La posta di fratel Arturo (Arturo Paoli)

Nei miei incontri mi viene spesso rivolta la domanda: la povertà, benedizione o maledizione? La risposta è molto semplice. La povertà è cammino di liberazione e segno di libertà, è un cammino necessario per conquistare la pace del cuore e fare esperienza della libertà vera per cui siamo nati. Seguendo il gusto dell'epoca, Dante rappresenta la povertà di Francesco d'Assisi come un matrimonio d'amore tanto gioioso da fare invidia. "La lor concordia e i lor sembianti" convincevano molti a seguire il santo tanto che "il venerabile Bernardo si scalzò prima, e dietro a tanta pace corse, e correndo gli parve d'esser tardo" (Par. XI) La perfetta letizia, l'esperienza di una gioia che non è di questo mondo e che è quasi una prova dell'eternità beata, è possibile solo con il ridurre al minimo i bisogni e i desideri che ci spingono alla ricerca di una felicità provvisoria che è come il falso di un quadro di un grande autore. E questo spogliamento in vista di conquistare la verità più profonda della persona sembra essere una meta della spiritualità orientale più che del nostro occidente cristiano. Credo che sia dovuto anche al fatto che il cristianesimo nel mondo greco è stato sfidato dalla domanda sul senso del vivere, piuttosto che dalla domanda di un progetto reale dell'esistenza. Nel nostro tempo stiamo scoprendo lo squilibrio che vivono i seguaci di Cristo, fra una proposta di fede intesa come
ragione e la debolezza di un'etica capace di opporsi al consumismo dilagante, causa diretta di quella povertà-maledizione che è vera schiavitù del maggior numero di esistenze umane. La crisi è già aperta sul nascere del francescanesimo quando la prima generazione del poverello non avverte che la verità di Francesco consiste nell'essere vero e non nell'inseguire la verità come bene da conquistare, che diviene facilmente conquista di potere incompatibile con l'autentica povertà. "Ma il suo peculio di nova vivanda - è fatto ghiotto, sì che non puote - che per diversi salti non si spanda". Oggi la Chiesa cattolica è impegnata nel difendere la vita umana e si scontra con tecniche di manipolazione della vita. Ma questa discesa in campo, vista dalla parte dei poveri, lascia freddi e perplessi. Perché noi tutti individui e istituzioni siamo coinvolti nell'idolatria di mercato, causa di una quotidiana distruzione della vita in misure mai raggiunte per estensione e profondità. La campagna portata avanti con tutti i mezzi, mentre il continente africano agonizza, l'America Latina è paralizzata nel suo sviluppo, la gioventù dell'occidente cristiano è sempre più dominata dall'idolatria, ci fa pensare all'ironia evangelica che colpisce chi sputa il moscerino e inghiotte la trave. Oggi abbondano scrittori e scritti che mettono a nudo il funzionamento dell'idolatria di mercato e i suoi attentati alla vita. Anche senza fare lunghi studi in economia, un piccolo libro ci informa a sufficienza su questa guerra infinita che falcia milioni di esseri umani condannando alla fame, escludendo giovani forze dal lavoro, perché "ridondanti e dunque da eliminare". (AA. VV.,, Economia come teologia?, Ed. L'altrapagina, Città di Castello)
Invano il Concilio ecumenico Vaticano II ha solennemente e infallibilmente proclamato che il centro della predicazione di Gesù è il Regno: "regno di giustizia , di amore e di pace" che deve avvenire nel tempo per l'impegno e la responsabilità dell'uomo, chiamato a renderne conto il giorno della seconda venuta di Cristo, alla fine dei tempi. Oggi autori molto letti e fecondi come Bauman, mediante analisi acute e profonde della società, mettono allo scoperto la nostra responsabilità. Nel piccolo libro accennato sopra il teologo Enrico Chiavacci riprende la Gaudium e Spes: "Con la venuta di Cristo tutta la storia non è altro che il faticoso cammino della storia verso la pienezza del Regno. Il Regno non riguarda l'aldilà ma l'oggi, in cui la basileia di Dio si sta sviluppando. Dunque la presenza del cristiano, nella complessa e strutturata realtà sociale della famiglia umana, è un tema prettamente umano e attinente alla salvezza".
