Don Rolando Menesini, fabbro

Il 19 maggio 2011 è morto all'ospedale di Pisa don Rolando Menesini, prete della diocesi di Lucca, compagno di don Sirio Politi nel progetto di una vita comunitaria di uomini e donne legati dalla passione per Gesù di Nazaret e il suo Vangelo, vissuta nella Comunità di S. Maria a Bicchio in un contesto povero di mezzi e ricco di condivisione di vita, di lavoro, di accoglienza e di amicizia.
Richiesto dal vescovo di Lucca di tratteggiarne la figura, durante la messa del funerale, riporto il testo letto in quella occasione:
"Nella celebrazione della Messa, questa prima parte è dedicata all'ascolto e cioé all'intreccio tra le storie che la Bibbia ci racconta e la vita di ciascuno di noi perché prenda corpo la Parola di Dio e continui oggi la Sua storia di amore con noi e per noi.
Quindi, ciò che ora è chiesto di fare a noi, Chiesa di Lucca riunita intorno al Vescovo, è cercare di leggere l'esistenza terrena di don Rolando Menesini (come di ogni figlia e figlio di Dio che conclude la sua parabola sulla terra), perché ci aiuti a rinnovare l'incontro con il Dio che si fa creatura umana aprendoci la via dell'eterna salvezza. Come la stella cometa guidò i Magi alla grotta di Betlemme e all'adorazione del Bambino, così quelle stelle che, come Rolando, percorrono il loro arco di vita illuminando di speranza e di affetto la nostra vita umana, sono altrettante guide per noi per conoscere dove nasce Gesù oggi, in questo nostro mondo.
Don Rolando, entrato in seminario da bambino con i pantaloni corti, è passato attraverso la stessa formazione di tutti i preti, ma come è accaduto a diversi suoi confratelli ha portato nella sua vita un senso di inquietudine che nasceva da una fondamentale onestà nel porsi di fronte alla fede e alla vita
accettando la fatica di coniugarle entrambe senza cercare scorciatoie o soluzioni di comodo.
Nell'esile figura vestita della talare degli anni giovanili, i suoi occhiali d'oro (dono per la messa novella del padre e del fratello) portati con qualche imbarazzo, si manifestava, fin dall'inizio del suo ministero, la caratteristica struttura dell'intellettuale. Nutrito dalla lettura continua di libri sia di
carattere teologico che letterario, ha sviluppato da giovane una vasta cultura che gli ha aperto le grandi linee di ricerca dei problemi dell'umanità. E' stata prima di tutto questa sete di conoscere il mondo delle idee oltre gli steccati ideologici e dottrinali che lo ha portato in seguito a simpatizzare con il mondo degli ultimi, a partire dalle prostitute del Bastardo per passare attraverso le durissime condizioni di lavoro delle fabbriche degli anni '50, la vita poverissima eppure così dignitosa degli orfani di Assella in Etiopia come degli indios Guaranj in Bolivia, fino ai portatori di handicap qui da noi.
Basilare in questa formazione continua dell'uomo Rolando e quindi del credente, fu l'incontro con un medico. L'occasione venne da una malattia che colpi il giovanissimo prete mentre svolgeva il servizio di assistenza spirituale al numeroso gruppo di sfollati dal Polesine colpito da una gravissima inondazione. Gli sfollati furono ospitati in modo del tutto spartano nei locali appena dismessi della sezione "infantile" dell'Ospedale Psichiatrico di Maggiano e don Rolando, che ne
condivideva la vita, fu visitato dal medico di guardia del manicomio, il dottor Giovanni Battista Giordano. Il medico si presentò con una frase in latino; Rolando completò, sempre in latino, la citazione: fu amore a prima vista. Che neppure la morte del dott. Giordano, alcuni anni fa, ha spezzato.
