Don Gino Piccio, prete della diocesi di Casale Monferrato, conosciuto per la Cascina G. nel comune
di Ottiglio, luogo di preghiera, incontro, dialogo e fede, ha avuto una vita lunga e ricca di
esperienze vissute nella assoluta capacità di mettersi in gioco. Prete operaio, condivideva il sistema
educativo del pedagogo brasiliano Paulo Freire. Era nato a Cuccaro il 12 settembre del 1920 ed è
morto nella "sua" cascina a Ottiglio il 12 marzo di quest'anno.
Coetaneo e amico di don Sirio fin dai tempi della Comunità di Bicchio, pubblichiamo su questo
giornalino un suo intervento a uno degli incontri di Bergamo dei pretioperai e l'omelia del Cardinale
Poletto al suo funerale.
Don Gino è l'amico di sempre. Il suo sorriso, la sua accoglienza calda e sincera, il bicchiere di vino
bianco il suo benvenuto. Sentirsi alla cascina come a casa e pensarla così anche se a molti
chilometri di distanza, da un anno all'altro.
Ma fu una ventina d'anni fa che iniziai a frequentare, salvo rarissime eccezioni, l'incontro di metà
agosto. Avevo da poco concluso un lungo periodo di lavoro in un grande orfanatrofio in Etiopia. Ne
ero uscito malconcio nel corpo ma ancora di più nello spirito. Negli anni a seguire mi furono
stampelle per un itinerario di riabilitazione alla fiducia e alla speranza due "luoghi" abitati da
persone cui devo riconoscenza infinita e frequentati da persone le più diverse.
Uno di questi "luoghi" è stata la cascina di Gino.
Negli anni '90 sono venuto spesso con don Beppe Socci con cui ho vissuto tanti anni alla Chiesetta
del Porto, poi con don Beppone Giordano con cui dividevo una fraterna amicizia. Tutti e due, per
differenti strade avevano una "antica" frequentazione di amici nella zona di Casale e quindi anche
di Gino. Ma gli incontri di metà agosto hanno sempre avuto una loro caratteristica che favoriva una
qual sorta di "contaminazione" tra le persone che li frequentavano. Tre giorni, in genere tre
"relatori". Un tema sempre molto ampio a far da contenitore e domande, discussioni, apporti a
seguire. Una breve preghiera al mattino e la messa alla sera sull'aia. Un movimentato dopo cena
animato da Gino con giochi, provocazioni, azioni che mescolavano i partecipanti e li rendevano
specchi gli uni degli altri. Un'ottantina di partecipanti venuti per ascoltare e trasformati in
protagonisti.
Intervento di Don Gino all'incontro dei preti operai nel 2008 dal titolo
"La forza della leggerezza":
Non so quanto possa interessare quello che sto dicendo.
Comincio con un episodio: gli episodi normalmente introducono bene. Una ventina di giorni fa mi
trovavo con 12 preti e due suore, in un posto molto strano. Come sapete, noi in Piemonte abbiamo
carenza di preti. Hanno per questo unito cinque diocesi con un seminario unico: Alessandria,
Casale, Asti, Acqui e Tortona. Con questi dodici preti ci troviamo una volta al mese in un incontro
cordiale, parlando un po' delle nostre cose.
Non avevamo tematiche particolari, ma un prete viene fuori dicendo: domenica abbiamo pregato
per le vocazioni, e quindi cominciamo a dire il motivo per cui non abbiamo più vocazioni e che
cosa possiamo proporre ad un giovane che vuol farsi prete. Sono rimasto meravigliato dalle risposte
e un parroco che io ritengo serio, e che non ha più trent'anni disse: "Io non ho mai avuto il coraggio
di fare una proposta simile ad un giovane". Gli chiesi allora: "Ma perché fai il prete?". Tutti zitti. "E
tu cosa dici?". Avevano capito che li provocavo in modo molto delicato, almeno io credo.
Vi faccio conoscere allora una storia strana. Io sono andato in seminario non per farmi prete. Se
qualcuno m'avesse proposto di fare il prete, mi sarei ammazzato, buttandomi giù dal ponte del Po,
che tra l'altro è molto alto. Io volevo solo studiare. A 18 anni avevo una ragazza. Ad un certo punto
caddi in una crisi terribile.
