La posta di fratel Arturo

Queste foto di Laura Gori hanno svegliato in me molti ricordi e hanno messo in crisi un atteggiamento di rifiuto che ho portato dietro tutta la vita. Non ho mai posseduto una macchina fotografica né ho mai pensato a costruire un album di foto. Peccato! Mi sono detto, guardando questi volti boliviani!
Ho avuto la possibilità di soggiornare per tempi più o meno lunghi in tutti i paesi dell'America latina, dal Messico alla Patagonia, a Puerto Mont nel sud del Cile. Non so se mi sarà concesso un ultimo spazio di vita, per sfogliare pazientemente un album rivedendo volti e luoghi , lasciando cadere qualche lacrima senile sul passato. Francamente non lo desidero. Sto leggendo un bel libro che cita un testo francese dal titolo L'avvenire della vita, scritto una ventina d'anni fa da Jacques Attali, un sociologo che afferma: "dal punto di vista della società è certamente preferibile che la macchina umana si fermi brutalmente piuttosto che lentamente si deteriori". Sottoscrivo cancellando questo "brutalmente" perché prevedo che il passaggio non sia mai brutale se guidato dalla speranza dell'incontro.
Ma, tornando alle foto, devo riconoscere il loro potere evocativo. La Bolivia è uno dei paesi che è restato molto vivo nella mia memoria. Rivedo quella mattina invernale, seduto su uno di quei camion traballanti, avvolto in un poncho, attraversando lentamente per una lunghissima strada non asfaltata, una superficie bianca, che mi dava l'impressione di essere perduto in un deserto, senza punto di arrivo. Mi trovavo in un gruppo di famiglie indie con molti bambini, e pareva che il paesaggio stesso, con quella bianca uniformità, imponesse silenzio ai viaggiatori. Quei volti impassibili mi hanno sempre raccontato col loro silenzio la lunga storia di oppressione, di povertà, la rottura davvero brutale della loro storia, avvenuta con l'apparizione delle caravelle spagnole che aprirono il cammino ad altri marinai che venivano dall'Europa in cerca di oro. Ricordo l'accorrere degli animali dell'altopiano, i lamas, le vigogne, tutti i donatori della lana per tessere i ponchos. Parevano convocati dal rumore del nostro camion che avanzava lentamente rompendo il silenzio con il chiasso che fanno i motori scassati che, per compassione dei poveri, continuano a prestare servizio. Questi animali, incuriositi dalla novità che rompeva il bianco silenzio dell' altipiano, arrivavano correndo al margine della strada e ci guardavano, silenziosi come i miei compagni di viaggio. Ricordo i lamas andini che alzavano la testa interrogando: chi siete? cosa volete da noi?
Mi facevano sentire un intruso in questo altopiano in cui riuscivo a respirare con fatica, masticando le amarissime foglie di coca che un indios compagno di viaggio mi forniva, tirandole da un sacchetto attaccato al suo ventre. Mi chiedo se hanno offerto il modello ai turisti per nascondervi i dollari.
Ho ripensato ad Ayaviri sul lago Titicaca, dove arrivai dopo l'affascinante visita al Cusco, il cuore della storia e della cultura india. Il centro del mondo è qui, vi dicono gli indigeni del luogo. Ricordo quella sera in cui, annunziando la Parola, mi accasciai improvvisamente creando scompiglio.
Si accorsero subito che non ero morto - era l'effetto dell' altitudine - e mi curarono insegnandomi a masticare foglie di coca. Quando scenderà in pianura - mi avvisò un medico belga - lasci la coca, per non diventare un tossico dipendente. Non sarebbe stata una bella conclusione, ma l'esperienza mi servì per capire come nessuno è tanto lontano da quelli che spesso condanniamo come viziosi. Come dimenticare la lenta navigazione su quel lago mediterraneo fra il Perù e la Bolivia? Il lago avrebbe tanta storia da raccontarci, quella che è restata muta finché non apparvero grandi scrittori della nostra epoca come Manuel Scorza, Rulfo e tanti altri che portarono alla luce un'America latina sconosciuta. Ma voi siete peruviani o boliviani? - chiedo ai pescatori con cui mi trovo a passare la notte. Mi guardano fra loro sorpresi da una domanda cui non hanno pensato. Mi sono sentito vergognosamente europeo. E' il loro habitat, è proprio necessario tracciare una frontiera?
Scrivendo queste righe per presentare la pubblicazione di una amica a me molto cara, ho riflettuto sul senso delle immagini. E certo che conservano impressioni provate di fronte a paesaggi e negli incontri con persone diverse dalle abituali, e dicono molto sulla persona che le ha fissate sulla pellicola. Perché ha scelto quel volto rugoso? Perché ha ritratto quei piedi scalzi che raccontano la fatica di cercare una terra che sta sempre oltre, che ti permette solo una sosta e ti spinge a seguire il viaggio e forse troverai quella che ti è stata promessa.
Le foto di Salgado raccontano l'America latina come ce l'ha raccontata Garcia Marquez. Forse la generazione attuale è capace di comprendere l'immagine più dello scritto.
Io appartengo alla generazione concettuali sta dello scritto. Eppure sarei capace di passare una giornata intera contemplando la deposizione dalla croce del Pontorno, nella chiesa fiorentina al di là d'Arno, vicina al Ponte Vecchio.
Forse le foto contengono un gemito che voglio sfuggire, quello dei distacchi che Carlo de Foucauld chiamava l'eloiguement, l'allontanarsi, definendolo come "ma grande, ma vraie douleur". Anch'io potrei definire queste separazioni come il vero dolore. E allora preferisco non fissarle in immagini ma portarle con me, in una dinamica di vita in cui Messico, Argentina, Bolivia, Cile e... l'America latina, diventano quel mondo che l'amorosa Provvidenza ha aperto ai miei passi come lo spazio dove gridare il Vangelo con la vita, secondo la descrizione di fratello Carlo.
Ti auguro, cara Laura, che le tue foto raccontino agli italiani la storia di un continente, quella storia che è speranza nella vitalità di quei bambini il cui slancio è stato fissato dall'obiettivo della tua macchina. È appello e invito alla solidarietà nei volti marcati da una vecchiaia precoce e ingiusta. Credo che in questo momento storico, il miglior contributo che possiamo offrire al nostro occidente avviato al suo tramonto è un'offerta di solidarietà. O ci salveremo insieme o insieme periremo.
Sono sicuro che il tuo viaggio non è stato di turista, e allora le foto saranno un invito alla solidarietà. E con te voglio sperare che questo ideale guidi specialmente i giovani che oggi varcano facilmente gli oceani, alla ricerca di spazi di più ampio respiro. Via dall'occidente, ha scritto Alberto Azor Rosa, ma col cuore aperto ad accogliere il veramente nuovo.

Fratello Arturo



in Lotta come Amore: LcA maggio 2003, Maggio 2003

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