Giornata grigia, anche se non fredda, questa in cui provo a chiudere questo numero di Lotta come Amore per affidarlo alla stampa e compiere il lavoro della spedizione non proprio a ridosso delle feste natalizie. Novembre avanza e propone trasparenze che incantano, colori caldi e struggenti, emozioni che invitano alla riflessione, mentre le giornate si chiudono presto e il sole avvampa il cielo in tramonti che calamitano lo sguardo e rubano il cuore..
Nello scrivere queste righe, soffro la distanza tra le buone intenzioni che puntualmente mi accompagnano ogni volta che "chiudo" un numero e il ritrovarmi a mettere insieme il successivo sempre un po' troppo tardi e, soprattutto, senza un vero e proprio sforzo di elaborazione di spunti che inevitabilmente rimangono tali.
Incompiuti.
E arrossisco per la presunzione che chi mi legge possa trovare in questi fili sparsi un cordino teso cui affidarsi per il cammino che si apre nella vita. Ma tant'è. Anche la comunicazione di inconsistenti fragilità possono aiutare a sentirsi meno soli nelle difficoltà che il quotidiano ci pone davanti. Il tema che sento dentro è una riflessione sulla fede che sto portando avanti in questi mesi in cui ogni domenica vado a celebrare messa con la gente di una parrocchia di Viareggio per un "appoggio esterno" ad un giovane parroco che insieme ad un gruppo di laici tenta un cammino più comunitario e meno connotato da prevalenze clericali. Se la fede è dono di Dio essa non può essere il risultato di una vita umana che la merita, ma la risposta ad una azione di Dio che intende, per sua natura, attraverso la vocazione di alcuni suoi figli, raggiungere tutti. Con una forza e un'efficacia sempre sorprendente dal momento che il Padre può suscitare figli anche dalle pietre. Se sono illuminato dalla fede, non è perché sono bravo e buono a confronto di altri che la abbandonano o non la prendono sul serio. Ma, nei miei limiti e nelle mie fragilità sono scelto da Dio (in quanto battezzato) per servire l'umanità a riconoscere la presenza di Dio nella propria storia. A dare un nome a quella ricerca di bene che sembra venire dalle viscere di questa umanità indurita: a volte nel silenzio dell'incavo di roccia che geme gocce di purissima acqua da piccole polle nascoste, a volte con il canto argentino del getto prorompente di un fontanile. La fede non è quindi, prima di tutto, una coperta in cui avvolgermi per porre riparo ai venti freddi della solitudine e dell'esperienza del fallimento nella vita di tutti i giorni. Non è, prima di tutto, un gioiello di famiglia da custodire al riparo da occhi indiscreti, all'interno di un armadio piuttosto che dentro una pentola in cucina, raramente usata. E' olio con cui alimentare la lampada di una ricerca incessante da parte di coloro che si fidano e si affidano all'amore di Dio che coinvolge ogni creatura, sia che l'umanità dorma avvolta nella sufficienza di sé, sia che vegli nella tensione di nodi cruciali della sua storia. Una chiesa di credenti è quindi luogo d'incontro di uomini e donne sorpresi dal dono della fede, gratificati dall'amore di Dio e, nello stesso tempo sconvolti da questo Dio che sta alla porta e bussa per entrare e rinnovare ogni cosa. A cominciare da relazioni nuove in cui diventar cibo gli uni degli altri per alimentare la vita che ci rende vivi.
Lungi dal brandire la fede come una spada affilata da verità incontrovertibili, la chiesa dovrebbe, a sua volta, nutrire l'umanità di fiducia, aiutandola a dare un nome non solo alle sue paure, ma anche ai suoi desideri e ai suoi sogni, al suo bisogno incessante di capire e rendersi conto delle capacità di orientare la propria storia verso destini di signoria dell'universo.
