Porre la domanda: Il Cristo ha un avvenire?
In altre parole: colui che viene chiamato con questo nome continuerà ad essere una delle figure di maggior rilievo dell'umanità, lo diventerà ancor di più, oppure verrà cancellato per non essere altro che la traccia di una realtà morta?
Chi pone la domanda? I cristiani? Non tutti. Sembrerebbe addirittura che la loro adesione di fede escluda che la si possa porre. Gli altri? Perché mai dovrebbero esservi interessati?
E tuttavia pare che vi siano persone per le quali la domanda ha senso. Questa figura e questa parola l 'hanno incontrata, non le ha lasciate indifferenti; esse sentono o intuiscono che la posta in gioco che vi si annuncia è di grande importanza. Forse per augurarsi la fine senza ritorno di quella fede cristiana che ha così profondamente segnato l'occidente; o per augurarsi che essa sopravviva; o che, a immagine di Cristo stesso, risorga dalla propria sepoltura.
Ma qual è il luogo naturale della domanda? Non è forse quel cristianesimo che ha veicolato fino a noi, se così si può dire, Gesù Cristo?
Che ne è di quell' avvenire? O bisognerebbe forse - ma in che modo? - dissociare il Cristo nella sua verità da quel cristianesimo che pretende di appropriarsene?
A dire il vero, la domanda fa problema, per diverse ragioni.
Anzitutto, non vi si può rispondere. L'avvenire è il segreto meglio custodito del mondo: nessuno ne sa qualcosa.
In secondo luogo, la domanda è equivoca. Che cosa si vuol dire con cristianesimo? Il vangelo? Le chiese? Tutta una disseminazione sociale e culturale?
E l'equivoco concerne il Cristo stesso: dove crediamo di poterlo cogliere? Infine, non si è neutrali. Sfido qualsiasi cittadino dell'occidente a parlare "oggettivamente" di Gesù Cristo. In forma conscia o, più ancora, in forma inconscia ognuno è in rapporto con ciò che in quell'ambito è sorto. Perché ciò che vi è spuntato ha una tale forza di sconvolgimento, una tale influenza diretta o indiretta, che si può considerare Cristo come la figura principale dell' inconscio "culturale" dell'uomo occidentale, anche là dove se ne sia spenta la memoria diretta.
Ma insomma, perché porre la domanda? Il motivo è la minaccia di scomparsa del cristianesimo e, nella misura in cui vi è legato, del Cristo stesso. La minaccia si manifesta nel fatto che il cristianesimo è in ritirata, in riflusso, che si sta disfacendo, decomponendo. Obiezione: la fede non è forse ancora viva? Non c'è forse un ritorno del religioso? Le chiese non manifestano forse, attraverso crisi e scosse (come lungo tutta la loro storia) una bella vitalità?
E tuttavia, se si guardano le cose sui tempi lunghi, è difficile negare il ripiegamento: l'iniziativa del pensiero (test decisivo) è passata altrove, la vecchia struttura dottrinaria-disciplinare si sfascia (nella chiesa cattolica il clero è al tramonto), la missione è senza fiato, e il ritorno del religioso potrebbe anche essere una minaccia più grave del vecchio ateismo, dal momento che contesta la religione cristiana sul suo stesso terreno.
Si può discutere all'infinito sulla constatazione di questo fallimento. Ma vi sono motivi sufficienti per dare del futuro una visione inquietante a tutti coloro per i quali "c'è qualcosa che non deve andare perduto".
La scelta
Proviamo a rischiare, dato che è vano sperare nella constatazione tranquilla dell'osservatore. Il futuro del cristianesimo si apre a quattro possibilità.
1. Il cristianesimo scompare e, con esso, il Cristo della fede. L'evento è stato annunciato più volte, già nel '700 e nel '800. Ebbene, ora si sta avverando. Non è neppure più l'effetto di un conflitto, di una lotta anticristiana: è un addio, uno svuotamento.
E' indolore, neppure vi si pensa più. Scomparsa. Rimangono ovviamente, i monumenti, le opere d'arte, ciò che dicono i lavori degli storici. Come per Iside e Osiride o gli dei di Babilonia. Forse ancora qualcosa sul versante dell'inconscio collettivo.
Ma la fede, la fede cristiana? Non è neppure più necessario combatterla.
2. Seconda ipotesi: il cristianesimo si dissolve. Propriamente parlando, non è distrutto; ma ciò che esso è stato in grado di portare all'umanità diventa il bene comune e gli sfugge. Così quei "valori cristiani" di rispetto della persona, di cura di chi soffre, di dignità dei poveri, ecc., così intensamente misconosciuti nelle "età cristiane" e che si stanno oggi sempre più imponendo. Anche sul versante dello "spirituale", il vangelo diventa una componente di quell'ambito immenso che l'uomo d'occidente ha così incresciosamente misconosciuto, ma di cui riscopre l'importanza attraverso le proprie miserie e nell' incontro con le sapienze orientali. Gesù può trovare posto in questo spazio, come nel pantheon induista. Maestro spirituale mirabile, uno degli anelli della grande tradizione, ma niente di più.
3. Terza ipotesi: il cristianesimo continua. Si fa opera di conservazione, di restauro, di ricostruzione; e, al tempo stesso, opera di adattamento, di adeguamento, di arrangiamento. Pio IX e Giovanni XXIII. C'è opposizione, si dice. Senza dubbio; ma rimane all'interno di uno stesso insieme, fondamentalmente immutato: un passo a sinistra e uno a destra, per poter durare nei sussulti dell' età moderna.
