Sirio e il paradosso della solitudine

Come tutti quelli che aprono una pista, don Sirio è stato profondamente solo nel suo essere avanti a
tutti, ad aprire il cammino. Fin da quando guidava per le vie della città gli scioperi operai, al giorno
in cui, come canta padre Turoldo, andò avanti il corteo, portato a spalle dai compagni. Era in
prima fila nella ricerca di un modo diverso di essere Chiesa, nelle lotte ambientaliste, nel no alle
centrali nucleari, nella scelta di stare spalla a spalla con i poveri.
A volere tracciare una linea nella sua biografia, l'essere solo è stato come un fiume carsico che
dapprima appare e scompare, per poi venire alla superfice e prendere l'andamento solenne di un
grande corso d'acqua che si avvia maestoso verso il mare. Solo, perché diverso rispetto al suo
tempo, in perenne ricerca di progettualità, condizione comune a molti, dai pionieri, agli scienziati,
agli idealisti, agli artisti..
Per lui il peso di questa condizione derivava soprattutto dalla mancanza di confronto, dalla
difficoltà di condividere sogni a cuore aperto, come amava dire. Infiammava il cuore di molti, ma
ne trovava pochi disposti a camminargli accanto e se veniva a mancare un amico era come quando
si oscura il cielo e scompare la stella polare. Si sentiva d'un tratto simile a un povero pellegrino
che cammina e cammina per deserti o un navigante su un guscio di noce a solcare gli oceani [Lotta
come Amore, ottobre 1984].
Nei primi tempi di avventura operaia, quando vive nella piccola cappella in darsena da poco
riadattata -un vero guscio di noce -soffre una penosa solitudine: qui nella mia stanzetta e nella mia
chiesetta ero proprio abbandonato a me stesso; il clero mi aveva segregato e direi quasi
emarginato, non avevo rapporti e possibilità di discutere i miei problemi, né qualcosa che mi
aiutasse a reggere questa situazione così pesante. Ero nella solitudine anche nella vita operaia
perché per giornate intere io non scambiavo una parola; tutt'al più dicevo buongiorno a
qualcuno... In quel tempo di lotta politica radicale, i preti non potevano andare per le strade senza
rischiare di essere umiliati. Però ho conservato molta serenità e pace pur vivendo un'attesa molto
penosa. [Lotta come Amore febbraio 1988]
Negli anni '60, finito il lavoro in cantiere, la sua vita è attiva come non mai: crea intorno a sé una
piccola comunità, il tema della solitudine sembra accantonato, approda alla quiete vivace della
campagna, nella mitica casa del Bicchio: abbiamo cercato per la nostra abitazione una casa da
contadini. E la stiamo rimettendo un po' in ordine con molta fatica; vi è una grande aia, una
piccola vigna e un orto che abbiamo già cominciato a coltivare: vorremmo che l'affitto che
dobbiamo pagare uscisse dalle nostre braccia. Presto poi avremo un buon pollaio e diverse
famiglie di conigli. Gli amici che abbiamo un po' dovunque hanno ormai scoperto la nostra casa
al limitare della pioppeta. Accogliamo tutti e parliamo con tutti, ma le ore volano via come il
vento. E le faccende del lavoro rimangono indietro.
In un fienile qui accanto stiamo costruendo una cappella tutta per noi. Sullo sfondo vi è un
larghissimo cristallo che accoglie la luce della nostra pioppeta. Un forte tronco di quercia porta
nella radice del ceppo il tabernacolo e nel breve fusto il Crocifisso realizzato raccogliendo da
una vigna quattro pezzi di vite. La tavola dell'altare è sopra un piccolo tino da vendemmia.
Quattro povere panche di tronchi d'albero completano l'arredamento. Tutto qui, ma credo che si
veda e si senta tutta la Fede e tutto l'amore." [Lettera ciclostilata agli amici, aprile 1966]
La comunità è una esperienza arricchente, ritrova anche le sue origini di bambino nato in un