Io sono andato in seminario per studiare, in qualunque posto fossi andato non sarei riuscito. Lì mi
hanno trattato bene. Viene un prete di Rho a predicare gli esercizi e vado a parlare con lui: sono
sbottato perché ormai troppe erano le cose che si accumulavano dentro. Scoppiai a piangere e gli
dissi tutto. Quello è stato il primo uomo che ho incontrato nelle mia vita; e mi dice: "Ragazzo mio,
non uscire fuori, altrimenti devi andare in guerra (eravamo nel 1940). Stai dentro, comportati da
uomo e dopo vedrai cosa fare". "Ma io amo una ragazza". "Non importa, va' avanti". Vado avanti,
comportandomi da uomo. Cominciano poi le truculenze dello spirito: crisi su crisi, cose belle e cose
brutte.
In quel periodo ho avuto due direttori spirituali, che non mi hanno dato niente. È arrivato poi il terzo
e allora dissi: "Lo Spirito Santo forse ci capisce, li ha fatti ammalare tutti e due e se ne sono andati,
meno male!". Questo mi ha aiutato ad amare Dio, pensate, ero in prima teologia e ho cominciato
allora ad amare Dio!
Vado un giorno dal mio vecchio parroco, che io stimo ancora, e gli dico che ero incerto se farmi
prete e lui: "non aver paura, sei figlio unico, prendi tuo padre e tua madre, ti danno una parrocchia,
il pane non ti manca, fai un po' di bene e sii felice".
Esco fuori e mi dico: "Fare un po' di bene, lo posso fare, so mantenermi perché ho lavorato sotto
padrone fino a 18 anni". Fortuna volle, io dico sempre, cambiano direttore spirituale in seminario e
io dico che questo è stato l'orientatore della mia vita.
Un giorno andiamo a passeggio, per me era la truculenza delle umiliazioni: in fila, con quel
cappello in testa, io che ero abituato a lavorare in mezzo a uomini. Passa vicino a noi una coppia di
giovani e la ragazza, che era vicino a me, dice ad alta voce: "Questi ragazzi mi fanno compassione".
Porca miseria! Ma questa è come se mi avesse dato un pugno in un occhio! Torno a casa e vado dal
direttore spirituale: "Ma io sono destinato a fare compassione nella vita? Ma perché mi debbo fare
prete?".
Mi fa un discorsetto dicendo: "Forse non sei adatto per fare il prete. Non ti preoccupare, ma se ti
vuoi fare prete ti dico le cose da fare". E mi ha dato cinque consigli. Ve ne dico tre, gli altri non vi
interessano. "Prima di tutto se ti farai prete, non devi mettere i soldi in banca, perché se ti avanza
una lira, vuol dire che appartiene a qualcun altro. Seconda cosa: non prenderai mai tuo padre e tua
madre insieme, perché loro faranno i parroci e tu il vice parroco. Tu devi essere un uomo libero.
Terza cosa (ed è quella che mi ha dato il capogiro): non dimenticare, come dice sant'Agostino, che
noi teniamo dei carboni accesi nelle mani, anche se battiamo i denti dal freddo. L'ideale, se mai
dovessi fare il prete è questo. Punta in alto, ragazzo mio, tu hai un messaggio da dare, che
sconvolge il mondo: giustizia, amore e libertà. Le altre cose non interessano. Penso che poi mi dirai
qualcosa".
Esco fuori, faccio non più di dieci metri, rientro e gli dico. "Mi faccio prete". E non me ne sono mai
pentito. Io ho 88 anni, ed ho sempre pensato a questa terza cosa. Dicevo, per ritornare all'incontro
con i miei amici, "che grazia abbiamo avuto che ha vinto Berlusconì e perso gli altri, una grazia
grossa". Avessero vinto gli altri avremmo detto: "vediamo che cosa fanno". Adesso dobbiamo
rimboccarci le maniche, è ora di ripartire.
Io ho fatto un corso di esercizi con don Mazzolari: mi ha sconvolto la mente. Eravamo nel 1950 e
don Primo era venuto a Crea a farci un corso di esercizi a noi che cominciavamo un certo modo di
vita strano. Quell'uomo mi ha aperto, mi ha tolto i miei timori ed ho capito che aveva ragione. Mi
ballavano dentro delle cose a cui non sapevo dare un titolo e lui mi ha aiutato. È stata la mia prima
gioia, perché dopo ho conosciuto un sacco di gente, da padre Loew a don Milani.
