Si discorreva nel numero precedente di maggio dello strano e sgomentante «silenzio» del popolo di Dio. Il popolo cristiano è un popolo che non parla, è senza parola, pare che non abbia niente da dire come se fosse senza idee, insensibile e irresponsabile.
E' vero che i popoli non contano niente, anche nei regimi più democratici, nelle repubbliche più popolari, la gran folla, la moltitudine, il popolo è oggetto di governo, è carne da lavoro e spesso da cannone.
I suoi destini sono nelle mani di altri e questi di altri ancora e dei giri e rigiri diplomatici, copertura di interessi e di ragioni politiche ed economiche che hanno rapporto col popolo e coi popoli unicamente perché i popoli li devono, questi supremi interessi, servire e pagare, e a volte i prezzi sono spaventosi.
Raramente il popolo parla e quando parla la sua parola non può che essere come una eruzione vulcanica, a lungo repressa, come uno straripamento od alluvione. Ma poi tutto ritorna «nell'ordine costituito» e cioè nelle condizioni in cui la parola del popolo è di nuovo impossibile.
E' semplicemente amaro sarcasmo credere che i rappresentanti liberamente eletti siano «la parola» del popolo, semmai sono quelli dei partiti o dei gruppi di potere, di cui i partiti sono l'espressione e lo strumento politico ed economico.
E fanno, i rappresentanti del popolo e tutto ciò che rappresentano, il loro discorso, ma non quello del. popolo e tanto meno ne sono il parlare vivo ed efficace. Ugualmente i sindacati per tutta la tremenda problematica del lavoro: questa organizzazione nata su dalle lotte operaie, allagate di sangue e soffocate di carcere, perché il popolo del lavoro, la c1asse operaia, avesse finalmente voce nel gran capitolo della produzione e diventasse attiva partecipazione là dove è il logorarsi della propria vita, il rischiare quotidiano della pelle, l'ingoiare l'amarezza di una schiavitù fino ai quattro soldi della pensione.
Ma la storia del sindacato è sempre meno la storia parlata della classe operaia.
La quale riesce a parlare soltanto nelle piazze quando straripa il suo silenzio, nonostante le dighe della polizia e dell' esercito, ed è fragore spaventoso come di uragano che tutto travolge.
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Il fatto che la parola del popolo possa essere soltanto esplosione di violenza, dimostra che al popolo è sempre e da tutti negata la parola, il parlare, il discutere, l'avanzare le proprie ragioni. Il dialogo è proprietà della ricchezza è concessione del potere, è pertinente alla scienza, è realtà di privilegio: se l'offrono ed elegantemente se lo rigirano fra le mani, come un gioco, quelli che lo possiedono. E dopo, la stampa, la televisione ha finito per togliere al popolo la parola, quel poco di balbettamento che ancora rimaneva per farne proprietà assoluta del potere, riducendo il popolo in maniera totale ad essere ascoltatore e spettatore. Cioè oggetto, un povero oggetto da uso e consumo a piacimento.
Così e tanto più il popolo cristiano. Se vi è un popolo senza parola, senza un suo parlare, senza possibilità di esprimersi, di sentirsi vivo e vivente, con delle idee, delle problematiche, con una sensibilità, con delle esigenze e ricerche, è il popolo di Dio.
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Il popolo della Messa domenicale, il popolo iscritto sui registri del battesimo, catechizzato da bambino, da studente, da adulto, il popolo de1le famiglie cristiane, delle associazioni cattoliche, caritative, i gruppi giovanili delle parrocchie, i terzi ordini, i gruppi di spiritualità, il popolo degli ordini religiosi dei frati e delle suore, il popolo dei conventi, il clero delle diocesi, il popolo delle parrocchie, il popolo dei credenti, del segno della croce al mattino e alla sera, il popolo che fa battezzare i suoi figli e porta i suoi morti in chiesa prima che al cimitero.... Il popolo di Dio, misterioso, raccolto dallo Spirito, tenuto su nella Fede da non si sa che cosa, questo popolo che pure ancora affolla le chiese e accende le candele e partecipa alla liturgia, riceve i sacramenti, crede profondamente in Dio, in Gesù Cristo, rispetta il sacerdozio, i vescovi, il papa, nonostante tutto, questo popolo è un popolo senza parola, che non parla, non dibatte la problematica della Fede, non discute liberamente, non affronta i problemi della Chiesa, non si occupa del travaglio che sconvolge il mondo, è totalmente senza un criterio chiaro e oggettivo, cristiano, per giudicare la storia, è un povero popolo che scorre ad acqua cheta, lungo e dentro le rive a cemento armato costruite dalla. tradizione, dal dogmatismo, dal magistero gerarchico, dal codice di diritto canonico, da un mo-ralismo tutto sistemato fino al capello, da una liturgia imposta come un cerimoniale, da una irresponsabilizzazione assoluta a virtù di obbedienza, fino ad una passività di povero gregge che può soltanto belare, o se meglio si vuol dire, cantare.
