Uno schema di lavoro che non convince

P. Dalmazio Mongillo in "La Voce dei Poveri",

P. Dalmazio Mongillo in "La Voce dei Poveri",
Viareggio, giugno 1971

Un prete non legge per mera curiosità un documento, sia pure non definitivo, quale quello sul "Sacerdozio Ministeriale" preparato per il prossimo Sinodo dei Vescovi. Tratta di un tema che tocca da vicino la sua vita e, se lo affronta, è perché desidera vivere in autenticità la propria vocazione, acquistando coscienza esplicita della propria identità nella Chiesa e nel mondo. La proposta del Sinodo dovrebbe costituire il frutto della maturazione della coscienza ecclesiale sul sacerdozio. Se fosse scadente o ispirata da remore e diffidenze, deluderebbe le speranze di tutti coloro che anelano a una realtà che alimenti la speranza, aiuti a superare la stanchezza del presente e apra prospettive.
La delusione sarebbe molto triste perché siamo profondamente convinti che, se viviamo in fedeltà allo Spirito che anima la comunità ecclesiale, la soluzione emerge. Occorre quindi, con sincerità e senza pregiudizi, promuovere una revisione di vita che porti a farsi guidare dallo Spirito e a cogliere i veri aspetti del problema.
La crisi del ministero nella Chiesa non è isolata, ma solidale con tutto ciò che è sintomo della crisi dello stile di presenza della Chiesa nella storia. Il vero volto del prete non può emergere se non in sintonia alla riscoperta della vera via della Chiesa, del suo cammino come fedeltà al Signore che viene. La crisi del ministero è di conversione dalla infedeltà non di spinta all'infedeltà. Del discorso che Papa Giovanni tenne all'apertura del Concilio mi colpì quel senso di sereno ottimismo che
10 portava a non condividere le previsioni apocalittiche di tanti che ovunque vedevano male e rovina e che stimolava il contributo differenziato e convergente di tutti. Da quel momento quella prospettiva non mi ha più abbandonato. Sarà forse anche per questo che ciò che mi ha più rattristato in questo documento è la mancanza di fiducia e di speranza. E' stilato in un'ottica di crisi di identità a cui si tenta di contrapporre alcune argomentazioni il cui valore è spesso discutibile e che scaturiscono da un'ecclesiologia che per molti aspetti è pre-Vaticano 2°, destinate a convincere che invece l'identità il Sacerdozio ce l'ha e che, se non emerge, è colpa di tutto quel complesso di fenomeni che si vanno verificando nel mondo contemporaneo.
Si cerca un capro espiatorio sul quale riversare tutte le colpe, mentre mi pare che il tutto è espressione di una chiamata ad andare verso una terra nuova alla quale Dio ci guida. Ho avuto l'impressione di un certo capovolgimento di valori. La fonte dell'identità del Sacerdote è la certezza di essere stato scelto e mandato da Dio, per dire agli uomini che il Padre li ama e che vuole che essi lo amino e si amino. E di dirlo donando amore e realizzando una presenza che, nella concretezza del suo contenuto, può e deve variare secondo i tempi e i luoghi, attuando compiti che, in ogni caso, devono scaturire dalla disponibilità interiore che la scelta, accolta e donata, determina e debbono incrementarla. Qui, invece, mi pare che l'identità sia delineata in rapporto al complesso di atti che il prete compie. Quando sorge il timore che questi siano in discussione o mutino, si ha paura che egli resti "disoccupato" e anziché spingerlo a cercare nuovi stili di impegno, a ristrutturare "l'organizzazione" in senso di profonda sintonia con la vita si resta piuttosto fermi sull'aggiustamento di una cosa o dell'altra. L'ottica si sposta. Anziché stimolare l'amore a crearsi il cerimoniale in cui esprimersi, si tenta di tener in vita il cerimoniale nella convinzione che farà rinascere l'amore.
L'identità di un uomo, anche se si esprime nel ruolo che egli svolge, non deriva da esso, bensì dalla interiorizzazione di un dono di amore, e, nel nostro caso, dalla certezza che Colui che ci ha scelti e nel quale abbiamo riposto fiducia è fedele all'amore.
Nella rivelazione cristiana è fondamentale la fondazione e l'origine trascendente della identità personale, in questo sta tutta la sua novità e il suo vigore; il resto appartiene all'ordine del secondario e anche se ha durata e persistenza, è valido solo subordinatamente al primo elemento. Ancora una volta ci si lascia prendere dalla paura e si mette in atto un sistema difensivo del ministero da ciò che può metterlo in pericolo. E così ci si àncora a una mentalità apologetica, la quale sfocia in un sistema di educazione orientata a creare i componenti del Sacro, a far maturare la consapevolezza dell'importanza del compito che si svolge e a pretendere che esso venga riconosciuto e valorizzato. E anziché farsi difendere dal Sacerdozio lo si mette sotto tutela, anziché stimolare i presbiteri a "inventare", a far scaturire dall'amore di cui sono oggetto da parte di Dio lo stile di vita in cui esso si esprime e a trovare la via per manifestarsi, si discute sui compiti quasi che la cosa più importante sia garantire la continuazione di certi servizi. Si indulge ad un bisogno di rassicurazione che hanno coloro che si sentono frustrati e destrutturalizzati quando non hanno un compito riconosciuto che li valorizzi, li distingua e dia loro una ragione di esistere, mentre ci si dovrebbe spingere a diventar disponibili e inventivi di un concreto stile in cui esprimere a nuovo, in comunione con tutta la Chiesa e la Sua Gerarchia, la ragione di esistere anche quando le precedenti forme di espressione non risultano agibili.