Oggi, grazie a questa svolta del pensiero filosofico e parallelamente alle indicazioni dello Spirito Santo che appaiono molto chiare negli atti conciliari del Vaticano II, il cattolicesimo si trova di fronte ad una alternativa: o vivere la fede come adesione al suo contenuto di verità manifestata negli articoli del Credo e resa accessibile attraverso i vari catechismi che rendono pedagogicamente accettabile un catechismo ufficiale edito dal centro della Chiesa e come obbedienza ai comandamenti. O vivere la fede come donazione di sé al progresso del Regno di Dio nella storia. In questa seconda la prima non è esclusa, piuttosto a partire da quella il cristiano sincero, aprendosi all'azione dello Spirito Santo, giunge a convincersi che il senso vero della propria esistenza è quello di impegnarla integralmente per un mondo di giustizia, di fraternità, di pace. Nella prima maniera di vivere la fede invece non è inclusa la seconda. Mettendo al centro il Regno di Dio, come ha chiesto lo Spirito Santo nel Concilio, appare evidente quel relativismo cristiano che recentemente è stato citato dal cardinale Martini nell'omelia pronunciata nel duomo di Milano l'8 maggio scorso. Il Regno di Dio si realizza nel fluire della storia che presenta varie provocazioni all'impegno dell'uomo nella società del suo tempo. Questo impegno è la ragion d'essere di ogni esistenza umana, Gesù la contempla alla luce di Dio. Il cardinale Martini nelle sue parole sembra indicare un'istanza superiore alla Chiesa: "sarà allora quando verrà il Signore che finalmente sapremo. Allora si compirà il giudizio sulla storia e sapremo chi aveva ragione. Allora le opere degli uomini appariranno nel loro vero valore e tutte le cose si chiariranno, si illumineranno, si pacificheranno". Il cristiano non ha una marcia in più degli altri, dovrebbe averla perché la sua fede dovrebbe averlo portato a dissetarsi direttamente alla fonte dell'amore, ma spesso non dona questo amore, lo ritiene per sé impaludandolo. Viene alla mente spontanea la parabola del Samaritano che trasmette la vita a un morto, mentre i due trascurano il fratello in preda alla morte per non perdere il diritto di approssimarsi alla fonte della vita. I segni dei tempi sono relativi perché legati al tempo, eppure Gesù li mostra come necessari per il nostro impegno nel divenire del Regno.
La profezia è la capacità di leggere il relativo, di vedere che la giustizia è un valore di tutti i tempi per tutti gli uomini, ma è solo la profezia che consegna alla giustizia la realtà di un volto che sanguina o che è solcato di rughe per fame e per fatica. Nella mia lunga vita ho avuto la possibilità di vivere un periodo a Roma dove ci scontrammo con dei valori umani che si dibattono su un piano strettamente logico e razionale, anche se destinati a entrare nel tempo e quindi nella relatività, come la conciliazione fra l'obbedienza e la libertà, la difesa dello spazio della laicità dallo spazio del sacro e del religioso. Il ricorso costante allo Spirito di Dio mi apparve e mi pare ancora oggi indispensabile per vivere quella vicenda senza perdere l'unità di un progetto di vita che avevo scelto con una coscienza chiara e libera. La vita con i poveri mi ha avvicinato a una religiosità incarnata che mi ha portato a riconoscere la teologia della liberazione, le varie filosofie fenomenologiche fra cui distinguo il pensiero di Lévinas, come il filo rosso del Regno di Dio. E oggi penso che non si sveleranno mai del tutto i sensi che contiene la parola conciliare di povertà della Chiesa e nella Chiesa, se non cogliendo questi avvenimenti come profezia cioè come presenza dello Spirito di Dio nella storia. In questa luce storica appare in tutta la sua evidenza il Gesù dei Vangeli che si identifica con il progetto Regno di Dio che chiarisce nelle parole più vicine all'uomo: "sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza" (Gv. 10,10).
Oggi non è possibile pensare a un mondo diverso, se non partendo dalle vittime di quelli che tolgono la vita. La forma concreta di togliere la vita a una parte sempre più estesa di esseri umani consiste nel fatto che l'economia finanziaria si sviluppa senza nessun legame con l'economia reale. In poche parole esiste denaro che trasmette vita e denaro che trasmette morte perché è denaro che produce denaro, spogliato dal suo essere simbolico che è quello di alimentare la vita. Questo meccanismo non l'ho mai trovato nei libri di teologia morale, e nemmeno di spiritualità. Ma è impossibile non interrogarsi a fondo, non cercare di chiarire la causa di questa morte sempre più avida di vittime umane, senza sentire l'assoluta falsità delle nostre parole consolatorie e il vero autentico relativismo dei programmi di studio dei futuri pastori che vengono preparati in lunghi anni di separazione dalla vita reale, a respirare in colonie asettiche, lontane dalla concretezza quotidiana dove appare evidente il senso vero del mondo nella lotta impari tra la morte e la vita. E qui, in questo tragico mondo reale, si rinnova lo spezzarsi del velo del tempio e il senso vero del povero e giusto che agonizza sulla croce. E quanto lussuoso infantilismo si nasconde nel nostro stile di vivere la nostra fede.

Arturo Paoli


in Lotta come Amore: LcA ottobre 2005, Ottobre 2005

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