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Tutto bene, però la constatazione è amarissima: un .popolo che non è un popolo. E trattandosi di un popolo che è il popolo di Dio, chi ci rimette in misure di gloria e di lode è Dio.
Chissà perché Dio non è mai riuscito a costruirsi un popolo nella storia che sia concretamente un popolo degno di Lui, costruzione del Suo Amore, segno concreto della Sua pienezza, espressione vivente del Suo Pensiero, manifestazione storica del Suo sogno.
Quel suo sogno adorabile, che rapisce l'anima in contemplazione estatica, di quando ha creato l'uomo e la donna. E di quando poi ha chiamato Abramo per costruirsi il Suo popolo. E vi ha mandato i Suoi profeti a realizzarne l'autenticità e cioè la rispondenza al Suo sogno.
Finché ha mandato Suo Figlio, ha mandato la Sua Parola a farsi carne, ad essere Uomo, la Sua Parola ad abitare fra gli uomini. La Sua Parola pronunciata, gridata, vissuta, morta e risorta per essere invita «a tutte le creature, fino agli ultimi confini della terra». E questa parola l'ha resa in tutte le lingue perché ogni uomo la potesse parlare, di qualunque lingua o razza o civiltà, nella Pentecoste.
Si chiama Vangelo questa parole nuova; buona novella, annuncio glorioso di creazione nuova, di liberazione dalla schiavitù, d'inizio d'umanità - famiglia di Dio Padre.
Ma poi se ne sono impossessati di questa parola, come di tutto, di ogni pezzo di terra, dell'aria, del sole, dell'acqua, e più ancora, ne hanno fatto proprietà di questa Parola.
E il popolo di cui è questa Parola perché è per il popolo, perché sia la Parola del popolo di Dio, ne è rimasto defraudato, privato, senza.
La parola del popolo di Dio soltanto per essere ascoltata non per essere parlata.
E così si stabilisce il destino del popolo di Dio che è popolo eternamente ridotto ad ascoltare, ad essere istruito, ma non per poter un giorno parlare, ma per ascoltare meglio e capire di più. E se succede che capisca di più, dev'essere come se non avesse capito, quindi deve continuare ad ascoltare, ad essere catechizzato.
La Parola si è fatta carne, ha abitato in maniera adorabile fra gli uomini e ancora vi abita creando continuamente urgenze incontenibili di annuncio, ma non è Parola di popolo. Perché il popolo di Dio non parla.
«Ha fatto bene tutte le cose (diceva il povero popolo giudaico ridotto al silenzio dalla scienza degli scribi e dal potere dei farisei e del sinedrio) ha fatto udire i sordi e parlare i muti». Povero popolo stupito di tutto il meraviglioso mistero di Cristo, ma specialmente dal fatto che Dio dava la parola ai sordi ed ai muti. Nel fatto miracoloso, con quell'intuito proprio del povero popolo sempre oppresso e sopraffatto, vi sentiva un dono liberante e costruttivo da tempi nuovi. E ascoltava, quasi con smarrimento per la novità assoluta, il parlare di «questo figlio del carpentiere» che era il parlare del popolo «con autorità, non come gli scribi e i farisei Ma poi se ne sono impossessati di questa pa-rola, come di tutto, di ogni pezzo di terra, dell'aria, del sole, dell'acqua, e più ancora, ne hanno fatto proprietà di questa Pero!«.
E il popolo di cui è questa Parola perché è per il popolo, perché sia la Parola del popolo di Dio, ne è rimasto defraudato, privato, senza.
La parola del popolo di Dio soltanto per essere ascoltata non per essere parlata.
E così si stabilisce il destino del popolo di Dio che è popolo eternamente ridotto ad ascoltare, ad essere istruito, ma non per poter un giorno parlare, ma per ascoltare meglio e capire di più. E se succede che capisca di più, dev'essere come se non avesse capito, quindi deve continuare ad ascoltare, ad essere catechizzato.
La Parola si è fatta carne, ha abitato in maniera adorabile fra gli uomini e ancora vi abita creando continuamente urgenze incontenibili di annuncio, ma non è Parola di popolo. Perché il popolo di Dio non parla.
