E' notte, fratello!

Questo primo numero di Lotta come Amore del 2007 arriverà, spero, nel mese di giugno. Metterlo insieme non è stato facile perché tante sono le sollecitazioni per un tema piuttosto che un altro. E tanti sono i fatti, gli avvenimenti che intersecano la trama delle giornate, da rendere impossibile anche solo darne conto in modo succinto. Per quanto mi riguarda, ho la sensazione, da un po' di tempo, di essere uscito dal lungo passaggio dalla fase di "piena occupazione" al "pensionamento" inteso come uscita dal lavoro (pensione di vecchiaia) e remissione di incarichi parrocchiali. Presa la decisione, un paio d'anni fa, gli atti, da parte mia, sono stati conseguenti. Ma la dismissione dei ruoli mi ha creato più di un problema dovuto ad ansie, timori irragionevoli, incertezze.. Niente di che, era facile metterlo in preventivo, ma insomma una nuova pelle non si riforma così inaspettatamente dall'oggi al domani! Lo vedo bene quando qualcuno mi domanda: "e ora che fai?". Mi sorprendo ancora a tentare di snocciolare le varie situazioni in cui mi sento impegnato, ma poi mi vien da sorridere di me stesso, impegnato in una serie di sbriciolature, a convincermi che sono tra tutte un "compito" serio. E dico semplicemente: "faccio su per giù le cose di prima, solo più lentamente". Questo rallentarsi dei ritmi della vita mi dà come di incontrare la realtà partendo dal di dentro, dall'intimo senso, più che dalla buccia; e cioè dal come e perché accadono le cose nella vita. Esprimo questa sensazione senza saperla neppure nominare. E' ancora presto, ma sento che le vele della mia vita stanno prendendo di nuovo il vento. Con la consapevolezza che "ripartire dalla Chiesetta" e cioè da un "luogo" che è insieme il volto di Sirio e di Beppe e l'intreccio della mia povera storia personale con la loro, costituisce il "bulbo" che sotto la carena degli avvenimenti quotidiani dà stabilità alla mia navigazione. Sempre un po' troppo "a ridosso", vero amici?

