Verso modi nuovi di pensare (Red.)

Scrivo queste righe a chiusura del giornalino. Spero che i tempi di stampa e di preparazione per l'invio postale siano quelli soliti per cui dovreste leggermi intorno alla fine di ottobre. Saremo allora in autunno inoltrato, le giornate pesantemente accorciate dall'ora legale, i primi freddi e insieme i colori che avvampano i boschi e rimandano ai precoci tramonti che struggono l'anima. Ringrazio vivamente tutti coloro che mi hanno fatto arrivare segni concreti della loro vicinanza e amicizia.
Ringrazio gli amici che mi hanno scritto nei modi più diversi: dalla tradizionale lettera, alle e-mail, al bigliettino infilato sotto la porta... Da parte mia Lotta come Amore è una lettera scritta per ciascuno di voi, sempre con il cuore. Questa volta tra gli indirizzi non ci sarà più quello di Padre Dalmazio Mongillo. Un dolore forte, intenso per una notizia piombata fulminea. La difficoltà di comunicare con qualcuno per scambiare anche solo l'angoscia del lutto improvviso; la impossibilità materiale di partecipare al funerale perché troppo a ridosso della notizia per tentare in qualche modo di raggiungere Bari; la mancanza di un riferimento per mandare almeno le condoglianze ai familiari che sapevamo molto vicini a lui... Tutto questo, anche se sono passati più di due mesi, impedisce per ora ogni elaborazione del lutto. Eppure tanta storia, tanta vita abbiamo condiviso in un confronto non sempre facile, ma ugualmente appassionato e sincero. Chiedo a chi legge queste righe e ha notizie anche minime riguardo a Dalmazio di farsi vivo con me. Anche solo per condividere il dolore. Mi auguro, con Maria Grazia, di poter dedicare a Dalmazio il prossimo numero di Lotta come Amore. Per rivivere la tensione ideale e la speranza che abbiamo condiviso. E rinnovare ciò che la morte non può spezzare.
In questo numero
Raccolgo, come al solito, in questo numero un articolo di fratel Arturo tratto da Oreundici. Il suo scrivere è ormai un tutt'uno con il suo parlare e la sua parola un tutt'uno con il suo messaggio di vita di questi anni: "II cattolicesimo si trova di fronte ad una alternativa: o vivere la fede come adesione al suo contenuto di verità e come obbedienza ai comandamenti. O vivere la fede come donazione di sé al progresso del regno di Dio nella storia. In questa seconda la prima non è esclusa, mentre invece nella prima maniera di vivere la fede non è inclusa la seconda". Il progresso del regno di Dio nella storia presenta "varie provocazioni all'impegno dell'uomo nella società" e queste provocazioni sono legate al tempo e cioè relative anche se necessarie nel divenire del regno. Su questa falsariga si snodano le riflessioni di padre Agostino sull'Eucarestia nel campo Rom di Coltano (Pisa) dove abita da alcuni anni: "Trovo un legame stretto quanto appena affermato con la vita dei Rom e Sinti, in genere visti dall'opinione pubblica (se non sempre), come una realtà inutile, inefficiente.. .gran parte del mondo dell'esclusione lo è proprio perché visto e considerato inutile, fuori dal giro della produttività. Per me invece, proprio perché vivo l'Eucaristia dentro questo "spazio inutile ed escluso" mi ricorda che è l'azione di Dio (actio Dei) il senso ultimo del mio celebrare, e che questa non va calcolata ma solo accolta e creduta". Pochi giorni fa, proprio padre Agostino ha bussato alla porta della Chiesetta per un confronto e una richiesta di solidarietà con una famiglia Rom che da qualche anno vive nella periferia di Viareggio e cui sono stati tolti (dal tribunale dei minori su richiesta dei servizi sociali del Comune) i cinque figli e, poco tempo fa, anche l'ultima nata all'ospedale della Versilia. Scrive fratel Arturo nell'articolo qui riportato: "La profezia è la capacità di leggere il relativo perché la giustizia è un valore di tutti i tempi per tutti gli uomini, ma è solo la profezia che consegna alla giustizia la realtà di un volto che sanguina o che è solcato di rughe per fame e fatica". E io mi chiedo quale "relativo" nel caso di questa famiglia Rom? Il volto sanguinante dei figli troppe volte picchiati dall'ubriacatura serale del padre? Il volto della madre, costretta probabilmente ad una nuova gravidanza (la sedicesima, pare) perché è troppo importante un neonato per chiedere elemosine? Il padre, fuori luogo in questa nostra ordinata società, ma probabilmente anche nella convivenza di un campo Rom? Il volto dei Rom spinti sempre più in meccanismi di inclusione sempre e comunque nelle pieghe più povere della nostra società?...
Domande, domande, domande, domande, domande... Quelle che, forse, hanno martellato don Claudio, parroco nella periferia di Viareggio, di cui pubblico la "Lettera ai parrocchiani". Quella profezia, di cui parla fratel Arturo, che mette in croce la parte più generosa del clero per una struttura non più sana di un ministero che ha bisogno di ripensarsi a partire dalla comune vocazione battesimale. Quella profezia che richiede l'esercizio dell'ascolto reso vita quotidiana, familiare, condivisa che, sola, può dare alla solitudine l'autentica dimensione esistenziale. Domande. Che provocano prima di tutto il pensiero come elaborazione e confronto di ogni vissuto, come ebbe a dire il grande teologo tedesco Karl Rahner invitando a: "tradurre il nostro agire in modi nuovi di pensare, piuttosto che il nostro pensare in nuovi modi di agire".
Come abbiamo ricordato insieme, io e le carissime sorelle Maura e Giulia, nella chiesa di Bargecchia, in alto sulla collina, nel cinquantesimo della loro professione religiosa come Piccole Sorelle. Nella memoria della storia di Sirio; memoria ancora viva che ci interpella alla vita.

Redazione


in Lotta come Amore: LcA ottobre 2005, Ottobre 2005

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