora tutti cominciare forse a imparare la lotta d'Amore di Cristo e di Dio per la pace nel mondo. Imparare cioè come la Chiesa, la cristianità, il popolo di Dio può essere autentica ed efficace continuità del Mistero di Cristo nel mondo. Continuità che non può non esigere un compro-mettersi nella guerra, nella lotta, che travaglia e insanguina a marea che sempre più cresce, fino ad affogarla, questa povera umanità.
Abbiamo serio e fondatissimo timore che il pacifismo di cui la Chiesa nella sua pastorale - e cioè nel suo tradursi storico, concreto nella vita, nell'esistenza degli uomini - è segno, ricerca e promessa sia in non linearità coll'annuncio evangelico e con la sua missione di visibilità del Mistero di Cristo.
Si rischia disinvoltamente anche di estraniarsi - e ci riferiamo naturalmente in particolare alla chiesa italiana e all'atteggiamento e comportamento della curia romana nei confronti della Chiesa nel mondo - di estraniarsi e di disincarnarsi dalla realtà più ovvia, e più dolorosamente evidente, che imperversa nel mondo e che è quella di vivere in un immenso e spietato campo di battaglia.
Giudichiamo che la lotta è più chiara e onesta partecipazione alla vita, assai più che vivere in pace appollaiati su nuvolette veleggianti nell'azzurro.
Crediamo che impegnarsi nella lotta a seguito della parola di Gesù Cristo e perché crediamo perdutamente nel suo modo di amare l'umanità lottandovi dentro, fino a morirne "e a morirne di morte di croce", per immergervi e allargarvi la «sua pace e non quella del mondo» e che nasce "dal fuoco che è venuto ad accendere" e "dalla spada che è venuto a portare", crediamo che impegnarsi in questa lotta, può essere onestà umana di partecipazione fraterna alla vita e fedeltà cristiana fino alle possibilità di giustificazione ad essere cristiani (e Chiesa e cristianità e popolo di Dio) in questo mondo.
Sogniamo una «pastorale» che studi, si prepari e affronti queste grandissime responsabilità di lotta da assolversi nella concretezza di scelte molto chiare e nette, da combattersi in una realtà di autentica lotta cristiana, cioè imparata direttamente da Gesù Cristo, in una disponibilità serena e aperta per tutto quello che lottare comporta: e cioè ferite, fame e sete, respinte, sconfitte, prigionia e lasciarci la pelle. Dimenticando ovviamente le onorificenze, le medaglie, i successi, i trionfalismi e cioè «la pace». Personale, di parrocchia, di diocesi, di ordini religiosi, di chiesa ecc.
Siamo molto lontani da questa possibilità di pastorale, lo sappiamo bene, (anche per esperienza personale): sappiamo benissimo che è ingenuità più o meno infantile la nostra, specialmente se confrontata con la grande saggezza e prudenza che governa - e sembra così gloriosamente - la Chiesa: ci rendiamo ben conto, fino a non pretenderlo nemmeno minimamente, che la Gerarchia non può responsabilizzarsi ad un avvio di lotta della sua pastorale, così come noi, povera gente, andiamo sognando.
Eppure la nostra possibilità di Fede - e per grazia di Dio è enorme - nasce tutta ormai da questa visione di Dio, di Cristo e di Chiesa: da questo mistero d'Amore di cui la bontà di Dio ci ha dato di colmarci il cuore e che si traduce, si concretizza, e cioè diventa vero (si fa carne e sangue e abita fra gli uomini), in questo impegno di lotta. E cioè da questo non potere e non volere starsene in pace, lasciarci meno che sia possibile gli altri e cercare, cercare, cercare, in questo Amore di Dio, a Cristo, alla Chiesa, all'umanità, possibilità e concretezze di lotta, scelte chiare, proposte precise, buttarcisi dentro, correre ogni rischio ... e «andare felici, esultanti di essere stati fatti degni di beffe e contumelie e persecuzioni per il nome di Gesù».
Cristianesimo infantile, cioè di quando è nato e che ha ancora il sapore e la freschezza degli innamorati di Cristo (dopo duemila anni e con tutto quello che c'è stato dentro in questi anni, non è poco miracolo).
Cristianesimo infantile, sprovveduto, esaltante, utopistico, ecc. ecc.
Lo preferiamo a quello «pastorizzato», scientifico, cultualizzato, diplomatico, ecc. ecc.
Questa scelta e preferenza, oltre a darci di credervi con profonda passione, ci dà anche di poterlo proporre e offrire, come uscito ora ora dal Pensiero di Dio e sgorgato dal cuore di Cristo.
Qualcosa per la quale è giusto «vendere tutto quello che si ha» e «perdere la propria vita».
Qualcosa che seriamente può portare nel mondo la speranza di una storia diversa e è già costruzione concreta di uomini e donne «nuovi».
P.S. - Argomentiamo le nostre tesi, ragionando secondo il nostro pensare, che può essere sba-gliato come a chi legge torna meglio giudicare. Cerchiamo di argomentare meno che sia possibile con citazioni della S. Scrittura, dal momento che ci è stato detto che noi interpretiamo il Vangelo in modo parziale. Non possiamo però evitare, ovviamente, che parlando o scrivendo, affiori un po' di Parola di Dio, dato che l'abbiamo letta e continuiamo a leggerla con profonda Fede, e non può quindi non essere anima della nostra anima, sangue del nostro sangue. Come, del resto, deve avvenire di ogni cristiano, e specialmente di ogni sacerdote.
La Redazione
in Lotta come Amore: LcA settembre 1972, Settembre 1972
Luigi Sonnenfeld
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