Il prete incontrò lo scienziato che viveva - nella consapevolezza della scienza - il disagio della fede.
Lo scienziato incontrò il prete che viveva - nella consapevolezza della fede - il disagio della scienza. Le ispettive inquietudini invece di sommarsi, espressero il meglio della loro positività.
Rolando, incoraggiato dalla amicizia e dalla serietà del dott. Giordano, ampliò le sue letture fin oltre gli stretti limiti della disciplina ecclesiastica e imparò a guardare - attraverso i libri - il mondo oltre i sacri steccati.
Fu ugualmente un approccio di tipo culturale che, sull'onda delle letture del Cardinale Suhard e dei primi pretioperai francesi come di Charles De Foucauld, René Voillaume e dei Piccoli Fratelli, lo portò all'incontro determinante della sua vita con don Sirio Politi.
Ne scaturì un progetto di vita insieme, in una testimonianza che avrebbe unito il mondo della scuola e quello del lavoro nella piccola Chiesetta del Porto di Viareggio. Progetto ritenuto troppo ardito e di impatto destabilizzante per la chiesa locale, ma ugualmente dimensionato in una comunità di vita e di lavoro che fiorì a Bicchio tra il 1965 e il 1972 nella ricchezza di una compresenza di maschile e femminile, adulti e generazioni più giovani, vita comune e insieme libero respiro della coscienza personale.
Una pagina di storia che ha ancora cose da dire e suggerire, non solo alla nostra chiesa, ma anche alla ricerca umana di autenticità, crescita e libertà.
La morte di don Sirio il 19 (la stessa data...) febbraio 1988 (anche lui, come Rolando, non si è più risvegliato dopo un'operazione a Pisa), spinse Rolando a cercare una propria dimensione di vita.
Dopo oltre 25 anni di parrocchia a Bicchio, si traferì a Lucca e le vicende sono già più sotto i nostri occhi.
L'inquietudine della ricerca di portare avanti insieme la fede e la vita aveva dato a lui alcune risposte convincenti. Aveva potuto sentire la gioia di essere povero tra i poveri. Di poter gustare il giusto orgoglio di non campare di religione, ma del lavoro delle mani sulla linea di S. Paolo. Era davvero possibile essere uomo tra gli uomini e insieme lasciarsi plasmare dal sogno di Dio.
E come il fuoco, quando ha preso bene e arroventato le pareti del camino consuma i ciocchi anche i più grossi, ha espresso il meglio di sé nel calore delle relazioni umane, nella comprensione e nell'incoraggiamento a lasciarsi andare ai gesti semplici dell'amore e della condivisione.
Gli abbiamo voluto bene perché lui ci ha voluto bene.
Ora siamo posti di fronte alla nostra responsabilità. Come raccogliere nella nostra vita di Chiesa e in quella di credenti, tutto ciò che abbiamo raccolto e vissuto con Rolando? Come dare spazio nel cuore delle nostre scelte e dei nostri impegni alla Comunione dei Santi che ci rende una cosa sola con Rolando in Dio?
Come vivere il disagio e l'inquietudine del tempo presente perché sia - come per Rolando - spinta per una ricerca di vita, mai lineare ma sempre aperta alla speranza?
Accostiamoci all'altare e, obbedienti all'invito del Salvatore, diciamo le parole e compiamo i gesti che lui ci ha lasciati come Sua Memoria viva. Il segno del pane e del vino che condivisi, divengono il segno della presenza e dell'amore di Gesù, ci aiuti a confidare nel fatto che non è vero che quello
che sparisce ai nostri occhi, non c'è più.
La vita è continua trasformazione e a noi è chiesto di affidarci e fidarci della vita che muore per nascere e per rinascere. Fino a formare in Cristo un solo corpo, oltre ogni morire".
Luigi

