Non chiamatemi Angelo del fango
Nelle ultime 48 ore sono stata una delle migliaia di volontari che da sabato mattina spalano fango e
macerie per le strade di Genova.
Sono una di loro ma, per favore, non chiamatemi Angelo del fango.
Più che Angeli, infatti, i volontari sembrano una colonna compatta di formiche che lavora a pieno
ritmo.
Hanno un'età media bassissima: ad una prima occhiata, sembrano esserci cinque ragazzini per
ognuno di noi adulti.
Si muovono a piccoli gruppi, spesso tra compagni di scuola, e molti hanno le magliette degli scout,
della parrocchia, dell'arci, della polisportiva di calcio.
Quegli stessi ragazzini che la scuola considera contenitori da riempire, e governa con voti e note sul
diario, si muovono da soli per le strade di Genova, senza mamma e senza papà, tra macerie da
spostare, catini da riempire di fango, materiale da salvare.
Si accreditano in Municipio, consolano gli adulti che hanno perso tutto e si, si fanno un selfie tra le
rovine, perché vogliono far sapere che ci sono anche loro.
E fanno bene: in una società che non li considera, nella città più vecchia d'Italia, tutti quei selfie
testimoniano la loro voglia di esserci,di agire, di sostenersi l'un l'altro.
Dimostrano, infangati e sorridenti, il loro altruismo, la loro generosità, la loro capacità di azione.
Si chiamano Elisa, Giulia, Lorenzo e Mohammed e lavorano o vanno a scuola in uno dei molti
quartieri che questa tremenda alluvione ha distrutto.
Hanno aiutato prima i vicini e poi, con le stesse energie che questa città senza spazi li obbliga a
reprimere, sono scesi verso la zona di Brignole per aiutare tutti, indistintamente.
Si affacciano ai negozi, ai garage, alle cantine: "Siamo in cinque, abbiamo guanti e scope ma
neanche una pala. Possiamo fare qualcosa?".
Erano già migliaia a metà mattina del sabato, ed erano ancora altrettanti mentre - io che non ho più
vent'anni, nè men che meno quindici - mi trascinavo, domenica pomeriggio, sporca e infangata,
verso casa.
Hanno lavorato con secchielli e palette, scope e pentole portate da casa, perchè tra le prime grandi
assenze istituzionali, spiccano gli strumenti di lavoro.
A Genova non serve l'esercito - dicono tutti - servono mezzi.
Non chiamateli Angeli del fango, perché questi ragazzi sono arrabbiati.
Sorridono a tutti, e ridono schizzandosi d'acqua, ma - tra quelli che non studiano - uno su due è
disoccupato.
E praticamente tutti i lavoratori hanno un contratto precario, o lavorano in nero.
Chi tra loro ancora studia , tornerà martedì in scuole fatiscenti, sovrappopolate, dove nessuno li
tratterà da "grandi": grandi come invece stanno dimostrando di essere, in queste ore.
Le sovrastrutture generazionali di questo paese, e le sue scelte economiche, li contengono e li
costringono in uno spazio troppo ridotto: quello dell'assenza di futuro e di speranza.
La loro presenza nelle strade è un vero fiume in piena che bisogna saper ascoltare.
Ieri ho visto una ragazza portare un pesantissimo bidone di detriti ad un anziano operaio
dell'azienda dei rifiuti.
Dopo averlo consegnato, è tornata dalle amiche dicendo: "Mi ha detto: Grazie, come faremmo
senza di voi..!".
E mentre lo raccontava, le brillavano gli occhi.
Nella gioia di questa volontaria, credo si racchiuda l'urlo di questa generazione: "Lasciateci lo
spazio di crescere e di esprimerci - sembrano dire da dietro i visi infangati - scoprirete che siamo bravissimi. E che non potete fare a meno di noi.
Vanessa Niri
in Lotta come Amore: LcA dicembre 2014, Dicembre 2014
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455