Chi trova un amico, o un libro, trova un tesoro

Capita, nella vita di tutti i giorni, di incontrare persone che non vedevamo da tempo senza purtroppo ricordarci il nome; altre volte capita che non ricordiamo quel volto, né tanto meno il nome, ma con un piccolo aiutino riattiviamo la memoria. Ci sono poi persone che possiamo non vedere per anni ma appena le incrociamo sembra passato poco tempo dall'ultimo incontro. Capita anche che vorremmo incontrare persone care o importanti della nostra vita ma purtroppo è impossibile, perché non ci sono più.
Capita con i libri quello che capita con le persone. Ci sono libri così cari che, come con gli amici sinceri, non vorremmo mai abbandonare, oppure libri che abbiamo perso e non riusciamo più a trovare; oppure libri che cerchiamo con ostinazione o libri di cui abbiamo sentito parlare e mai letto che ci appaiono all'improvviso.

La scorsa estate mi sono recato a Viareggio per la festa che ogni anno viene organizzata dal circolo Partigiani Sempre, nella Pineta accanto allo stadio. Mi trovavo in quel luogo per presentare un libro che un gruppo di persone ha scritto per ricordare un compagno e amico lucchese che ci ha lasciato nell'aprile del 2014. Le conosciamo bene queste feste: c'è il bar, il ristorante (ottimo quello della festa), il palco per la musica, lo spazio per i dibattiti, lo stand con i libri... Quest'ultimo, oltre ai libri nuovi, si presentava anche con un tavolo dove era sistemata alla rinfusa una piccola catasta di vecchi libri e pubblicazioni varie al prezzo di un euro al pezzo.

Come mi capita sempre in queste occasioni mi sono fiondato sul tavolo e ho iniziato a infilare le mani in quella piccola collina di carta polverosa. Stavo per finire la ricognizione quando la mia attenzione è stata catturata da una pubblicazione: Giuseppe Socci, Chiesa della pace o delle stellette?, edizione Qualevita, anno di pubblicazione 1986. Sapevo di uno scritto di Beppe, o don Beppe fate voi, sul tema dei cappellani militari e della obiezione di coscienza ma, per motivi che non so spiegare, non avevo mai avuto l'opportunità di leggerlo. Questo non significa che nel periodo che ho frequentato Beppe, abbiamo lavorato insieme nel Capannone di via Virgilio per dieci anni, gli argomenti da lui trattati nell'opuscolo non siano mai stati affronti tra noi. Tutt'altro. Tuttavia quella pubblicazione, io appassionato bibliofilo, non la possedevo e soprattutto non l'avevo letta. È  inutile aggiungere che, dopo averla pagata un misero euro, l'ho infilata nel mio zaino.

Il giorno dopo con calma, ho assaporato la gioia che prova colui che sfoglia una pubblicazione trovata per caso, ma conosciuta e scritta da una persona cara, perché Beppe mi è caro. I segni del tempo erano ben presenti, ma complessivamente l'opuscolo si presentava in condizioni discrete (Luigi, o don Luigi fate voi, mi ha poi procurato un esemplare in ottimo stato e di questo gli sono grato).
Ho svolto poi una ricerca sulla rete ed ho amaramente constatato che lo scritto non è presente in nessuna delle biblioteche pubbliche toscane (neanche la Nazionale di Firenze!) mentre presso la casa editrice il titolo non è più disponibile. La biblioteca pubblica più vicina a Viareggio che ha nel suo catalogo il libro è quella di Sarzana, mentre lo scritto di Beppe è presente in altre otto biblioteche (tra le altre a Ferrara, Mantova, Fano e le biblioteche dei Seminari di Torino e Treviso) e nel Centro di Documentazione don Tonino Bello di Faenza.
A questo punto ho pensato che lo scritto di Beppe andava reso fruibile attraverso la rete, o scannerizzando l'opuscolo o copiandolo e salvandolo in formato pdf. A chi proporre il certosino lavoro di copiare il testo in bella copia? «Unire l'utile al dilettevole», ho pensato, e l'ho proposto a Stefania, da anni frequentatrice del Capannone e, come ricorda lei stessa con piacere, figlioccia di Beppe perché, insieme ad altre sue sorelle e fratelli, venne da lui presa in affidamento in un momento di bisogno vissuto dalla sua famiglia di origine. Stefania ha iniziato il lavoro di ricopiatura con serietà e dedizione, garantendo per gennaio la consegna del dattiloscritto.

