Omicidi bianchi

immagine:  Omicidi bianchi Ho letto sui giornali i nomi degli operai morti sul lavoro. Una catena sempre più lunga a segnare di sangue la schiavitù della classe operaia.
Una lista veramente spaventosa, amara come la disperazione e l'angoscia di chi è rimasto a piangere chi non c'è più. «Quattro lavoratori sono morti ieri in diverse città italiane ... in questo inizio dell'anno 25 operai e contadini hanno perduto la vita». «Ancora morti nell'area industriale di Taranto: due operai sono rimasti uccisi per intossicazione da esalazioni di gas». «Tra il 1961 e il 1971 risulterebbe che all'ltalsider di Taranto ci sono stati 230 omicidi bianchi». «Ieri hanno perduto la vita tre edili». «MUORE ARSO VIVO DAL GAS IN FIAMME»: è un perito chimico di 26 anni, di una ditta di Porto Marghera.
A cercarli tutti, a riunirli insieme, a contarli c'è da restare sgomenti: è un popolo di morti, ammazzati da una violenza nascosta nel tessuto di una civiltà egoista, che considera più importanti le sue macchine, la sua tecnica, il suo capitale che gli uomini. L'uomo è come una formica nel grande labirinto industriale, e quello che conta è che serva ad accumulare milioni nelle tasche dei più furbi: se in tutto questo via vai incessante una formica si perde, schiacciata in qualche angolo del formicaio, che importa? E' chiaro, ci sono le "disgrazie": il lavoro comporta di suo dei rischi, dei pericoli che non si possono del tutto eliminare. Ci sono senza dubbio operai morti per disgrazia, per tragica fatalità. Ma i più sono morti assassinati da tutto un sistema (e sono uomini con nome e cognome) che adora la più terribile divinità e serve il più tremendo dei padroni: il denaro. Che importa allora se in un cunicolo buio di una miniera, in una fogna di un altoforno, nel traliccio di una gru, sotto una montagna di ghiaccio, dentro una gettata di cemento o una colata d'acciaio degli uomini perdono la vita: ci sono i registri dell'istituto di statistica, la pensione alla vedova, il tele-gramma del presidente della repubblica, la. corona di fiori dell'azienda al funerale e un giorno, in qualche piazza, un monumento al «caduti del lavoro». Intanto un uomo è morto: il libro è finito, si chiude e non ci si pensa più.
Ci sono le proteste operaie, gli scioperi di solidarietà, la presa di coscienza del movimento sindacale: è una cosa importante, molto seria, ma può forse metterci il cuore in pace? Sarebbe grave lasciarci consolare da queste cose e smettere di gridare, di lottare perché il nemico sia colpito alla ra-dice.
In una grossa azienda metallurgica della nostra città un operaio è rimasto con la milza spappolata perché una catena in trazione si è rotta e lo ha sbattuto violentemente per terra. E' stato operato all'ospedale cittadino e dopo pochi giorni è morto. I suoi compagni di lavoro hanno fatto un giorno di sciopero, hanno dato una giornata di lavoro per la famiglia, lo hanno accompagnato al cimitero. Anche noi eravamo con loro. Abbiamo pensato che bisognava fare qualcosa di più, cercare di colpire i responsabili di questo omicidio travestito da disgrazia. Ci siamo detti: andiamo al cancello dell'Azienda e scriviamo su un cartello «Accusiamo di assassinio la Società FERVET». Poi ci siamo messi a ripensare a tutta la situazione, ai possibili ricatti, al rischio che l'azienda venisse chiusa e abbiamo rinunciato. Speriamo che questo non ci venga imputato come un grave peccato di omissione, che è come dire di vigliaccheria.
C'è un dovere cristiano che non possiamo dimenticare, al quale non dobbiamo rinunciare: quello di gridare in faccia ai padroni del potere di qualunque tipo la Verità. Giovanni Battista diceva pubblicamente al padrone di Gerusalemme, Erode: «Non ti è lecito tenere per te la moglie di tuo fratello».
