Cara Roseta

Cara Roseta, ieri ti abbiamo accompagnata alla tua ultima dimora. E mentre ripercorrevo la strada verso casa, ho pensato come ci aveva suggerito don Luigi, a quale storia si era conclusa. Anzi, per usare le sue parole, quale "seme" eravamo andati a seppellire ai piedi degli ulivi di Caprona. Un seme nato sotto gli ulivi dell'Albania e sepolto sotto gli ulivi della Toscana. Già, l'ulivo è il simbolo della pace e tu l'hai cercata la pace nella tua breve vita: una vita dura e travagliata, come quella di tante ragazze albanesi.
Ricordo quando ti ho conosciuta sette anni fa. Don Beppe disse che eri arrivata nella casa di accoglienza come un uccellino impaurito: non parlavi e non si sapeva nulla di te, se non che ti facevi chiamare Roseta. Come per altre storie simili alla tua, era un nome inventato per costringerti a restare in quella sfera dell'anonimato dove si consuma la moderna schiavitù. Com'eri giunta fino a noi? Il tuo racconto, quando potesti parlare, era assai confuso, ma diceva chiaramente la povertà, la crudeltà, il tradimento. Il tuo nome vero lo abbiamo appreso più tardi, quando le ricerche hanno appurato che tuo padre era morto e la mamma si era allontanata dal luogo dove abitavate, senza lasciare traccia. Notizie che hanno aggiunto altra sofferenza ad una vita già provata e da reinventare in un paese che non era il tuo.
E così hai iniziato un percorso che io ho seguito da lontano, con qualche incontro in occasione di una festa, di un compleanno, di un invito a visitare Firenze. La tua storia si è dipanata tra Viareggio, Como, poi nuovamente Viareggio ed infine Uliveto Terme dove alla tua identità di Roseta Ismete Dajlani si è aggiunto il nome di Maria, in occasione del tuo battesimo, quando già il male ti stava assediando.
Se la morte non chiude la storia, come si legge in Lotta come Amore, quale consegna lasci a noi che abbiamo cercato di condividere, chi poco e chi tanto, la tua esistenza? In chiesa, accanto agli oggetti a te più familiari, c'era la fotografia di don Beppe. Uno dei ricordi più vivi che ho di te è quel tuo lavorare a impagliare le sedie nella bottega di Beppe e mi piace pensare che ora siete di nuovo insieme. Ma quel lavorare semplice, operoso, in quella stanzetta in Darsena mi richiama sempre, e maggiormente ora che non ci sei più, a cercare prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia perché la vita vale più del vestito e tutto il resto ci sarà comunque dato.
Il tuo bilancio appare largamente deficitario dal punto di vista umano, ma noi non conosciamo il bilancio vero, quello che Dio tiene per tutti noi. La tua breve vita è stata importante per chi ti ha conosciuto: lo testimoniava la presenza di tanta gente per l'ultimo saluto.
Addio Roseta, ci ritroveremo, spero, in un mondo dove non esistano più vittime e carnefici. Nel frattempo prega per noi perché usiamo bene il tempo che ci resta da vivere.
Con affetto.

Franco Brogi
Via Kiev 28
50126 Firenze


in Lotta come Amore: LcA maggio 2003, Maggio 2003

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