Inizio a scrivere il mattino di una domenica fresca e serena. Una libecciata ha steso un tappeto di foglie secche intorno alla Chiesetta. Gli alberi si spogliano del loro vestito e l'azzurro del cielo illumina e riscalda il cuore. L'autunno è un meraviglioso sussulto di vita,
Lo spettacolo di un tramonto che riconcilia con l'attesa, il non ancora, il perdersi per sperare di potersi ritrovare, il gesto ampio e fiducioso della semina nel pianto che porta in se la traccia della gioia di un prossimo raccolto.
Sento crescere dentro di me la fiducia di portare una spinta per la vita e la tristezza delle foglie secche non riesce a soverchiare la ricerca umile e sempre fin troppo timida di gemme ancora nascoste - forse sarebbe meglio dire protette? - dalla ruvidezza un po' sclerotica del mio modo di essere. Anche rispetto a questo foglio avevo lasciato trasparire, nel primo numero di questo anno, un qualche ripensamento.
E mi sono chiesto se era meglio una onorevole resa rispetto al passare degli anni, alle energie decrescenti anche in termini economici.
Poi l'incontro con due "vecchi" (giovani da tanto tempo, direi) come Ivan e Arturo, ma anche una spinta interiore insopprimibile hanno portato alla decisione di guardare in faccia l'onda e tenere il timone della mia barchetta il più fermo possibile verso il mare aperto. Continueremo così a sentirci almeno due volte l'anno e forse qualcosa di più. Una buona spinta in questa direzione me la danno quei lettori che fanno sapere, nei modi più svariati, di essere contenti di ricevere questo foglio, lo sostengono con liberi contributi e invitano "la chiesetta del porto" a vivere ancora, cercando di navigare nelle acque affatto facili di questo nostro tempo.
La evidente stretta economica, le nuvole di una politica pasticciona e, soprattutto, di guerra che soffiano tesi da una America tutta presa dal ruolo di superpoliziotto del mondo non aiutano alla fiducia e spingono con forza inarrestabile verso una sempre maggiore passività e inerzia. Mi sembra che anche la Chiesa nelle sue correnti maggioritarie non si curi troppo di essere al servizio del lievito di libertà e autenticità della persona umana, ma preferisca "approfittare" della confusione delle coscienze per rilanciare la cultura delle opere, dell'attività finalizzata a impegnarsi "per" gli altri, piuttosto che "con" gli altri, rinunciando al mettersi in questione, ponendo I'accento sul possesso della fede e della verità piuttosto che sull'ascolto e il confronto. La crescita di importanza dell'Opus Dei è innegabile; sia ai livelli vaticani che delle diocesi. Il messaggio del nuovo santo che dell'Opus Dei è stato il fondatore, è intriso di virile determinazione per realizzare una storia conquistata ai valori della religione cristiana attraverso la costruzione di una rete di interessi di persone e di gruppi a prevalere sugli altri.
Continuare a lottare in campo aperto contro schieramenti così ampi e organizzati è possibile solo là dove esistono spazi già strutturati secondo criteri alternativi alle logiche della omologazione e dell'uniformità. Altrimenti, e questo è il caso di molti di noi, non resta che una via di resistenza basata su iniziative strettamente legate alla vita quotidiana, ai mille piccoli rivoli attraverso cui può scorrere nuova linfa per nuova vita. Ma davvero questa scelta considerata comunemente come residuale e di basso profilo, è soltanto l'osso che si può concedere al cane? Credo che una delle trappole più micidiali in cui veniamo catturati è l'idea di trovare soluzioni diametralmente opposte, ma della stessa caratura di quelle che combattiamo. Il nemico finisce per vincere anche là dove sembra soccombere se ci convince a operare sulle sue stesse lunghezze d'onda invertendo solo l'intenzione sorretta da buoni propositi. Occorre liberarsi da un supposto primato dell'etica, o meglio da un'etica fine a se stessa. Come se per sconfiggere il male fosse sufficiente stendere un velo di bene sulla stessa realtà; anche se questo è fatica tutt'altro che facile e molte volte è arduo tentativo di sforzi eroici da parte di anime capaci di sacrificare tutto per il bene di tutti. Il cammino di conversione per le persone come, per analogia, per le strutture passa attraverso una rinnovata semina e quindi l'esperienza di ciò che non è ancora, di ciò che deve attendere e prender forma a poco a poco nell'oscurità e nell'umido intreccio dell'indistinto, attraverso un comune e sempre nuovo ascolto e discernimento.
Vorrei avere il coraggio, da questo punto della vita, di lasciarmi andare dietro sussurri che appena percepisco nel rumore delle cose di tutti i giorni, ma che se accolti e custoditi possono diventare grida. Sento che ciò che mi frena è la paura del vuoto, la sensazione di potermi trovare immerso nella vita senza quei punti di appoggio e quei riferimenti di saggezza e concretezza che finora mi hanno accompagnato. Intuisco quanta fragilità mi appartiene e assai poca voglia di uscire allo scoperto anche solo nei confronti di me stesso. E mentre scrivo queste cose mi rendo conto che non sto parlando - che so io, - di uscire di casa e andare a vivere per la strada come un barbone o di andare in Iraq a condividere la paura di tanta gente comune o rispondere ad una delle tante sollecitazioni a terminare i giorni della mia vita in qualche angolo sperduto e dimenticato del pianeta. No, niente di tutto questo. La paura delle paure, stante la decisione personale di uscire dalla sostanziale apatia dei nostri giorni, è di rendermi conto che posso governare la mia vita, che ho ancora dei residui di libertà da spendere, che i giochi non sono tutti fatti, che non è così e basta. E quindi di constatare di persona che è l'ora di farla finita di nascondermi dietro la scusa dei tanti limiti e di affrontare sul serio a testa alta la vita nei suoi aspetti più semplici e "banali", nelle sue dimensioni quotidiane. Là dove il gesto eroico non consiste nel far fronte a chissà che cosa, ma ad essere capace di semplici gesti da signore, cioè da uomo libero, padrone delle proprie decisioni e scelte qui, oggi e subito.
Vorrei affrontare questa paura con maggiore determinazione di quanto l'abbia fatto in passato, vestendo un "abito" nuovo e cioè assumendo nuove abitudini di vita che meglio corrispondano alle esigenze di questo passaggio. Capisco di più, quando mi trovo a prendere in braccio bambini piccolissimi per il rito del battesimo, il simbolismo della veste bianca che viene consegnata. Un "abito" da conservare immacolato non perché la vita non possa macchiarlo, ma perché la vita di ciascuno di noi possa contare sempre su questa risorsa e potersi via via rivestire di nuovo di abiti immacolati su cui poter scrivere le tante pasque della vita umana, gli infiniti passaggi per crescere alla vera misura di uomini e donne.
Luigi
in Lotta come Amore: LcA novembre 2002, Novembre 2002
Luigi Sonnenfeld
e-mail
tel: 058446455