Casa don Beppe Socci

Martedì 14 maggio, con semplice cerimonia, è stata scoperta la targa che intitola a don Beppe Socci
la Residenza Protetta di via Comparini a Viareggio, finora conosciuta come "Arcacasa". Sono
contento che, su mia proposta, questa intitolazione abbia avuto un consenso immediato e
ampiamente condiviso sia da parte dell'associazione ARCA: Una Casa per l'Handicap, proprietaria
della struttura che da parte della cooperativa CREA che la gestisce da sempre.
Don Beppe, nella memoria dei viareggini, è strettamente legato ai portatori di handicap, in una
accezione allargata a tutti coloro che nella vita sociale sembrano destinati a rimanere indietro,
separati dagli altri da condizioni di vita che ne fanno dei "diversi".
"Indifferenti mai", un suo motto fatto proprio da CREA, nasce in lui dal sentirsi intimamente
immerso nella condizione umana che lo scuote fin nel profondo di sé: "Rimango sempre
intimamente sconvolto quando sul mio cammino quotidiano incontro qualcuno che nella sua
persona porta i segni di un abbandono, di una solitudine, di un'angoscia, di un vuoto che è
impossibile colmare" (don Beppe in Lotta come Amore, "La condizione umana", 1995).
La Residenza Protetta di via Comparini vide la luce grazie ad uno sforzo corale di tutti i settori della
società viareggina e don Beppe fu il testimonial e uno dei principali sostenitori del progetto. Essa
fu inaugurata nel dicembre del 1999, due anni dopo la sua morte improvvisa per infarto nel gennaio
del 1998.
Fin da allora la Residenza fu accostata alla figura di don Beppe e per la gente di Viareggio e non
solo, la Residenza è abitata "dai ragazzi di Beppe".
Perché allora questa intitolazione che può apparire scontata e tardiva?
Non solo per sancire un dato di fatto.
La realtà attuale, segnata da una crisi che si prolunga e non accenna ad allentare la presa sopratutto
sullo stato sociale e quindi sulla solidarietà collettiva, minaccia di travolgere le realtà, come questa
nostra Residenza, accusate di essere troppo costose e portatrici di distorsioni sugli stessi ospiti
rispetto a forme di affido o di sostegno alle singole famiglie.
Il riferimento a don Beppe acquista qui, a mio parere, tutta la sua bruciante attualità. La storia di
questo uomo mite, dalle energie mai esauste e dalla ostinata ricerca di un coinvolgimento concreto e
fattivo con gli ultimi, suggerisce una linea di pensiero e di azione che non si limiti all'ottica del
servizio. Negli anni in cui si caricò direttamente della responsabilità di quattro fratellini che non
potevano essere accuditi dai genitori, Beppe non ebbe timore di "sporcarsi le mani" con l'oscuro
lavoro di casalingo, ma seppe fare della sua casa (abitò sempre in affitto, cambiando più volte
appartamento) un crocevia di persone che dalla sua amicizia presero coraggio e idee per allargare la
pratica dell'affido familiare e della adozione in Versilia.
Ancora una volta nella storia dei bisogni e delle relazioni umane speriamo in un felice connubio tra
servizi sociali e cultura diffusa che sappia trovare, nonostante la crisi che ci attanaglia, risposte
possibili e sostenibili. Connubio che trovi nella "Casa don Beppe Socci" un punto di incontro, di
confronto e di ricerca verso forme di convivenza in cui ogni "differenza" non sia vista solo come peso e prezzo da pagare, ma come spinta verso forme più autentiche di integrazione umana.

Luigi Sonnenfeld


in Lotta come Amore: LcA giugno 2013, Giugno 2013

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