Amici, voi come me, avete il carbone acceso tra le mani, niente ci può far paura, vince Berlusconi o
no, perdono gli altri, non dobbiamo aver paura. Abbiamo un grande messaggio, dobbiamo puntare
in alto. Sogno le montagne anche se ho la ghiaia sotto i piedi, continuo a sognare le montagne e
l'immensità del mare, ma credo a questo grandioso stile e messaggio di vita.
Omelia del Card. Severino Poletto al funerale di don Gino Piccio nella
cattedrale di Casale Monferrato
Carissimi,
Innanzitutto devo dire che il nostro vescovo è all'ospedale, ma è spiritualmente unito alla nostra
celebrazione e alla nostra preghiera di suffragio per il carissimo Don Gino.
Credo che sia importante questa prima parte della mia riflessione, facendo anche un po' eccezione
rispetto a quello che sono i parametri di un'omelia durante una sepoltura.
Prima di arrivare al messaggio della parola di Dio che abbiamo ascoltato, credo sia importante
pensare che tutti siamo stati amici di Don Gino. Credo che qui tutte le persone, non solo i sacerdoti
di Casale, ma anche i sacerdoti che vengono da altre parti e voi laici, che non conosco ma penso
arriviate un po' da tanti luoghi, dobbiamo riflettere sulla testimonianza di questo ormai anziano
(quasi 94 anni) sacerdote della nostra Chiesa di Casale.
Noi dobbiamo riconoscere innanzitutto che Don Gino ha ricevuto un carisma particolare da chi è
stato la guida spirituale di noi sacerdoti dell'epoca: Monsignor Moietta, padre spirituale del
Seminario. Monsignor Moietta aveva fondato un gruppo di sacerdoti per le missioni rivolte al
popolo, uniti da una forma di vita sacerdotale dedicata esclusivamente all'evangelizzazione.
Credo che, ricordando questo vescovo morto giovane a 50 anni a Nicastro, possiamo capire quello
che è stato Don Gino in tutte le sue esperienze. Perché Don Gino, l'abbiamo conosciuto, è stato un
uomo originale e creativo, originale e creativo in senso buono, perché ha sempre sentito il bisogno,
nel suo ministero sacerdotale, di inventare cose nuove, cose che magari, allora, destavano qualche
perplessità. Io ricordo, per esempio, il famoso barcone, la notte del barcone sul Lago Maggiore.
Dobbiamo andare indietro di molti anni per capire come, per attirare i giovani, per far fare
esperienze nuove nella fede e nell'adesione al Signore Gesù, inventava cose che nessuno di noi
nelle nostre parrocchie immaginava.
E credo che dobbiamo davvero vedere in questo sacerdote il desiderio di accogliere tutti, tutti! Ha
vissuto come membro di questo gruppo sacerdotale, poi è stato parroco a Santo Stefano, per un po'
di tempo prete operaio, poi ha scelto di vivere da solo nella Cascina G, che tutti voi conoscete, a
Ottiglio, fino alla morte avvenuta lunedì scorso.
Credo che abbia preceduto, in spirito, quello che Papa Francesco raccomanda: che dobbiamo andare
nelle periferie, non solo quelle in cui la gente è povera materialmente, ma nelle periferie dello
spirito. Perché Don Gino ha sempre avuto questa caratteristica: con il gruppo di giovani che dalla
prima ora si sono legati a lui e lo hanno aiutato a organizzare corsi, dibattiti, settimane di
formazione, lui invitava e accoglieva gente che veniva da tutte le parti d'Italia. E questo suo
desiderio di portare il Signore a chi è incerto o lontano è sempre stata una sua caratteristica.
La seconda cosa che sento il dovere di sottolineare della vita di questo prete, amico (amico nel vero
senso della parola), è la sua povertà. Credo che Don Gino, sia da parroco sia poi nella sua
esperienza alla Cascina "G", sia stato un uomo che ha dato un esempio di povertà e poi di vera
libertà, perché si autofinanziava, nel senso che nessuno andava a curargli l'abitazione e gli interessi,
e lui provvedeva a se stesso senza mai lamentarsi di nulla, come dice la lettera agli Ebrei che
abbiamo sentito adesso. L'esempio di un prete povero è una calamita che attira le persone, perché si
capisce che non ha interessi materiali, o di successo nei confronti della gente. Un uomo libero, un
uomo libero nella sua originalità, che nasceva proprio da questo senso della libertà che lui sentiva
nel suo cuore.