Il compito investe tutta la Chiesa, la responsabilizza a tutti i livelli, esige l'apporto di tutti, non escluso quello insostituibile e specifico che gli organi del Magistero mutuano dalla loro posizione unica. Occorre approfondire il rapporto tra Sacerdozio di Cristo e Sacerdozio Gerarchico, il modo come questo si è costituito nella Chiesa, quanto di ciò che era incluso nella sua maniera tradizionale di esprimersi lo sia per insostituibile esigenza del Sacerdozio di Cristo o per motivi diversi. Altro è dire che il ministero Sacerdotale è inerente alla Chiesa, altro connettere con vincolo indissolubile a questa inerenza tutto ciò che le si è aggiunto nei secoli e le spiegazioni con le quali queste connessioni sono state giustificate. Ciò non è legittimo soprattutto quando si ricorre a questo accostamento per dedurne conseguenze operative che decidono più che risolvere alcuni grandi problemi che travagliano il Sacerdote contemporaneo. Mentre la dottrina è destinata alla vita ed è tanto più valida quanto più alimenta lo sviluppo della vita, qui si vuoi dichiarare non autentiche alcune esigenze di vita in base ad una dottrina. Non si è verificato sempre che la dottrina è stata meglio ripensata in base ai risultati dell'esperienza vitale orientata e sapientemente vissuta? La vita vissuta in fedeltà allo Spirito è la verità.
La lettura della III parte del documento sui problemi pratici acutizza la sensazione del clima di sfiducia nel quale il testo è stato redatto e del contesto riduttivo in cui le difficoltà sono viste. Si da un'interpretazione univoca di fenomeni che ne hanno molte altre che potrebbero aiutare a porre il problema molto diversamente. "La ragione più profonda" della diminuzione dello slancio missionario è indicata nella diminuita stima della fede esplicita e nelle conseguenze della dottrina del cristianesimo anonimo (1, 3); le difficoltà inerenti alla celebrazione dei sacramenti sono connesse all'oscuramento della fede nella loro efficacia (1, 4, a); l'esclusione di altre attività da parte del sacerdote è vista in base al pericolo che gli sottraggano tempo per il ministero, l'attività politica è problematicizzata a un giudizio negativo su di essa e per una concezione che è, a dir poco, molto discutibile.
Si insinua la questione se "la radice ultima dell'attuale crisi dei Sacerdoti" non si debba ricercare nella mancanza di una vera e propria spiritualità sacerdotale (III, III, 1) proiettando così in una prospettiva di carattere morale un problema che ha portata tanto vasta. In questa ottica si avalla una certa interpretazione del cambiamento dello spirito di preghiera. Tutti riconoscono che oggi vi è una diminuzione dello spirito di preghiera, sia perché ad essa si da poco tempo o poco zelo, sia perché sono spariti, per alcuni, i motivi e la stima della preghiera e la sua distinzione dal lavoro" (ivi, 2°) e perciò si cerca di addurre argomenti che ricostruiscano questi motivi.
Non appaiono emergenti alcune grandi aspirazioni che stanno alla base di un mutato atteggiamento nei confronti della celebrazione dell'Eucarestia, di cui tra l'altro la partecipazione quotidiana è inculcata affinché il sacerdote possa "con la parola e con l'esempio attrarre gli altri ad essa" (III, III, 3). La causa del poco posto per gli esercizi ascetici sarebbe "il modo moderno di considerare le realtà di questo mondo, che psicologicamente è diventato quasi esclusivo" (ivi 4). Si sospetta che il diverso atteggiamento nei confronti del Sacramento della Penitenza "la cui frequenza" da parte dei Sacerdoti, "è diminuita più del giusto" può essere derivato dalla "diminuzione del senso del peccato negli stessi Sacerdoti, come del resto nel popolo cristiano" (ivi 5).
Analoga riduttività nella riflessione sul problema del celibato: "Si può supporre che il modo moderno di trattare le cose anzi la licenza circa le realtà sessuali che pervade il mondo cosiddetto occidentale, non è estraneo a questa contestazione". E si aggiunge: "Checché se ne pensi di questo problema, esso è assai complesso e bisogna che sia accuratamente vagliato nei suoi vari aspetti" (III, IV, 1).
Il problema dell'eventuale ordinazione di uomini sposati è visto solo come rimedio alla carenza di Sacerdoti e "per quei luoghi solamente dove questa mancanza è acerbamente sentita" per non privare i fedeli dei benefici che il Sacerdozio presta al Popolo, in tal caso si domanda se si può provvedere a "promuovere al Sacerdozio uomini di età matura" (ivi, 2).
Talvolta si presenta un dato come certo e poi si esclude in base ad esso un comportamento.
L'astensione dall'impegno attivo nella causa di "una certa fazione politica" (III, I, 5 a) (si noti la denominazione già squalificante) è giustificata tra l'altro dal fatto che ciò sembra favorire positivamente la libertà della maggioranza dei laici, in quanto allontana il cosiddetto neoclericalismo con il quale a volte i Sacerdoti vorrebbero imporre ai laici le proprie vedute, mettendo nell'ombra la loro libertà in questo campo. E' ancora il sistema di tagliare la testa per evitare il mal di capo.
Anche sul tema dell'agire comunitario nella Chiesa (III, II) gli enunziati programmatici a largo respiro vengono ridotti ad applicazioni univoche che escludono altre alternative non meno legittime. La diversità per es. può certamente costituire un ostacolo alla comunione, però una comunione che non liberi le diversità si distrugge perché diventa massificante.
Con queste osservazioni ho voluto mettere in rilievo il fatto che la mentalità che ispira e condiziona questa traccia di lavoro non mi pare sia quella che potrà contribuire a chiarire il problema.

P. Dalmazio Mongillo



in Lotta come Amore: LcA giugno 2006, Giugno 2006

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