Di fronte agli omicidi bianchi che macchiano di sangue la vita della classe operaia ci dev'essere questo grido forte dei cristiani: «Non ti è lecito ammazzare nessuno dei miei fratelli». Bisogna che cresca in noi la coscienza che ogni volta che viene colpito uno dei più piccoli fra gli uomini, è la nostra stessa carne che viene strappata. E bisogna annunciare la Redenzione dentro questo mondo di lupi, con la lotta. Una lotta che ha le sue radici nella violenza dell'Amore di Dio e che quindi deve farsi sempre più assoluta, quanto più è disarmata e senza potere. Come la lotta di una madre che, a mani vuote, cerca di strappare dalle zanne di una tigre il suo bambino.
E' per questo che in questa lista di morti ammazzati dall'egoismo fatto potere, vorrei ricordare i paracadutisti finiti in fondo al mare con l'aereo inglese che qualche mese fa si è schiantato davanti a Livorno. Mi pare che fossero 46 o qualcuno di più. Ma insieme con loro c'è una lunga fila di morti «per disgrazia» durante il servizio militare: fulminati dalla tensione elettrica, schiacciati da un autocarro, sepolti dalla valanghe durante le marce. Per i morti di Livorno non ho visto su nessun giornale il titolo di «omicidi bianchi». Non ci sono state proteste di nessun gruppo di militari; nemmeno i loro compagni - almeno per quanto è trepelato all'esterno - hanno gridato. Nemmeno la chiesa di Livorno, ha urlato sulla pubblica piazza: «Non ti è lecito ammazzare i miei figli». Gli hanno fatto i funerali tre o quattro volte, anche il presidente appena eletto vi ha partecipato, e in chiesa c'erano tutti i rappresentanti di quel mondo che li aveva assassinati.
Erano partiti per partecipare ad una «manovra»: povere vite vendute per pochi soldi all'assurdo, un tesoro grandissimo gettato al vento, sperperato e ridotto a brandelli. Esistenze bruciate in un attimo, mentre compivano «il loro dovere»: un gioco crudele, una corsa che aveva l'appuntamento con la morte. Se ci chiediamo per chi sono morti, la risposta che sale prepotente dal cuore è «per niente».
Perché è giusto rischiare la vita a vent'anni per salvare una famiglia sepolta sotto le macerie della casa crollata, dei bambini in una scuola in fiamme, un uomo che affoga, o mentre si semina un campo o si costruisce un tetto per chi non ce l'ha; ma è assurdo morire per tenere in piedi un sistema di guerra; per far durare un gioco d'azzardo fatto apposta per mantenere in piedi i privilegi di pochi.
E' pazzesco bruciare la vita per quella «patria» costruita su misura da interesse di chi regola tutto col metro dei propri vantaggi e del proprio potere.
Certamente quei nostri fratelli paracadutisti sono stati inghiottiti al mare perché l'aereo si è inceppato o il pilota ha sbagliato una manovra, ma la Verità, quella più profonda del mare che li ha risucchiati, è che essi sono stati assassinati da tutti quelli che tengono in piedi l'assurdo apparato militare.
I loro genitori, le mogli. le fidanzate queste cose le avrebbero dovute sapere, avrebbero avuto il diritto di sentirle dire da chi la Verità, quella che nasce nel Cuore di Dio, dovrebbe annunciarla chiara e limpida, dura e tagliente più di una spada. Per gridarla anche loro, mescolata alla loro angoscia e al loro pianto, sulla faccia di tutti.
Così sono stati uccisi due volte, con la complicità di una Chiesa che non accende la fiamma della Resurrezione nelle tenebre della storia e non può quindi essere riconosciuta come madre finché non grida forte e non accetta consolazioni perché i suoi figli non ci sono più.




Don Beppe


in Lotta come Amore: LcA marzo 1972, Marzo 1972

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