In questo numero
Ne "La posta di fratel Arturo", oltre a dar conto dell'indirizzo attuale di Arturo Paoli e i riferimenti per entrare in contatto con lui, sempre attingendo al sito di "Oreundici", ho ripreso un suo articolo di qualche anno fa sull'Eucarestia. "A partire dall'Eucarestia, la Chiesa in riforma", recita lo slogan del percorso pastorale di questi anni nella nostra diocesi di Lucca. Ma perché questo tentativo non abortisca identificando di fatto l'Eucarestia con il rito della messa, occorre un respiro profondo che esprima fiducia in un cammino che, intrecciando la vita con il rito e il rito con la vita, passa da vita a vita nel segno del rinnovamento e della conversione continua alla giustizia e all'amore.
Roberto Fiorini, preteoperaio di Mantova, dal suo eremo fatto di dedizione e assistenza ai suoi severamente impediti, scrive una lettera, pubblicata da "Repubblica" in cui ricorda l'ultima intervista, del monaco camaldolese Benedetto Calati, pubblicata nel 2000.
L'intervistatore, prima di porre una domanda, ricorda a Benedetto la poesia che p. Turoldo gli aveva dedicato nel 70° compleanno:
«Benedetto, monaco dal volto d'argento, fratello mio, tempi malvagi
ci sono toccati in sorte: stagioni
che non accennano a mutare..
Da lungo sono spenti i candelabri,
il baluginio delle lampade all'altare
ancora più agita le ombre per tutto il tempio: è notte, fratello!
Una grande notte incombe sulla Chiesa.
Il concilio, uno scialo di speranze.
Sempre più rara, dovunque, la Parola
mentre di inutili parole,
a ondate, rimbomba il mondo».
"Viviamo ancora, padre Benedetto,
la notte della chiesa"?
E Benedetto così risponde :"Ma, la notte di per sé non c'è mai per la chiesa, se crediamo che essa sia la testimonianza della Pasqua di Gesù, vero Dio e vero uomo. Purtroppo ci sono le notti della istituzione. E questa è una notte dell'istituzione, dovuta all'affossamento del Concilio Vaticano secondo".
Giustizia e amore sembrano quindi caratteristiche che non si ritrovano nell'agire della Chiesa oggi. Perché la Chiesa è più preoccupata di se stessa e della propria "sopravvivenza". A somiglianza di tante aziende pubbliche laiche, la struttura ecclesiastica finisce per
"consumare" i due terzi dell'energia che mette in campo per mantenersi in vita e restituisce come servizio solo un residuo. Un residuo di giustizia e un residuo di amore. Lo mette in evidenza don Angelo Casati, uomo di Dio in Milano, commentando il caso Welby: "Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Ascoltando il popolo di Dio, che, in una occasione come questa, mi è parso più avanti, e non per relativismo, ma per fedeltà al vangelo. Ho visto tracce di sofferenza nei credenti, l'ho percepita negli occhi sgomenti di tanti, l'ho letta in messaggi tristi che mi sono stati indirizzati. Ascoltando il popolo di Dio e il magistero dello Spirito che lo abita. Che abita i piccoli in modo particolare. E alla mente mi corre il volto di un bambino che in una delle sere che vegliavano il Natale al papà e alla mamma disse: "Sì, mettiamo anche Welby nel nostro presepio!". I bambini mille anni luce in anticipo su spazi di chiesa - non tutta per grazia! - in ritardo, in ritardo di misericordia.
Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Frequentando, abitando le case di questa umanità. Penso con commozione a chi si è fatto compagno di viaggio per anni di un uomo di cui tanti di noi hanno conosciuto il volto solo attraverso il mezzo televisivo. E come se ne sarebbe potuto parlare se non avendo in qualche misura
tentato di entrare nel suo mondo interiore, oltre il confine di quegli occhi che erano lago di sentimenti e di pensieri, di sofferenze e di drammi? Che cosa puoi dire se non hai abitato? Dio - ce lo ha ricordato il Natale, se lo abbiamo celebrato in verità - si è fatto carne. Non sta nelle parole senza carne, nelle parole di coloro che predicano, ad occhi asciutti dai palazzi, senza aver abitato la tenda di carne di questa umanità. Parliamo, o forse meglio sogniamo una chiesa madre. Ma come potremmo dimenticare che madre dice grembo e grembo dice calore? Offri a Dio e all'umanità il calore di un grembo. Dio, se non c'è questo calore, se non c'è questo essere grembo, se ne va. Lontano. Perché Dio è lui stesso - e ce lo ricorda la Bibbia - grembo. Lui ha viscere di maternità e di misericordia. E se la chiesa anela a rispecchiarlo deve essere chiesa-grembo, dunque madre e non matrigna. Come fare perché in avvenire la porta non sia chiusa, sorda, inaccessibile? Esplorando i territori dell'altro, rifuggendo da ogni pregiudizio, dalla pretesa di tutto sapere. In una intervista che ha suscitato clamore, alcuni mesi fa, il Card. Martini parlava di zone grigie che attendono di essere esplorate e interrogate con onestà intellettuale. Diceva: "Là dove per il progresso della scienza e della tecnica si creano zone di frontiera o zone grigie, dove non è subito evidente quale sia il vero bene dell'uomo e della donna, sia di questo singolo sia dell'umanità intera, è buona regola astenersi anzitutto dal giudicare frettolosamente e poi discutere con serenità, così da non creare inutili divisioni".
Le porte si chiudono, quando la verità e la sincerità della ricerca sono appannaggio di alcuni e il mondo dell'altro a priori è paese di falsità e mistificazioni: il caso è chiuso, la porta è chiusa.
Come non capire che stiamo entrando in territori inesplorati, dove non è consentita alcuna spavalda presunzione, dove tutti, credenti e non credenti, siamo chiamati a chinarci non su parole o su tesi, ma su creature vive e pensanti? Ci è negata, dalla coscienza e da Dio, ogni sorta di rozzezza dell'intelligenza e dello spirito. E l'accesso non è per gli addetti ai lavori, è per coloro che nei drammi dell'umanità non si permetterebbero mai di entrare se non in punta di piedi, rispettosi come sono della sacralità intangibile di ogni coscienza."
In un mondo ancora così tanto terribilmente ingiusto da far apparire i vittimismi di una cultura che riduce la carne e il sangue a valori etici in sé, l'eterno tentativo di togliere il moscerino dall'occhio dell'altro senza nessuna attenzione alla trave nel proprio. Come scrive Roberto Fiorini nella stessa lettera ricordando che il Vangelo ci avverte: "filtrate il moscerino e ingoiate il cammello" (Mt. 23,25). Il moscerino corrisponde ai "DICO", il cammello evoca il rapporto dell'ONU del dicembre scorso secondo il quale "quasi metà delle ricchezze del mondo sono in mano all'1%. Il 50% della popolazione mondiale ha meno dell'1%". Dietro ai numeri c'è la sofferenza, l'agonia e la morte di milioni di esseri umani. Il "diritto naturale" alla vita viene quotidianamente infranto. Se per i "DICO" la protesta ecclesiastica, con tutti i media a disposizione, supera i 120 decibel, di quanto dovrebbe alzarsi la voce in difesa del 50% della popolazione mondiale? E dov'è questa voce?".
Dove la voce materna della Chiesa, grembo caldo di umanità?
Cerchiamo di non chiudere la porta del cuore.



Luigi


in Lotta come Amore: LcA luglio 2007, Luglio 2007

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