Dobbiamo ringraziare il Signore perché davvero Don Gino ha speso la sua lunga vita per
annunciare Gesù a tutti, soprattutto cercando quelli che più di altri avevano bisogno di conoscere il
Signore, i cosiddetti "lontani". Ecco perché dicevo all'inizio della celebrazione che noi offriamo
questa eucarestia a suffragio della sua anima, che è già in Paradiso davanti a Dio. Il corpo risorgerà
alla fine del mondo, noi lo sappiamo, "Credo nella resurrezione della carne" diciamo nel Credo, ma
sappiamo che ciò avverrà alla fine del mondo. Ma oltre che essere eucarestia di suffragio, è anche di
ringraziamento per il dono di questo prete, che è stato un prete di punta del Presbiterio diocesano di
Casale e quindi un prete che ha lasciato dietro di sé un grande ricordo e una grande testimonianza.
Però carissimi adesso dobbiamo anche ascoltare la parola di Dio che ci istruisce sul mistero della
morte, perché se noi guardiamo la cassa dove è chiuso il corpo di Don Gino, siamo obbligati a
confrontarci con la morte. Intanto ci possono venire in mente domande come queste: che sarà di lui?
dove sarà adesso? ci sta vedendo? Io non mi stanco mai di dire che il Paradiso non è un luogo, è
una condizione, è essere con Dio. Ma Dio è dappertutto, quindi Don Gino è qui con noi. L'anima di
Don Gino che contempla faccia a faccia il Signore così come Egli è, è qui presente insieme a noi.
Noi preghiamo per lui, ma lui intercede per noi.
Allora io credo che sia importante domandare a noi stessi come ci rapportiamo con il mistero della
morte, con i nostri morti, come con Don Gino che ci ha lasciato. Come ci rapportiamo? L'apostolo
Paolo nella prima lettera ai Tessalonicesi, che abbiamo sentito come prima lettura, dice a quei
cristiani, da poco cristiani, ai quali scrive per confermarli nella fede,: "Non vogliamo lasciarvi
nell'ignoranza, fratelli, riguardo a quelli che sono morti". Perché? Perché chi vive nell'ignoranza
riguardo alla morte finisce per non avere speranza. Non dovete continuare di fronte alla morte ad
affliggervi, come quelli che dicono che con la morte tutto è finito, perché, dice Paolo, noi crediamo,
siamo convinti che Cristo è morto ed è resuscitato, così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà
per mezzo di Gesù insieme con lui.
Credo che questo sia molto importante di fronte al problema della morte, perché ciascuno di noi
deve fare questa riflessione: come mi rapporto io rispetto alla morte, che non so quando avverrà?
Potrebbe avvenire oggi o magari tra qualche anno. Ecco, io devo essere certo che il Padre quando
moriamo ci raduna insieme al Cristo per vivere con lui.
Paolo aggiunge: "Guardate che questa cosa non ve la dico come idea mia, come una teoria
filosofica, ve la dico sulla parola del Signore. Perciò confortatevi di fronte ai morti, confortatevi a
vicenda con queste parole".
Penso che questa pagina di Paolo sia molto illuminante per noi che siamo qui a commemorare e a
ricordare Don Gino. Abbiamo inoltre letto una pagina del Vangelo. Una cosa che ho sempre notato
in Don Gino è stato il suo ottimismo, la sua gioia. Sprizzava gioia, gli piaceva scherzare, fare
battute. Non ho mai visto questo sacerdote scoraggiato di fronte ai problemi pastorali di oggi, di
fronte alla gente che volta le spalle a Dio. E' sempre stato un uomo portatore di gioia, di speranza e
di fiducia. E questo nasce da ciò che abbiamo letto nella pagina del Vangelo di Giovanni. Gesù
dice: "Io ho scelto voi, non voi avete scelto me. E queste cose le dico perché la mia gioia sia in voi e
la vostra gioia sia piena". Ecco, Don Gino è stato un prete gioioso, gioioso e convinto di essere
prete, gioioso della sua vocazione; non si è mai risparmiato, ma ha vissuto la sua missione come
dono del Signore datogli con la vocazione al sacerdozio. E' la risposta generosa che lui ha dato a
Gesù nel suo ministero.