In questo numero
Propongo una riflessione di Arturo Paoli (tratta da Oreundici) che affronta il tema della ricerca della felicità da parte degli umani. E in questa ricerca appaiono inscindibili il bene individuale e il bene collettivo. Per cui "trovare se stessi in relazione è vivere con responsabilità le relazioni in modo che l'essere si dispieghi in tutte le dimensioni". Ciò che appare impegno, fatica, dovere, ineludibile necessità è il "terreno" in cui si libera la nostra libertà,
"Viene in mente - prosegue Arturo -l'apologo rabbinico: la colomba si presenta a Dio e prima lo ringrazia perché l'ha fatta simbolo di pace, poi si lamenta: <le mie gambe sono corte e deboli e il gatto mi raggiunge facilmente e mi uccido. Allora Dio le mette le ali, ma poco dopo la colomba torna a lamentarsi di star peggio di prima perché le ali hanno reso il corpo più pesante e la corsa è più impacciata di prima. Ma Dio sorride: <Ti ho dato le ali per volare e non per fartene un peso da portaro. Questo è un apologo della legge, ma potrebbe dirci che noi dobbiamo vivere con pienezza e con verità tutte le relazioni". "L'uomo Gesù - conclude - entra in un mondo religioso fra esseri che portano le ali chiuse e afflosciate sul dorso, camminando lentamente uno accanto all'altro, urtandosi infastiditi, non conoscendo il punto cui veramente sono diretti. Raggiungono il tempio che le loro scritture hanno indicato come luogo di incontro con Dio; ma pare che Dio manchi all'appuntamento. E per non annoiarsi cercano di riempire il vuoto con qualcosa che sia soggetta a un cambio come il denaro e così peggiorano la relazione con i propri simili".
Ha certamente allargato le ali di una vitalità sorprendente Giuliana, compagna di lavoro consumata da una condizione di vita sempre più pesantemente invasa dal cancro.
Ho dedicato a lei, colomba dal volo ardito fino a perdersi nei cieli, righe di commozione e di memoria nella speranza che possa ancora nutrire tanta vita e tanta speranza. Con gioia dò notizia dell'uscita di un appassionato piccolo volume "Paso doble per la pace" che raccoglie tre articoli sul tema della pace, scritti da don Sirio per questa testata e intrecciati dal commento di Maria Grazia Galimberti, vissuta a lungo nella sua piccola comunità, per la quale "la cura delle note divenne l'occasione per riprendere un dialogo mai interrotto con lui, insieme a un gioco di rimandi con autori e autrici".
La presenza in libreria di "Paso doble per la pace", dallo scorso settembre, segna l'inizio di una nuova stagione per gli scritti di don Sirio. Uscirà, infatti - in concomitanza con il ventennale della sua morte, a febbraio del 2008, il primo libro scritto da don Sirio nel lontano 1961 e da tempo esaurito. Intitolato "Una zolla di terra", viene ripubblicato per iniziativa della Diocesi di Lucca in una collana delle Dehoniane curata da don Marcello Brunini. Sempre curato da Maria Grazia Galimberti. Non è solo la ri-edizione di una memoria. Si tratta di riprendere contatto con un fuoco ancora acceso, di una ricerca che non si è persa, di una luce che continua a illuminare la volta del cielo sopra di noi. Incontrare Sirio vuol dire riprendere l'avventura tutta umana di incontrare il divino nella vita così come ci viene incontro nel tempo. Non è possibile, ancora oggi, avvicinarlo senza rimanere coinvolti nella sua accoglienza di Dio che traccia con tratti vigorosi e intensi proprio ne "La zolla di terra".
Ma l'anno prossimo particolare attenzione verrà dedicata alla memoria di don Beppe, a dieci anni dalla sua morte.
Venerdì 18 gennaio p.v., ci ritroveremo nell'ampia sala del teatro Jenco, nella Darsena di Viareggio. Saremo sicuramente in molti perché la nostalgia del cuore di Beppe, il suo sorriso, la sua simpatia e la semplicità disarmante del suo modo di venire incontro a tutti, ci porteranno a stringerci insieme - come è già avvenuto altre volte - alla ricerca di motivi di speranza e di fiducia per affrontare la vita oggi. E, come riporto in ultima pagina, questa non sarà la sola occasione di incontrarci per lui e con lui.
Anche Lotta come Amore non si sottrarrà a questo convergere della memoria verso occasioni di vita e cercherò di ritornare - almeno per l'anno prossimo - alla pubblicazione di quattro numeri. Non solo riportando ciò che di più rilevante andremo facendo, ma cercando anche di scavare le radici della storia della Chiesetta perché possa affluire linfa e vita alle ali di ciascuno di noi per poter essere sorpresi dalla leggerezza del volo sostenuto dalle lacrime e dai sorrisi che la vita di ogni giorno suscita.
Infine, questo numero contiene due contributi di vescovi dall'Africa e dall'America Latina. Sono situazioni "altre" rispetto al nostro mondo occidentale, ma ci rimandano un senso di freschezza e di ingenuità consapevole, quella suscitata dal sogno. Nella fiducia che è sempre vero il detto che consegna il sogno al fatto di sognare da soli e al sogno condiviso la capacità sorprendente di dar vita a nuova realtà.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA Dicembre 2007, Dicembre 2007
Luigi Sonnenfeld
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