Questo articolo di don Beppe è stato scritto e pubblicato nel numero del dicembre 1982 di Lotta come Amore. Da quasi un anno, ci "prendiamo cura" della parrocchia di Casoli, ad una mezz'ora di macchina da Viareggio. Beppe ha da poco riconsegnato i "suoi" figli ai genitori. E' tornato a vivere alla Chiesetta del Porto, nella sua cameretta. Sta imparando ad impagliare le sedie per iniziare quel lavoro nel capannone di via Virgilio dove già stanno convivendo lavori artigiani diversi. E il tema della lotta per la pace, attraverso la denuncia chiara e la spinta alla conversione delle strutture di morte urge forte in lui.
Sono tante le azioni che Beppe mette in atto in quegli anni per una coscienza cristiana liberata dalla violenza e tra quelle la promozione nella città di una Scuola della Pace che riuscì a raccogliere adesioni e presenze significative. Riproponiamo la lettura delle sue parole semplici e chiare e vorremmo tanto continuare oggi a sognare questa stessa utopia.
Da qualche mese, la sera del sabato salgo ad un piccolo paese aggrappato alle pendici di una delle colline che scendono dalle Apuane verso il mare. Circa cinquecento abitanti, una storia simile a quella di tanti paesini della nostra terra: lavoro duro nei tempi passati, in prevalenza in miniera, nelle cave di marmo, anche all'estero. Oppure la coltivazione della poca terra, l'oliveto, la selva di castagni, le patate e il grano.
Poi, dopo gli anni '50, un po' di benessere frutto del lavoro operaio nelle fabbriche e nei cantieri della zona. Un paese tranquillo, con molti anziani ma anche con un bel gruppo di giovani e di ragazzi. Una parrocchia rimasta senza parroco negli ultimi anni e allora è successo che qualcuno dal paese è venuto a cercare i preti operai della Darsena di Viareggio e ci ha chiesto se eravamo disposti a prenderei cura della parrocchia.
Con il consenso del vescovo abbiamo preso l'impegno di una modesta presenza per celebrare la messa domenicale e una semplice disponibilità sacerdotale. Con l'unica dichiarata intenzione di essere fratelli in mezzo ai fratelli, servi tori della parola di Dio, piccolo ma chiaro segno di un Amore che non si stanca di accendere la speranza nel cuore degli uomini.
Così mi sono ritrovato a vivere il mio sacerdozio nel modo più tradizionale della storia della Chiesa, in una realtà popolare molto semplice ma anche segnata da tutto quello stile religioso che appartiene a una lunga storia di secoli in cui la fede camminava quasi separata dalla vita: per cui si pregava, si facevano feste solenni e processioni, si cantavano devotamente i vespri in latino, si celebravano messe cantate a suono squillante d'organo e poi tranquillamente si affrontava la vita concreta (il lavoro, i rapporti sociali, i problemi politici) sulla base di criteri e di concezioni morali che poco o niente avevano a che fare con il messaggio evangelico. Così con la stessa logica, si obbediva serenamente alla consuetudine religiosa di ricevere il Battesimo, la Cresima, la prima Comunione, il Matrimonio e alla pratica sociale di una divisione tra ricchi e poveri, tra
sfruttati e sfruttatori, tra dominatori e sudditi.
Così, con la benedizione del parroco, si partiva obbedienti per servire la patria col servizio di leva e quando la storia lo richiedeva per difendere gli interessi della patria anche con la guerra. Qui in paese c'è ancora qualche arzillo vecchietto che è andato all'assalto alla baionetta sul fronte del '15-'18; molti sono gli uomini, bravi minatori e ottimi contadini che hanno vissuto l'inferno della seconda guerra mondiale, prima come soldati d'Italia poi come partigiani.
Così è nato un monumento che ho visto subito appena sono arrivato al paese, perché si trova proprio alla sua imboccatura, nell'unico slargo che forma una specie di piazza di fronte alla fontana e ad un grosso sperone di roccia che pare voglia venir giù da un momento all'altro. E' un monumento molto tradizionale, come ce ne sono tanti, ma mi ha colpito di trovame uno simile in questo piccolo paesino pacifico e tranquillo. E' un bronzo che raffigura un soldato in pieno assetto di guerra, fermato proprio nell'attimo in cui con una mano sta per lanciare una bomba mentre nell'altra impugna un fucile pronto per l'uso.
Un modo strano per far pensare ai caduti di tutte le guerre a cui appunto è dedicato. Più che un invito a ripensare la guerra come tragedia del popolo, come olocausto folle e insensato, quel soldato di bronzo è quasi una esaltazione dell'uomo in battaglia, un'immagine della guerra come valore, dei morti in guerra come degli eroi.
Non so se questa è stata l'intenzione di coloro che hanno voluto il monumento, ma tale è l'impressione immediata che mi è nata nell'anima.
E mi ha fatto molto pensare alla profonda frattura che divide nel cuore della gente la fede in Dio e l'esperienza della storia, il Vangelo di Gesù Cristo e la concreta testimonianza della vita, i valori proposti dalla parola di Dio e quelli per i quali gli uomini, in tutti i tempi, sono stati spinti a vivere e a morire. Questo monumento è una bestemmia contro la pace, una offesa lacerante per tutto il sangue fatto spargere dagli industriali della guerra, dai politici del terrore, dai maestri dell'amor di patria. E' una provocazione per la coscienza cristiana. Ma nessuno se n'è accorto, anzi tutti sono orgogliosi di avere un così bel monumento!
A me, invece - forse in un momento di poesia -, mi è venuto spontaneo pensare al giorno in cui la coscienza cristiana della gente del paese si svegliasse e si accorgesse dell'inganno. E salisse dal cuore del popolo il desiderio di avere un monumento diverso che esprimesse davvero la scoperta della verità sulla guerra e sull'amore della patria. Allora, tutti insieme, sarebbe bello vedere la gente radunarsi nella piccola piazza, togliere via la bomba dalla mano del soldato e sostituirla con un ramo di uno degli splendidi olivi che riempiono la collina e tagliare con la fiamma ossidrica il mitra e spezzarlo perché non spari più.
Penso che allora anche la faccia dura del soldato di bronzo riacquisterebbe i lineamenti di un'umanità che ha finalmente imboccato il cammino della propria liberazione.
don Beppe
in Lotta come Amore: LcA aprile 2008, Aprile 2008
Luigi Sonnenfeld
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