"Voglio essere seppellito con una tuta da lavoro (bianca o marrone, fate voi): perché è nella storia
dei preti operai che io mi riconosco".
Dinanzi alla sua bara era esposta quest'ultima sua parola. La storia dei preti operai nella sua radice
ultima è storia di Evangelo. È una parabola vivente sbocciata in Europa, durante la guerra in
Francia, dagli anni '50 e nel post-concilio in Italia e in altri paesi del continente. Per molti preti la
scelta ha significato un'esegesi del Vaticano II, una via per seguire l'itinerario di Gesù come appare
nei Vangeli. Parabole viventi che incarnavano un canovaccio comune, ma interpretato da ciascuno
nelle condizioni concrete e nel territorio dove si è trovato a vivere. Ascoltiamo la parabola di Beppe.
Prete da quattro anni e operaio in fabbrica da uno, scriveva nel 1971 su «La voce dei poveri»:
«Lavoro in un'officina meccanica; tra il ronzio delle saldatrici, il lamento del seghetto, l'urlo della
troncatrice e tutti gli altri rumori delle macchine che lavorano il ferro, dove passo buona parte della
mia giornata [..]. Il mio essere prete è conosciuto da tutti e non mi ha mai fatto ostacolo». Ed ecco
il punto luminoso: «debbo dire che non ho ancora incontrato nessuno che mi abbia rifiutato come
persona, che mi abbia chiuso la porta... Questa penso che sia autentica grazia di Dio e autentica
disponibilità di fondo degli uomini e che è proprio compito mio di prete di raccogliere tutto ciò e di
viverlo a fondo e farlo venire a confronto, per realizzare quel dialogo che manca, perché tutto e tutti
possano ritrovarsi in un luogo che Dio ha scelto e voluto perché in esso tutto si ritrovi nell'unità
dell'amore: e quel luogo sono io.. e lo sono nell'officina, all'altare, nel dolore e nella gioia, nella
solitudine e nella comunità».
Attorno al 2000 per alcuni anni siamo venuti a Viareggio per gli incontri nazionali dei preti operai.
Era Beppe che preparava il cenone finale, aperto anche agli amici viareggini. Dalla bontà delle cose
imbandite traspariva tutta la cura, e quindi il cuore, che metteva in questa condivisione.
Due anni fa, al nostro convegno, ci ha raccontato la sua vita nel carcere di Lucca. «Io ho rapporti
con tutti. Con un certo orgoglio dico che l'anno scorso ho avuto su domanda dei detenuti 2374
colloqui. Vengono tutti [..] Non è facile; soprattutto metterle in relazione con il dato religioso che
stimo essere mio compito. C'è un.. 55% di detenuti di fede islamica.. Sono contenti, in generale,
e ritornano al colloquio ringraziando».
Con don Gianni ho incontrato Beppe malato all'Hospice. Ci aspettava. Sorrideva con occhi
splendidi. Mi ha strizzato l'occhio, a indicare un'intesa profonda. «Sono felice», ci ha detto. E lo
era davvero. Gli occhi risplendevano e sono rimasti ridenti per tutto il tempo. Poi ha manifestato la
sua volontà di indossare la tuta da lavoro. In me e Gianni vedeva che erano con lui i preti operai, la
lunga storia vissuta insieme. Non dimenticherò mai quel sorriso e quegli occhi e il suo «sono
felice»: sigillo di una vita.
Roberto Fiorini, prete operaio
in Lotta come Amore: LcA giugno 2013, Giugno 2013
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455