Lo scritto di Beppe nasce come risposta a una lettera pastorale che il vescovo ordinario militare per l'Italia dell'epoca, mons. Gaetano Bonicelli, aveva indirizzato in occasione del Natale 1985 ai giovani che in quel momento vestivano la divisa militare (si può anche più correttamente affermare che erano obbligati a vestirla). Beppe contrastava il militarismo e pertanto era fermamente contrario alla istituzione dei cappellani militari che combatteva in nome del Vangelo (e qui mi fermo, perché non ho conoscenze e strumenti per affrontare questo argomento dal punto di vista religioso, il mio antimilitarismo ha altre origini...).
Fin dalla sua nascita Lotta come amore aveva affrontato il tema dell'antimilitarismo, dell'obiezione di coscienza e della questione dei cappellani militari con numerosi articoli. Lo stesso Beppe aveva già affrontato l'argomento con una lettera inviata alla redazione del giornale della CEI "Avvenire" che aveva pubblicato una intervista all'Ordinario militare per l'Italia nel febbraio del 1983. Nella lettera Beppe ribadiva l'impossibilità di rimanere indifferente di fronte alle affermazioni contenute nell'intervista e affermava tra l'altro: "Il mondo militare è veramente un paese da esodo, una terra dalla quale occorre uscire coraggiosamente per andare incontro al Dio vivente: la missione sacerdotale dovrebbe di continuo alimentare questa marcia verso la luce". (La lettera di Beppe non venne mai pubblicata ma la possiamo leggere sul N. 2, anno II, febbraio 1983 di Lotta come amore).

Il libro di Beppe si apre con una introduzione di Sirio Politi, o don Sirio fate voi, che propone senza mezzi termini il semplice scioglimento dell'istituzione dei cappellani militari. Prosegue poi lo scritto di Beppe, la preghiera del soldato marinaio e la lettera pastorale di Bonicelli. Conclude il libro la "passione di san Massimiliano" obiettore di coscienza. Su questo ultimo argomento vorrei soffermarmi.
Il 12 marzo del 295 a Tebessa, oggi in Algeria, il giovane ventunenne Massimiliano veniva condotto al patibolo perché aveva rifiutato di arruolarsi nell'esercito romano. Da qui la sua venerazione come santo patrono degli obiettori di coscienza. All'epoca infatti il rifiuto di arruolarsi veniva punito con la morte e il giovane Massimiliano, cosciente di questo, affrontò il martirio in nome della sua fede in Cristo. Del resto gli stessi vescovi invitavano i cristiani a non prestare servizio nell'esercito romano anche a causa dell'oppressione di cui erano vittime da parte di Roma.
Diciassette anni dopo, però, avvenne una svolta che cambiò radicalmente il rapporto tra Cristianesimo e militarismo. Nell'ottobre del 312 a Ponte Milvio, Costantino sconfigge il rivale Massenzio per divenire incontrastato padrone di Roma. Durante la notte che precedeva la battaglia, Costantino fece un sogno premonitore: avrebbe dovuto segnare gli scudi dei suoi soldati con il simbolo di Cristo per fare sua la battaglia (cosa che avvenne puntualmente). L'anno dopo, con l'editto di Milano, Costantino concedeva ai cristiani la libertà di culto. Passava ancora un anno e al Concilio di Arles, si decretava addirittura che chi non si arruolava nell'esercito veniva allontanato dalla comunione. Insomma nel giro di due decenni il martirio del giovane Massimiliano non rappresentava più un esempio: trono e altare erano uniti.
Sono convinto, tuttavia, che Beppe guardasse con profonda riconoscenza al giovane obiettore e martire, considerandolo, molti secoli dopo, ancora un fondamentale punto di riferimento per coloro che vogliono costruire un mondo di pace contro ogni forma di militarismo. Questo ha ben spiegato Beppe nel suo libro da me ritrovato.


Armando Sestani


in Lotta come Amore: LcA dicembre 2015, Settembre 2015

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