Il testamento morale di don Leandro Rossi

La Chiesa lodigiana cui appartengo non mi ha mollato, ma mi ha dato un incarico che si può tradurre così: l'avvocato dei poveri.
Di fronte alla Chiesa lodigiana e italiana che si interrogano sul vangelo della carità, per poter essere io credibile nello svolgimento del mio compito, sento il bisogno di fare un pubblico esame di coscienza.
Chiedo, pertanto, perdono ai poveri:
1. per aver difeso (come cattolico e come moralista) la proprietà privata dei ricchi che l'avevano, più del diritto ad accedere alla proprietà dei poveri, che non l'avevano.
Non conoscendo i padri della Chiesa che dicevano "se sei ricco, o sei ladro tu o lo sono stati i tuoi avi";
2. per non aver fatto autenticamente per tanto tempo l'opzione dei poveri, scambiando per retorica l' annuncio evangelico portato ai poveri, credendolo puramente consolatorio;
3. per aver fatto la carità con degnazione, convinto di privarmi d qualcosa di mio, mentre non facevo che ritornare loro per giustizia quanto era stato loro sottratto;
4. per averli resi oggetto delle mie attività di beneficenza, invece di considerarli soggetti capaci di partecipare attivamente alla loro promozione umana e sociale;
5. per aver pensato che la salvezza (nella Chiesa e nel mondo) venisse dall'alto, mentre viene dal basso: dai poveri come Cristo, dalle altre "pietre scartate che sono diventate testata d'angolo";
6. per non aver tratto tutte le deduzioni politiche dalla scelta preferenziale per i poveri, credendo di poter conciliare la scelta di centro, moderata, con l'opzione per loro. Con don Milani dovrò dire anche politicamente "non mi si può costringere a stare o con i poveri senza Dio, o con Dio senza i poveri".
Li debbo scegliere sinceramente entrambi, senza quadratura del cerchio;
7. per tutte le volte che ho fatto l'avvocato dei poveri come un avvocato d'ufficio.
E fate festa quando chiudo i giorni terreni per passare ad altra vita, quella beata.
Borgonovo Val Tidone, 31.10.1995
Don Leandro Rossi

Il saluto della sua "famiglia".
Dopo tante battaglie
per la pace infine la pace.

Il tuo sguardo segnato dalla malattia
si è rasserenato;
si è riaperto al sorriso.

E non è stata solo
la malattia a segnarti.

Ti ha segnato
la solitudine e di prete abbandonato
in una piccola parrocchia.

Ti ha ferito a sessant'anni
fare le valigie e trasferirti
in un altro territorio.

Ti ha amareggiato l'indifferenza,
ti ha offeso la grettezza
di chi ti liquidava
come comunista.

Eppure sei sempre stato
uomo di Chiesa;
profondamente sacerdote.

Hai interrotto gli studi sapienziali
e l'insegnamento dottrinale
dopo che hai riaperto il Vangelo.

L'hai riletto con gli occhi de gli umili.

Forte nella fede non hai avuto paura
ad affrontare le povertà del tossico
e dell'emarginato.

La tua casa è diventata rifugio.

La tua mensa luogo di convivialità.

Hai accolto ridando dignità,
hai richiesto il rispetto
per restituire affetto.

Ti sei arrabbiato,
hai urlato ed imprecato
perché volevi il meglio
da ognuno.

E poi hai consolato
ed asciugato le lacrime
perché invece arrivava il peggio.

Con fatica hai sfidato
il tuo temperamento sanguigno
per arrivare alla mitezza,
ma l'opera è rimasta incompiuta.

Ti sei nutrito della povertà
e l'hai vissuta come valore
in contrapposizione
alla decadenza della ricchezza.
Hai amato la pace,
sfidando opportunismi politici
e strane coalizioni.

L'hai urlata in piazza,
l 'hai predicata in chiesa,
l'hai vissuta ogni giorno.

Non sei stato un uomo fortunato,
ma non per questo infelice.

Sei stato appassionato,
talvolta testardo,
hai combattuto ed hai lottato
per ciò in cui credevi.

Adesso riposati Leandro,
altri proseguiranno.




in Lotta come Amore: LcA novembre 2003, Novembre 2003

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