«Ha fatto bene tutte le cose (diceva il povero popolo giudaico ridotto al silenzio dalla scienza degli scribi e dal potere dei fari ei e del sinedrio) ha fatto udire i sordi e parlare i muti». Povero popolo stupito di tutto il meraviglioso mistero di Cristo, ma specialmente dal fatto che Dio dava la parola ai sordi ed ai muti. Nel fatto miracoloso, con quell'intuito proprio del povero popolo sempre oppresso e sopraffatto, vi sentiva un dono liberante e costruttivo da tempi nuovi. E ascoltava, quasi con smarrimento per la novità assoluta, il parlare di «questo figlio del carpentiere» che era il parlare del popolo «con autorità, non come gli scribi e i farisei». La Parola di Dio si è fatta popolo e è venuta ad essere parlata dagli uomini, fino ad essere la loro Parola.
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Non è un problema teorico, da immaginazione più o meno fantasiosa e utopistica, questo del «silenzio, mancanza di parola, il non sapere, il non poter parlare, il non parlare» del popolo cristiano, del popolo di Dio.
A meno che non si preferisca una passività, un disinteresse, una disincarnazione, una religione alienata, un vuoto di presenza storica, un popolo eternamente infantile, considerato inguaribilmente analfabeta e ritardato ecc., a meno che questo «silenzio» non sia giudicato la giusta condizione del popolo di Dio, che così è e così deve rimanere, questo problema di dare la Parola e cioè di dare coscienza che il popolo ha diritto alla parola e possiede la Parola e deve parlarla, gridarla «sui tetti» dopo millenni che l'ha soltanto ascoltata, è problema pastorale misurabile per la sua importanza fondamentale e decisiva, dalla misura della Fede che la Chiesa è il popolo di Dio nel mondo e nella storia.
Come sia possibile questo parlare di popolo, questa partecipazione attiva, consapevole, responsabile di popolo di Dio, il parlare di Dio agli uomini, fino al esserne la Parola viva, storica, non è facile indicarlo.
E' certo che molte cose dovrebbero rivoluzionarsi nel Magistero come metodologia magisteriale, nella ricerca teologica, nella celebrazione liturgica (l'essere passati dal latino alle lingue volgari ha reso possibile l'ascolto, ma non ha dato la parola, quindi in ordine al problema non ha modificato e riformato niente), nella pastorale, nella responsabilizzazione popolare, nel far entrare le problematiche esistenziali nella vita cristiana.
Nelle nostre chiese non entrano, né dalle finestre istoriate, né dalle doppie porte d'ingresso e tanto meno da quelle della sagrestia, i problemi che travagliano il mondo e che sono i problemi del popolo perché poblemi di popoli. Tutto si ferma sulla soglia come i cani randagi, per non disturbare, non si sa bene, se il raccoglimento devoto della liturgia o la tranquillità pacioccona, borghese e sorniona dei buoni fedeli. Non dilaga nelle nostre chiese la fiumana che travolge il mondo e straripamento di lacrime e di sangue, di disperazione di popoli e popoli, realizzando una coscienza di popolo di Dio per la comunione con la passione e morte resurrezione di tutti i popoli crocifissi nel mondo.
Riflettevo questi pensieri, mi si affollavano questi pensieri (e non era senza angoscia per la troppo difficile speranza) in questi giorni leggendo e sentendo raccontare delle riunioni a seduta ple-naria della Conferenza Episcopale Italiana, circa il resoconto del triennio passato e le programmazioni pastorali per quelle avvenire, le problematiche discusse e le pastorali future.
E il popolo, il popolo cristiano, il popolo di Dio?
Mi viene sempre in mente il povero malato mentre i professori, i medici gli anestesisti, i chirurghi, gli assistenti ecc. fanno il consulto, decidono e gli si fanno d'intorno naturalmente per guarirlo.
E sia senza offesa di nessuno, né della Gerarchia, ma nemmeno di questo povero popolo, per il quale tutti parlano e parlano, studiano, programmano, s'impegnano, ma ascoltarlo non l'ascolta nessuno. Evidentemente perché non sa parlare le parole che non sono quelle del popolo e quindi sa di non dover parlare e difatti non parla.
Tace, non dice nemmeno che non gliene importa niente, Nemmeno di essere popolo e tanto meno di essere popolo di Dio.
don Sirio
in Lotta come Amore: LcA giugno 1972, Giugno 1972
Luigi Sonnenfeld
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