A tale proposito c'è tutta una "contestazione" interna a questo sistema, ma che da esso dipende molto di più di quanto creda. Un test: i problemi che pone sono essenzialmente questioni di chiesa, di "istituzione", come si usa dire; mentre i problemi decisivi sono molto più radicali: riguardano la possibilità stessa di intendere il vangelo come parola di verità, lì dove è in gioco per l'uomo il suo stesso poter-vivere.
4. La quarta ipotesi: c'è davvero qualcosa che finisce, inesorabilmente, ed è precisamente questo sistema religioso, di fatto legato all'et moderna dell' occidente e da essa molto più dipendente di quanto lo immagini; in certo senso, è davvero una fine del cristianesimo, se si tratta di uno di quegli -ismi che caratterizzano la modernità (idealismo, materialismo, marxismo... ). Qualcosa muore: e non sappiamo fino a che punto questa morte discende dentro di noi.
Comunque, questa crisi cristiana è indissociabile da una crisi molto più generale, quella che mette in questione tante evidenze e tante aspirazioni dell'uomo occidentale (nel momento stesso in cui la "globalizzazione" fa trionfare in ogni parte del mondo questo tipo d'uomo).
Dunque, a essere in questione è la fine di un mondo, proprio quando questo può sembrare al suo apogeo. C'è qualcosa che si annuncia, e non sappiamo che cosa sarà. Ma è come se fossimo sulla linea di partenza, sul limitare di una nuova epoca dell 'umanità. Per il peggio? Per il meglio? Non lo sappiamo; ma la cosa sta abbondantemente nelle nostre mani.
La domanda è: in questo luogo inaugurale il vangelo può apparire come vangelo, cioè la parola inaugurale, appunto, che apre lo spazio di vita? Il paradosso è grande, dal momento che il vangelo... è vecchio!
Ma forse il tempo delle cose che più contano non è comandato dalla cronologia; forse la ripetizione può essere ripetizione dell'inaudito, come, dopo tutto, ogni nascita d'uomo è una ripetizione banale - e, ogni volta, l'inaudito.
Se il vangelo è, qui e ora, questa parola, per tutto il resto riusciremo a cavarcela. Tutti i problemi di chiesa che tormentano i cristiani sono davvero problemi: li prenderemo in considerazione, ma potremo vivere anche senza averli risolti. Ma se il vangelo diventa silenzio al posto stesso del vangelo, allora tutto il resto è vano.
Io scelgo la quarta ipotesi
E' una scelta (in faccende come questa non' si può essere neutrali). PUÒ sembrare impraticabile, come se si volesse essere insieme fuori e dentro: fuori di ciò che che costituisce effettivamente il fatto cristiano, e tuttavia dentro e al centro. Posizione insostenibile, in effetti... posto che sia una posizione. Non può essere che un movimento; e nulla ci garantisce che ci condurrà a qualche meta. Siamo avvisati: se qualcosa resiste e sorge come fede, sarà senza la tranquillità della credenza.
Questa scelta ha se non altro il merito di andare al punto più forte, più difficile. Perché è chiaro fin dall' inizio che sarà necessario un impegno radicale: nessuna riduzione, nessun compromesso, nessun falso adattamento; né conservatorismo né concessioni: il vangelo ripreso in tutta la sua perentorietà. Non è possibile fermarsi a metà strada. Ma in uno spazio altro dallo spazio conosciuto. Al tempo stesso, vicini a ciò che sta al centro della difficoltà del mondo presente.
Si potrebbe dire, un po' banalmente, che questa è l'ipotesi più interessante. E tuttavia, non si tratta di affrontarla armati di sapere o di dottrina. Passarvi attraverso significa essere disarmati. Tutto ciò che potrei dire sarà dunque offerto a chiunque voglia servirsene, perché ne faccia ciò che gli parrà meglio. Dico qualcosa perché vi si reagisca, non perché lo si approvi e vi si sottometta. Allo stesso tempo, sono convinto che la mia ipotesi è compatibile con ogni sorta di posizioni... generalmente opposte. Paradossalmente, questo cammino può rivelarsi eloquente a questa o quella persona che si ritrovano nell'una o nell'altra delle altre tre ipotesi. Perché qui ci poniamo al di fuori delle controversie abituali.
Non si tratta di pensiero solitario: la Bibbia, con la diversità dei suoi autori, lo testimonia a sufficienza.
Un buon prelato della curia romana si lamentava con lo Spirito santo: "Spirito santo, io non capisco. Di che avevamo bisogno? Una vita di Gesù (una sola!), una dogmatica, una morale, un rituale, un compendio di diritto canonico e, per il popolino, il catechismo. Ed ecco quello che ci hai dato: quattro vangeli, e Paolo, e tutti questi libri della Bibbia così disparati!". Domanda posta a un esame di giovani studenti di teologia: formulate la risposta dello Spirito santo.
Non c'è pensiero solitario. Ma nel caso nostro più ancora: nessun pensiero garantito. Eppure, non può che trattarsi di quanto c'è di più necessario! Ecco una difficoltà notevole.
Ce ne ricorderemo.
Maurice Bellet, "La quarta ipotesi" , Servitium Editrice, 2003, pp. 15-22
da Koinonia n° 7 luglio 2003
in Lotta come Amore: LcA aprile 2004, Aprile 2004
Luigi Sonnenfeld
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