Abbiamo letto con attenzione la «Lettera ai cristiani di Roma» dei tredici preti, nostri fratelli in questa lotta d'amore di Chiesa e nella Chiesa che li trova a condividere la condizioni di folle stanche e affaticate.
Ci sentiamo perfettamente solidali con loro e con le loro motivazioni, se non altro per quelle poche briciole che riusciamo a spartire con la sofferenza dei poveri.
Un discorso serio, anche se può molto turbare, preciso nell'individuare i punti, le persone, i fatti concreti nell'intento, - e sono parole loro -, «di provocare una riflessione sui fatti e non su discorsi generici di facile contestazione»,
« A Roma regna l'arbitrio, come in tante altre città»,
Chi ha il potere lo usa per consolidarlo e accrescerlo, non per servire.
Ogni uomo è mio fratello.
Se vuoi la pace impegnati per la giustizia.
Sono parole vuote se tacciamo o permettiamo il trionfo dell'egoismo di alcuni. Dobbiamo avere il coraggio del bene operare e della denuncia del male a qualsiasi livello. Specialmente del male che viene programmato dall'alto»,
Ma è sopratutto e prima di tutto una riflessione di fede.
Non vogliamo affrontare il problema delle baracche dal punto di vista politico, economico, sindacale, giuridico, sanitario. Non è nostra competenza.
Noi abbiamo incontrato la sofferenza dei baraccati.
Vogliamo che questa sofferenza non passi sulla Chiesa di Roma come acqua sul marmo, ma lasci un segno nella vita di ciascuno di noi. Vogliamo che nel giorno del giudizio il Cristo giudice possa dire di questa Chiesa, in cui viviamo e che amiamo: "Venite, benedetti dal Padre mio, perché ero senza casa e voi mi alloggiaste"».
In quanto tale non ha potuto non essere presa in considerazione dal Vicariato di Roma e precisamente (come riferisce anche IDOC) nell'assemblea dei parroci presieduta dal vescovo vicegerente mons. Ugo Poletti. Non è mancato chi ha richiesto un intervento disciplinare ed è stato invitato dal vescovo ad assumere pubblicamente le proprie responsabilità come avevano fatto i preti che hanno posto la loro firma in calce al documento.
Non conosciamo le vicende che saranno seguite nella Chiesa di Roma. E' certo però che essa ha avuto un dono di cui dovrà render conto: che in essa risuonino le voci della povera gente per bocca di sacerdoti fedeli alla comunione. Non è davvero . dono da poco e quindi responsabilità grande il saperlo accogliere. Finora le Chiese che l'han ricevuto, in genere, non solo non l'han saputo custodire, ma l'hanno soffocato e schiacciato o strumentalizzato con astuzia da mercante. Una cortina di silenzio è comunque la migliore difesa; poi ci pensa il mondo ad andare avanti.
Le voci della povera gente, le voci dure, ma schiette di chi non ha niente da perdere, ma neppure da guadagnare, in una coerenza continua alla parola di Gesù. Non voci impreziosite di studiosi che risuonano nelle aule dei corsi di aggiornamento, né voci promettenti di esperti nell'arte pastorale. E neppure voci che salgono da comode poltrone per dibattiti su problemi che svaniscono prima del fumo delle sigarette. Le voci dei "piccoli" cui il Padre ama rivelarsi.
Penso al vescovo, anzi, ai vescovi di Roma. ai monsignori, ai preti, alle suore, agli uomini e alle donne, ai giovani. Quando potranno udire ancora queste voci? Quando potranno ancora avere la possibilità di unirsi ai loro fratelli che stanno "dall'altra parte" per una autentica riflessione di fede nel Signore che viene?
E' responsabilità seria non ascoltare, non dar peso, non rispondere o peggio trincerarsi dietro «l'ortodossia », la teologia, la prudenza, il "non me ne importa", i motivi che spiegano tutto e permettono sempre di cadere in piedi.
Non so se ci saranno altre occasioni perché ci vuol sempre più coraggio, non nel parlare ché ora l'inquisizione almeno non ha cataste su cui bruciare l'eretico, ma nell'amare questa Chiesa così indurita, nel tentare di renderla realtà viva dove risuonano tutte le voci alla ricerca di quell'armonia che è Cristo Gesù.
Lo spero tanto anche se so, per esperienza, quanto si affievolisca la speranza, e quanta fede ci voglia per riprovare, ritentare a penetrare in questa ruvida scorza senza vita che riveste il Corpo di Cristo.
Ed è speranza che uno tiene nel cuore mentre folle immense passano scivolando in silenzio sui marmi delle chiese, sulle operazioni finanziarie del Vaticano, sulle grandi proprietà degli ordini religiosi, su quel "cristiano" appiccicato a giornali e partiti.
Chiediamo che il nostro vescovo pronunzi il suo giudizio di maestro di morale sulle attività degli speculatori fondiari e dei costruttori che operano in Roma.
Si ascoltino i diretti interessati, coloro che nella chiesa di Roma hanno particolari competenze e i semplici fedeli non inquadrati nelle organizzazioni.
Era giusto scrivere tante pagine sulla pillola.
Non è altrettanto giusto esaminare e giudicare costoro che stanno diventando i "soli proprietari del paese" (Is. V, 8)? Il silenzio è complicità. Sarebbe grave scandalo dare a intendere che: "tutto va bene, tutto va bene! e invece tutto va male" (Ger. VI, 14).
Saranno questi i primi passi di una chiesa animata dal desiderio di essere fedele allo Sposo e che renderà credibile l'annuncio che fa di lui. Non solo comincerà così la nostra purificazione, ma i beni sono così tanti che i prezzi di tutte le case dovranno diminuire.
(dalle proposte della "Lettera")
don Luigi
in Lotta come Amore: LcA aprile 1972, Aprile 1972
Luigi Sonnenfeld
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