L'altro da evitare

E' appena iniziato aprile quando mi accingo a scrivere queste righe di presentazione del primo numero del 2003. Un po' tardi, per questo primo numero, se penso che mi leggerete - se tutto va bene - a maggio inoltrato. Qualcuno si chiederà se c'è ancora vita qui, alla Chiesetta del Porto. Scricchiolii, segnali di fatica se non proprio di smarrimento li avete potuti leggere nei numeri precedenti. Dubbi espressi senza troppi veli sulla possibilità di andare avanti con questa pubblicazione, dal momento che le energie sembrano essere arrivate al lumicino. Ma, nel frattempo, mescolati ai dubbi e alle incertezze, so di aver espresso anche timide speranze, accenni di fiducia, indicazioni di un cammino ancora tutto da scoprire. Per quanto riguarda Lotta come Amore, continuerà ad uscire e dal prossimo anno, se dio darà vita, conterrà un filo di ricerca meno episodico e improvvisato.
Il ritardo di questo primo numero è dovuto a vari fattori, oltre la mia proverbiale pigrizia e lentezza. Ma il fatto indicibilmente più importante e doloroso insieme, è stata la morte improvvisa di Sauro Mallegni. Da dieci anni Lotta come Amore prendeva forma nel suo laboratorio di serigrafia e i vari pezzi e pezzettini venivano da lui pazientemente "incollati" sul computer per trasmetterli poi direttamente alla tipografia. Ci incontravamo tre o quattro volte per riversare gli scritti nelle pagine, tentare un'ultima correzione, cercare di far quadrare il tutto, i titoli, i "blocchetti", le foto. Lavoro puntualmente intervallato da buoni caffè preparati all'impronta su un fornelletto elettrico e da continui accenni di discussione tra la mia intransigenza nel seguire la "gabbia" impostata da Elisabetta Tizzani e il suo occhio che gli suggeriva altre soluzioni. Accenni di discussione sempre "in punta di forchetta"; e finivamo presto per rifugiarci nei rispettivi ruoli, io del cliente che ha sempre ragione, lui dell'esecutore che si rassegna a tale regola. Concludevamo con alcune frasi rituali rimandando alla prossima, e sempre con reciproca soddisfazione. La malattia che ha pesato su tutta la sua vita aveva provocato situazioni difficili negli ultimi due anni e spesso l'uscita di Lotta come Amore teneva conto dei momenti di intervallo tra crisi di differente portata. Sembrava quindi difficile riprendere i fili di una impostazione sul computer che praticava e conosceva solo lui. Ma, se leggere queste righe, lo dovete anche alla figlia Stefania c ha preso in carico la serigrafia e un giorno ha "osato" con me accendere il computer e tentare di recuperare questa "memoria".
Ho raccolto, in questo numero, le tracce di letture corrispondenze, contributi ricevuti in questi ultimi sei mesi. La tragedia della guerra in Iraq, prima di tutto, mistificata, a cose fatte, da azione missionaria per la democrazia, dopo aver tentato in tutti i modi di giustificarla per impedire a Saddam Hussein di mettere in pericolo il mondo intero con le armi di distruzione di massa presunte in gran quantità dal CIA mentre gli ispettori ONU sembravano non volersene accorgere. Potete leggere nelle pagine centrali di questo numero un intervento, durante u delle tantissime fiaccolate per la pace svolta a Narni, pubblicato nel bollettino telematico "La non violenza in cammino", foglio di approfondimento del Centro di ricerca per la pace di Viterbo, diretto da Peppe Sini (e-mail nbawac@tin.it).
E, di seguito, la "Lettera all'umanità" scritta dall'insegnante Vincenzo Zamboni di Verona, lettera scritta alla fine dello scorso anno che termina con l'angosciante interrogativo: "se ci sarà una nuova guerra, quante generazioni ne porteranno le ferite?". Il fatto nuovo comunque, nel panorama mondiale, non è stata tanto la guerra (soluzione dei conflitti umani ancora definita "necessaria") quanto lo "strappo" degli USA nei confronti dell'ONU: da quest' anno è ancora più evidente che c'è un popolo solo che si fa interprete delle aspirazioni e dei valori dell'umanità; quello americano. I suoi governanti l'hanno portato ad essere dotato del 50% di tutto l'armamento esistente sul pianeta. Gli altri popoli si dividono il restante 50%. Come a dire che in una ipotetica guerra uno scontro bilanciato potrebbe essere Usa contro tutti. E per quanto l'antiamericanismo vero o presunto tale sia montante, occorre porsi anche la domanda sui perché l'America indossi volentieri l'uniforme di "poliziotto del mondo". Nonostante la presenza negli Usa di un movimento pacifista interno articolato e diffuso, capace di una elaborazione teorica affatto superficiale e di una severa autocritica del loro sistema di vita insieme ad una prassi di resistenza e interposizione di cui è esempio Rachel Corrie, la giovane uccisa spietatamente da una ruspa israeliana mentre cercava di opporsi come "scudo umano" per evitare la distruzione di case palestinesi di cui pubblichiamo stralci di corrispondenza.
E forse questa è la parabola più attuale; e cioè la storia indicativa di un atteggiamento profondo tra chi ha bisogno di "distruggere" per affermare se stesso nella "ricostruzione" e chi accetta il rischio di essere "distrutto" perché sia possibile il sogno di una "costruzione" dell'umanità a più mani.
