In tema di ricorrenze centenarie, mi ha commosso il ricordo di Rosa Luxemburg, uccisa a freddo dalla polizia a Berlino il 15 gennaio 1919, fallito il tentativo di rivoluzione spartachista. Ho amato questa figura di donna e di lottatrice quando lessi i suoi scritti che Lelio Basso ci fece conoscere. Specialmente le sue lettere, e quelle dal carcere (per lei frequente residenza), sono testimonianza di viva umanità, che è il bene politico più prezioso, pur insieme ad altri aspetti che puoi non accettare. Raccolgo a caso, dal mio archivio digitale, qualche suo pensiero, senza pretese di completezza. Per Rosa «La libertà è sempre solo la libertà di quelli che la pensano in modo diverso». Questo è il suo pensiero più famoso, sempre citato. Lei, marxista, vi sembra dunque leninista e stalinista? Condannò l'appoggio della SPD alla guerra. «Voi dite: o mitragliatrici o parlamentarismo. Noi vogliamo un radicalismo un po' più raffinato. Non soltanto questo grossolano aut-aut. È più comodo, più semplice, ma è una semplificazione che non serve alla formazione e all'educazione delle masse» (in Sciopero di massa, partito, sindacati, citato da Lelio Basso, Introduzione a Per conoscere Rosa Luxemburg, Oscar Mondadori, 1977, p. XXXVI). «La dittatura consiste nel modo in cui la democrazia è usata e non nella sua abolizione». (La rivoluzione russa, pubblicata postuma nel 1921, su appunti stesi da Rosa nel 1918, contenuta in Scritti politici, Editori Riuniti 1976, a c. di Lelio Basso, p. 593. La frase è citata a p. 382-383 di Paul Frölich, Rosa Luxemburg, prefazione di Rossana Rossanda, BUR 1987). Rosa Luxemburg dichiara che la dittatura è inevitabile: «Già, dittatura! Ma questa dittatura consiste nel modo di applicare la democrazia, non nella sua abolizione, in interventi energici e decisivi nei diritti acquisiti e nei rapporti economici della società borghese, interventi senza i quali la trasformazione socialista non può essere realizzata». (..) «Noi abbiamo sempre svelato il duro nocciolo della disuguaglianza e della schiavitù sociale che si nasconde sotto la dolce buccia dell'uguaglianza e libertà formale, non per rigettare queste ultime, ma per spronare la classe operaia a non contentarsi della buccia, e a conquistare il potere politico per riempirlo di un nuovo contenuto sociale. È la missione storica del proletariato giunto al potere di creare al posto della democrazia borghese una democrazia socialista, non di distruggere ogni forma di democrazia». La stessa problematica la troviamo qui: «Se per la borghesia la democrazia è diventata un elemento in parte superfluo, in parte di ostacolo, essa per la classe operaia, invece, è diventata necessaria e indispensabile». Nel seguito dice che non le barricate, non la Comune di Parigi, ma la «lotta legale» è l'unica possibilità per la conquista del potere politico da parte del proletariato. (Per conoscere Rosa Luxemburg, op. cit., p. 136 e ss, spec. 137 in basso. E anche p. LXX e p. L) . Fino dall'aprile 1917 (!) «in varie lettere Rosa non nasconde le sue profonde perplessità in merito all'esito finale della rivoluzione russa, che aveva tuttavia suscitato il suo entusiasmo». In particolare sono «note le sue critiche sull'atteggiamento dei bolscevichi
dopo la presa del potere [ottobre 1917] e sulla concezione della dittatura del proletariato». (ivi) Ma è nelle lettere che appare soprattutto l'umanità di Rosa. «Ne hai ora abbastanza come auguri per l'anno nuovo? Procura allora di rimanere un essere umano. Rimanere un essere umano è la cosa principale. E questo vuol dire rimanere saldi e chiari e sereni, sì sereni malgrado tutto, perché lagnarsi è segno di debolezza. Rimanere umani significa gettare con gioia la propria vita "sulla grande bilancia del destino" quando è necessario farlo, ma nel contempo gioire di ogni giorno di sole e di ogni bella nuvola; ah, non so scrivere una ricetta per essere umani, so soltanto come si è umani». (dal carcere, 28 dicembre 1916, a Mathilde Wurm, in Lettere 1893-1919, e in traduzione leggermente diversa in R. Luxemburg, Dappertutto è la felicità. Lettere di gioia e barricate, L'Orma, gennaio 2019, p. 45). Chi non vede l'attualità di queste parole? E un brano del 1916: «Restare un essere umano, cioè gettare, se necessario, gioiosamente tutta la propria vita "sulla grande bilancia del destino", ma allo stesso tempo rallegrarsi per ogni giornata di sole, per ogni bella nuvola». Per me, sono rivelazioni di una persona molto viva. Si giudichi come si vuole la sua attività rivoluzionaria, la sua concezione marxiana meccanica della storia destinata alla vittoria del proletariato, ma non si dimentichi la sua differenza da Lenin, la sua concezione della libertà, citata all'inizio. Rosa «ha molto amato», per dirlo con parole di Gesù (Luca 7,47). Ha amato anche diversi uomini. Rosa ha fede nella vita, cioè in Dio non nominato. Marxista, non credente, custode della libertà insieme alla giustizia, scrive queste parole dal carcere nel 1917: « Ed io sto qui ravvolta in questo manto nero delle ombre, della noia e della schiavitù dell'inverno, eppure il mio cuore palpita per una incomprensibile e sconosciuta allegria come se stessi camminando su un prato in fiore sotto un sole risplendente. E sorrido nell'oscurità della vita come se conoscessi un qualche magico segreto che smentisce la malvagità e la tristezza per trasformarle in luce e felicità». (parole citate da O. Bayer nel discorso sulla tomba di Elisabeth Käsemann, pubblicato in Latinoamerica, n. 15/16, lugliodicembre 1984.) Non sembra di leggere Etty Hillesum? Questa giovane ebrea-cristiana olandese, sotto il martello della violenza nazista, gioiva di speranza e di coscienza del bene. Aveva la grazia di «trasformare il dolore in forza» (Nadia Neri) e di vedere il bene al di là del male. Questa era la sua potente resistenza, tutta interiore. E pregava Dio: «Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me». E parlava delle «sorgenti originarie che abbiamo dentro di noi e che io chiamerò "Dio"» (Diario 1941-1943, Adelphi 1985, pp. 169, 220). C'è anche chi, come Rosa Luxemburg, ha quel dono pur senza conoscerne esplicitamente l'origine, il dono di attraversare col proprio corpo, come Gesù risorto, il muro del male e di attendere e pregustare la vita nel bene. Non è questa una forma di fede, comunque la chiamino i teologi, una esperienza reale di Dio? Una esperienza che è forza buona per amare e promuovere il mondo, e salvarlo insieme a Dio. Esperienze come queste, sotto qualunque nome e latitudine ideale e culturale, i cristiani devono riconoscerle, onorarle, condividerle con la propria fede nel Cristo vivente, perché queste luci sono la forza più forte e più pura per le opere di giustizia nella storia umana.
Enrico Peyretti
in Lotta come Amore: LcA Ottobre 2019, Ottobre 2019
Luigi Sonnenfeld
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