paese di campagna. La preghiera nella cappella è fatta a più cuori, ci si attarda la sera fino a tardi.
Sempre più sembra trovare se stesso, appagato dalle novità della vita comune, dalla
responsabilità di essere motivo di ispirazione per il piccolo gruppo e gli amici che affluiscono da
tutta Italia.
Negli altri snodi della sua vita, il ritorno in città, la partecipazione alle novità degli anni '70 , i
movimenti ecologisti e pacifisti, il teatro come comunicazione, la scrittura, Sirio è preso dal
bisogno di essere dentro al farsi del suo tempo.
Eppure, in questa vita impegnata, la bussola che gli permette di non perdersi è il paradosso della
solitudine.
È solo perché unico, simile, in questo, a ogni creatura, solo in senso genuino e profondo. È se
stesso di fronte a Dio. <Ogni individuo porta dentro di sé un suono che solo lui può dispiegare
in un canto, una parola che attende di esprimersi in poesia. Se uno non componesse questo
canto, questa poesia, avrebbe fallito il suo compito nella vita.> scriveva Drewermann in 'C'è
speranza per la fede?'
Dagli anni '80 in poi, a equilibrare i continui impegni che lo portavano a parlare in giro per
l'Italia, i momenti di preghiera si dilatano e il raggio delle sue riflessioni si amplia. Ama stare da
solo, ritirarsi, passa lunghi periodi nel monastero di Camaldoli o in una piccola casa di pastori in
Sardegna.
Lentamente il paradosso prende forma: è tentato da una realtà di eremitaggio, eppure il desiderio
di una vita in comune riaffiora, e come sempre Sirio riesce a tenere saldamente insieme i poli
opposti.
Nella solitudine scopre in sé nuove risorse, si abbandona quasi come un bambino al dialogo con
Dio. È il periodo della grande innocenza, come la chiamerà più tardi, leggendo la sua vita in
prospettiva da un letto di ospedale. L'innocenza gli cantava nel cuore e lo rendeva integro,
fedele. Gli ha permesso di attraversare la vita, camminando e insieme volando. Parla di una
dimensione fiorita, luminosa, di spazio aperto, senza muri di difesa, confini e nemmeno
orizzonti. La condizione perfetta della libertà dove non c'è assolutamente niente da difendere
perché niente da perdere.
È il tempo in cui scrive Antico sogno nuovo, la sua ultima opera nella quale racconta,
trasfigurandola, l'esperienza del Bicchio e degli amici più prossimi.
Quanto che è stato vissuto e, insieme, quella che avrebbe potuto essere: dove la realtà desiderata,
ma non compiuta è per don Sirio più reale di quella esistita. Io mi sono permesso di raccogliere
la più vera realtà degli uomini e donne con i quali abbiamo vissuto una comunità di vita. Ho
osato raccontare la realtà, la più vera, della loro vita, quella cioè non esistita, ma che pure è
esistita. Il mio raccontarla è fare venire alla luce un concepimento, "come predicare sui tetti
quanto è stato detto, e con quanta passione, nel segreto". [Prefazione 'Antico sogno nuovo']
Fin dalle prime pagine il paradosso di una solitudine ariosa e di una attrazione per la vita
condotta in comune viene sciolto rifacendosi alle comunità monastiche che fiorirono in Europa
fin dal IV secolo. Il testo narra di un piccolo e singolare gruppo di uomini e donne che si unisce
per vivere insieme una vita evangelica, scegliendo di abitare.. in un eremo. Per ognuno di essi
la possibilità di accettarsi vicendevolmente e dispiegare il proprio potenziale, passa attraverso la
scoperta del vero se stessi che solo nella solitudine potevano trovare. Nella premessa del testo,
edito nell'83, l'editore Gribaudi lo definì libro d'incitamento, di speranza forte, di coraggio
ardito. E d'immenso candore.



Maria Grazia Galimberti


in Lotta come Amore: LcA dicembre 2013, Dicembre 2013

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