Ho incontrato Arturo verso la fine degli anni '60 del secolo scorso, quando ero giovane prete e studiavo teologia a Roma. Durante le vacanze chiedevo ospitalità a don Sirio Politi, don Rolando Menesini e la comunità di uomini e donne che si stava formando nella campagna tra Viareggio e Torre del Lago. Ancora non sapevo che avrei iniziato con loro, nella fedeltà di una amicizia senza tramonto, il mio ormai lungo cammino di fede e di vita, e vivevo gli avvenimenti della povera casa colonica in cui abitavamo con gli occhi sorpresi e curiosi di un "bambino".
La prima volta che lo vidi mi colpirono gli occhi vivacissimi, la pelle cotta dal sole eppure di seta, il linguaggio misurato e le parole scolpite. Si rivolgeva molto a Sirio, anche se con lo sguardo parlava a tutti. Seppi più tardi che c'era amicizia tra i due, o più esattamente una reciproca stima e rispetto nella libertà di ciascuno di seguire il proprio sogno nella grande e infinita storia dell'Amore. Quando Arturo dovette interrompere di colpo la sua permanenza a Roma nell'Azione Cattolica Italiana per le note divergenze sul ruolo politico dei cattolici con le posizioni avallate dal Vaticano, chiese a Sirio (allora ancora parroco a Bargecchia) di ospitarlo per un paio di mesi in canonica. Poi Arturo fu imbarcato (per allontanarlo il più possibile) come cappellano su una nave in rotta per l'Argentina. Le cronache in occasione della morte riportano questo fatto, ma non ho trovato da nessuna parte quella che, a mio parere, è stata la misura punitiva gratuita e cattiva: il divieto per lui di scendere dalla nave nei porti in cui fece scalo. Su quella nave Arturo incontrò la famiglia dei Piccoli Fratelli di Gesù e poco dopo anche Sirio chiese al vescovo Torrini il permesso di fare lo stesso percorso. La risposta di Torrini fu netta nel rifiuto: "Ho già perso un prete (Arturo), non ne voglio perdere un altro (Sirio)".
Gli incontri con Arturo si ripeterono con cadenze regolari. Ogni volta che tornava in Italia si fermava alla Chiesetta del Porto per un incontro sempre ricco di squarci di luce, di speranza, di lotta. Nella pace e nella serenità del cuore anche nei momenti storici di grossa amarezza. Quello che ci univa non era tanto il contesto sociologico del mondo del lavoro e quello dei poveri, quanto la consapevolezza di essere portatori di un messaggio che sparigliava le carte di possibili soluzioni orientate da una sia pur desiderata giustizia sociale. Adoravamo la fermentazione divina di una umanità totalmente immersa nel mistero dell'Incarnazione. Sapevamo che, senza merito alcuno, eravamo stati scelti per essere portatori della notizia di questa incredibile avventura.
In questi ultimi anni, Arturo fu accolto a Lucca a S. Martino in Vignale. Una buona accoglienza da parte della Chiesa di Lucca nella non facile gestione di una presenza, quella di Arturo, tutt'altro che rassegnata.
La differenza di passo con la maggior parte del clero e della pastorale diocesana era palese. A volte sembrava non rendersene conto, ma era solo il rifiuto della rassegnazione e la volontà di seguire le indicazioni dell'Amico come lui chiamava Gesù. E poi l'Amore non pone mai condizioni.
Luigi Sonnenfeld
pubblicato in LUCCA7 del 26/07/2015
in Lotta come Amore: LcA settembre 2015, Settembre 2015
Luigi Sonnenfeld
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