L'amicizia tra don Sirio e don Rolando iniziò nei primi anni '60 e Rolando fu l'unico prete della diocesi a rompere l'isolamento in cui viveva don Sirio. Questo è il primo e uno dei pochi documenti scritti in prima persona da Rolando ne La Voce dei Poveri, febbraio 1963. In questa lettera risponde alla serie di articoli scritti da Sirio sullo stesso giornale dal titolo "Non sono povero".

Carissimo don Sirio,
da quando sono prete ho sempre avuto timore (sarà un complesso personale) nell'incontrarmi con gli operai: sempre devo far forza a me stesso se sulla "mia" strada si profila un cantiere edile. Scantonare o allungare il passo è la regola se m'imbatto, al suono della sirena, all'uscita rumorosa delle maestranze di uno stabilimento: non che tema gli insulti, attualmente rari, le parole grasse, gli scongiuri, no.
Figlio di contadini (mezzadri se t'interessa) cresciuto in rione popolarissimo, prete in Parrocchie "proletarie", ho nel sangue una certa facilità d'abbordaggio, pronto al dialogo, riesco facilmente ad essere amico di tutti. Ma un timore sofferto rimane: con loro mi sento un bleffatore a cui tremano le carte in mano. Pochi mesi or sono è morto, qui, un ancor giovane padre dì famiglia: la mamma, la moglie e tre bimbi. La silicosi, contratta in galleria, era stata la sua commenda mortale. Eravamo amici: l'ho assistito sino in fondo tremando, non solo per le sue sofferenze (lo bastavano... credimi), ma perchè, io, dinnanzi a lui mi sentivo terribilmente piccino, piccino...
In quell'agonia, tra una mamma dalla fede coraggiosa e un bimbo cosciente, ho vissuto, lentamente, ciò che tu hai scritto nel «io non sono povero». E tanti, tanti ancora, di questi nostri fratelli, quando di buon mattino (io saltuariamente, loro tutti i giorni) dividiamo il viaggio in treno,
mi salutano e parlano con me rispettosi. Noi, vedi, abbiamo sempre il rispetto, loro forse neppure questo.
Perchè ti ho scritto, don Sirio? Per dirti che non sono mai stato povero in questi, non pochi, anni di sacerdozio. Mai ho sofferto la fame (solo, da seminarista, in tempo di guerra: chi ne fu escluso?!?): che cos'è la fatica, estenuante fatica di un lavoro amaro e senza speranza? Umiliati, aspettare lungamente, per avere un po' di lavoro! Io ho una camera decente, diversi libri, la motoretta. Mai ho chiesto al mio Vescovo la più disagiata delle Parrocchie.
Sì, d'accordo, non ho risparmi in banca, faccio opere buone, non chiedo e non accetto regali e doni per me, onorari non li pretendo, non voglio nulla: ma basta?
Se ho un rimpianto è di non essere più un giovanissimo: diversa, lo spero, sarebbe la mia testimonianza di cristiano e di sacerdote di Gesù. Desiderio.. pio desiderio!?!
Purtroppo... Vangelo vivente, sale della terra, lievito, fuoco!! Se non sono povero, come l'amico Cristo desidererebbe (non lo posso, forse, o non ne ho il coraggio) permetti che rimanga un mendicante: senza onore "perchè non vai a lavorare (...vagabondo)" con dieci, venti lire gettate... denaro che nella mano pesa disprezzo, fallimento di una vita. Spazzatura della terra ci chiamerebbe Paolo Apostolo. Avrà a che fare tutto questo per il Regno di Dio? Non lo sono sicuro, ma di amare il «Fabbro di Nazareth» e tutti gli uomini, sì; non ne ho conosciuto, certamente, il giusto modo.
Solo nella Preghiera si cerca il coraggio di essere uomini senza onore. Sarò perdonato per il fatto che «vivo alle spalle di Dio e di Gesù Cristo, della Madonna e dei Santi?».
Ricordi il buon Ladrone!
Speranza, calda speranza al cuore di uno che pone ipoteche in Paradiso, il sentirsi, da mendicante, un povero Cristo qui sulla terra.
Chiedi anche, don Sirio, a che cosa approderà la « Voce dei Poveri », ma?!... So che non dà «pace» ad un povero prete di campagna che sereno, ringraziandoti, ti abbraccia.
don Rolando

in Lotta come Amore: LcA dicembre 2011, Dicembre 2011

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