Credo che anche l'invito del Signore: "Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato" sia il nuovo
comandamento, perché era già scritto nell'Antico Testamento che bisognava amare il prossimo
come noi stessi, ma Gesù dice: "Io vi do un comandamento nuovo". Questa è la novità, che non è
più amare gli altri come noi stessi, ma amare gli altri come Gesù ci ha amati, dando la vita per noi.
Ma chi può dare la vita? Chi muore martire. Domenica sono andato in una parrocchia della Diocesi
di Torino, a Cuorgnè, a commemorare un prete salesiano fucilato in Cina nel 1930 con il suo
Vescovo da pirati. Qualcuno è chiamato a vivere il martirio in quel modo, altri sono chiamati a
donare la vita dedicando tempo ed energie per annunziare il Signore agli altri.
Contrariamente a quello che si usa fare nelle celebrazioni funebri, ho pensato di introdurre una
lettura in più. Perché? Perché di fronte alla bara di Don Gino, di fronte alla sua vita, discretamente
lunga, di fronte alla sepoltura che stiamo facendo del suo corpo e alla unione di vita che sentiamo
con il suo spirito che è in comunione con Dio, mi chiedo: con quale idea usciremo da questa
Cattedrale ? Chi ricorda Don Gino come lo ricordiamo noi, con amicizia, con affetto, che cosa si
deve portare a casa? Qual è il messaggio che io,scegliendo questa pagina della lettera agli Ebrei, ho
voluto dare a voi, ma anche a me? Il testo prima raccomanda l'ospitalità, perché afferma che
l'ospitalità è importante, alcuni hanno accolto degli angeli senza saperlo. Ma poi, per noi, dice la
Parola di Dio: "Ricordatevi dei vostri capi, guide e pastori, i quali vi hanno annunziato la Parola di
Dio". Considerando lo stile di vita di Don Gino, perché questa parola la applico a lui, dobbiamo
imitarne la fede, "Imitatene la fede", dice Paolo. E la fede è concentrare tutta la nostra esistenza in
Gesù Cristo, che non cambia idea come facciamo noi, che un giorno siamo fervorosi, un giorno
siamo stanchi, un giorno abbiamo voglia di fare per gli altri, un giorno siamo chiusi in noi stessi.
No, dice l'autore della lettera agli Ebrei: "Ricordatevi ogni tanto di quanti hanno annunziato la
Parola di Dio". Questo è il dono grande che ci ha fatto Don Gino, ma noi dobbiamo aumentare la
nostra fede! Considerato il suo stile di vita, che ci ha dato un esempio di grande fede, dobbiamo
imitarlo. Perché? Perché Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre. Cristo ha dato la vita per noi, ci ha
amati per primo, prima ancora della creazione del mondo noi siamo stati scelti dal Padre di Cristo, e
il Signore Gesù nei nostri confronti non cambia mai idea. E siccome il suo amore è infinito e
personale per ciascuno di noi, dobbiamo corrisponderlo proprio imitando la fede di Don Gino e
ricordandoci che quando concentriamo la nostra vita in Cristo tutti i problemi trovano una
soluzione, perché il Signore non ci abbandona mai, né in vita, né in morte.
Don Gino è stato accolto nella gloria del Padre e noi siamo qui a presentare la sua vita nel sacrificio
eucaristico, perché la sua vita, unita al sacrificio di Gesù che si rende presente nel sacramento
dell'eucarestia, acquista un valore salvifico per lui e anche per la Chiesa.
Questo è quanto desideravo comunicarvi ricordando un carissimo amico come Don Gino. Vorrei
che ciascuno di noi non passasse troppo in fretta ad altri pensieri ma ricordando un degnissimo
prete, dicesse: se lui è stato capace di vivere bene il sacerdozio, anch'io nel mio piccolo voglio
vivere come lui. Se usciamo da questa chiesa con un simile proposito, il suo apostolato, la sua vita
rimarranno un grande frutto per tutti noi.
in Lotta come Amore: LcA luglio 2014, Luglio 2014
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455