Parabola che la Chiesa sembra incarnare mettendo ancora una volta in risalto la sua duplice e contrapposta natura. Di colei che è chiamata insieme "santa e peccatrice". Da una parte il forte richiamo del Papa contro la guerra, dall'altra nemmeno l'ombra di un ripensamento rispetto alla collusione con le armi nella struttura delle diocesi "militari" e dei suoi cappellani inquadrati nell' esercito con i gradi da tenente a generale. Da una parte il forte richiamo ai diritti umani, dall'altra i processi canonici che sembrano aumentare nei confronti di teologi con condanne "con suprema e inappellabile decisione senza alcuna facoltà di ricorso" cioè a dire, senza difesa né possibilità di appello. Come nei confronti di Franco Barbero, prete a Pinerolo, di cui pubblichiamo una lettera alla "Cara mia chiesa". Davvero "l'altro resta irrimediabilmente un altro da evitare, da scansare quando non addirittura da combattere", come scrive Umberto Galimberti in un intervento riportato in ultima pagina. Scritto che termina con un interrogativo "pesante": "E se l'età moderna, che ironicamente ha preso avvio proprio dalla scoperta dell' America, nel secolo in cui si celebrava l'umanesimo, fosse contrassegnata dal misconoscimento dell'uomo, dal suo mancato riconoscimento?" .
Alcuni scritti di questo numero di Lotta come Amore "rispondono" in un certo senso a questo interrogativo aprendo tre percorsi differenti, tre piccole-grandi schegge di luce.
La vita breve e sofferta di Roseta, una delle tante ragazze albanesi approdata sulle nostre spiagge, ci ricorda il silenzioso intreccio di storie tanto differenti in una ricerca, sempre parziale e spesso sbriciolata, di esprimere un percorso diverso attraverso la solidarietà umana. Lo ricordava Franco Brogi con uno scritto di un anno fa, subito dopo il funerale di Roseta, e che oggi pubblichiamo rinnovando insieme il dolore e la speranza.
Arturo Paoli ci introduce in un paese, la Bolivia, scosso oggi da sommovimenti affogati nel sangue nell'assoluto silenzio della stampa e delle tv. E introduce il bel libro fotografico di Laura Gori sulla popolazione Guaranj dispersa in piccolissime comunità, ai limiti della sopravvivenza. Con loro, presenti da anni e coinvolti nella scuola e nella salute, due amici francescani, Ivano e Tarcisio. Il ricavato del libro va interamente a sostenere la scuola infermieri di base guaranj. Chi desidera ricevere il libro può richiederlo a Lotta come Amore inviando (come crede e riesce) 15 euro (comprensivi di spese per la spedizione).
Infine, una preghiera per il tempo della vita in cui alzare il capo e guardare lontano diventa più difficile: la preghiera, venata di sottile ironia, di una monaca inglese del 1700 per avere un cuore giovane.
Vorrei far mia, soprattutto, la parte finale di questa preghiera: "Rendimi capace di scoprire il bene in luoghi inattesi e qualità in chi non te l'aspetti. E concedimi, Signore, la grazia di riconoscerlo apertamente" .
Lo vorrei a partire da questo inizio dell'ultima parte della mia vita. E non solo come aspirazione interiore, desiderio spirituale. Anche come pista concreta di ricerca. Sto cercando di preparami a questo "viaggio" , che mi pare richieda assai poco bagaglio e libertà di movimento, attraverso l'uscita da quelli che sono i miei impegni di lavoro sia pure a diverso titolo e diverso carattere: quello nella cooperativa sociale e quello di parroco. Vorrei ripartire da "me" e dalla "Chiesetta". A volte questa mia decisione mi appare in una luce "folle". Sono. due situazioni, quelle dei questi due miei "lavori", che mi richiedono energie, certo. Ma devo riconoscere che mi danno anche molto; molto di più di quanto io vi investa. Ci sto bene dentro. E quindi porto con me la perplessità che sia una sorta di pazzia lucida quella che mi spinge a lasciare queste due realtà composte da persone con le quali spesso ho relazioni tutt'altro che banali. Alla mia età bisogna cominciare a diffidare di sogni giovanili che possono essere dettati più da una inutile resistenza all'idea di invecchiare che da vera vitalità e desiderio di ricerca!
Ma, nonostante queste perplessità che non mi abbandonano, ho già compiuto i primi passi concreti e, se tutto va bene, l'anno prossimo sarà decisivo in questo senso. Ora vivo l'ansia del passaggio, del "non più" e insieme del "non ancora". Mi pare di non avere più un'identità, dopo anni spesi in una attenta opera di distinzione e puntualizzazione per evitare, almeno a certi livelli, la confusione tra il ruolo sociale di parroco e quello di lavoratore. Mi sembra di muovermi ormai trasversalmente, senza curarmi troppo dei panni di cui la gente mi veste e cercando, nello stesso tempo, di indossare un abito meno onnicomprensivo di un grande mantello simbolico di cui mi sono sempre un po' lasciato volentieri rivestire; un abito di forma non solo più attillata e snella, ma anche più alla mia misura.
Sono convinto, comunque, che questa mia ricerca non sia essenzialmente una giustificazione per il pensionamento o per quello che una volta si definiva come "rientrare nel privato". Mi pare che oggi la dimensione personale possa costituire una vera risorsa per cercare di aprire strade nuove per una dimensione asfittica e spesso rantolante della dimensione sociale e pubblica. Non il rientro nel privato, ma il metter al centro le differenze, a partire da quelle personali, perché oggi non accada, come scrive ancora Umberto Galimberti, quello che è avvenuto all'epoca della scoperta-conquista dell' America, quando "nessuno di fronte all'uomo, riconobbe l'uomo".


Luigi


in Lotta come Amore: LcA maggio 2003, Maggio 2003

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