Lettera aperta a Bush

Caro signor Presidente,
sono un ex -sergente dei marines che ha servito bene il suo paese ed è stato congedato con onore nel 1970. Non ho mai scritto una lettera del genere e spero che in qualche modo riuscirà ad arrivarle attraverso i filtri burocratici.
Come ogni altro americano, sono sconvolto dalla morte e dalla distruzione di cui siamo stati testimoni l'11 settembre. Abbiamo subito un attacco orribile e troppi di noi hanno sofferto e sono morti.
Rattristato e disgustato dalla carneficina, so che anche lei sta soffrendo con le vittime e le loro famiglie. Posso sentire la sua rabbia e la sua frustrazione come il suo desiderio di una rappresaglia attiva. Lo capisco bene. E' una reazione naturale e giustificabile a un tale odioso atto criminale.
Tuttavia vorrei consigliarle di procedere con cautela. Un errore da parte nostra potrebbe allargare facilmente la spirale della violenza.
Signor Presidente,
lei ha oggi una opportunità storica per dimostrare che gli Stati Uniti sono più che una potenza economica e militare da temere. Può mostrare al mondo che gli Stati Uniti sono anche un paese civilizzato nel quale si può aver fiducia perché segue la legge, guidato dalla saggezza e dalla compassione. Le chiedo di usare tutti i mezzi legali a sua disposizione per scoprire chi ha perpetrato questo crimine orribile e per assicurarli alla giustizia di fronte al tribunale appropriato. Che trovino davvero la giustizia che il mondo attende e di cui ha bisogno.
Ma la prego: non lasci che una sola vita innocente - americana, israeliana, palestinese, afghana o altra - vada perduta.
Troppo spesso le nostre armi hanno spezzato vite innocenti. L'eufemismo militare è "danni collaterali", ma in realtà si tratta di omicidio. Quale diritto possiamo rivendicare che ci consenta di spezzare altre vite innocenti? Non è anche questa una forma di terrorismo? Dobbiamo abbassarci al livello di quelli che hanno fatto l'attacco al World Trade Center o dobbiamo restare in piedi?
Lei ha scelto di descrivere questo come un atto di malvagità. Ho paura che l'uso di un tale linguaggio infiammerà solo la situazione e provocherà una mentalità da linciaggio. Ciò di cui abbiamo bisogno è compassione e mente fredda per raggiungere i nostri veri obiettivi: pace, prosperità e democrazia per tutti i popoli.
Ci guidi, signor Presidente, con dignità e saggezza. Non assecondi le parti primitive de nostro essere. Mostri al mondo che lei è un leader con la forza e il coraggio per cercare l. comprensione e il ripristino della giustizia, come ha fatto Nelson Mandela in Sudafrica. Piuttosto che caratterizzare l'attacco come un atto di malvagità, io lo vedo come un terribile ultimo atto da parte di persone che credevano di non avere altro modo per farsi sentire.
E' decisivo che noi non solo vediamo la loro volontà di usare una violenza atroce, ma che riconosciamo la disperazione che li ha spinti a sacrificare altri e se stessi.
Come ex-marine, so cosa significa essere disposti a sacrificare la propria vita per una causa in cui si crede veramente. Mentre vedo queste persone come deviate in modo orribile piene di odio e disperate, non credo che siano codarde o malvagie.
Se loro si considerano come Davide che combatte contro Golia per distruggere il suo modo di vivere, certamente non dobbiamo essere d'accordo. Ma dobbiamo capirli se speriamo di raggiungere una pace duratura e di evitare un mondo chiuso e privo dei diritti e delle libertà che ci stanno a cuore.
Alcuni mesi fa, abbiamo visto sulle riviste alcune fotografie di un bambino palestinese ripiegato fra le braccia del padre. Finito, innocente, in mezzo a un conflitto a fuoco, il bimbo è morto ferito dalle pallottole e il padre non si è potuto muovere per salvarlo. Essendo lei stesso un padre, può immaginare l'angoscia, mentre, inchiodato e impotente, sentiva la vita sfuggire dal figlio?
Queste immagini e sensazioni insopportabili spingono le persone ai gesti disperati di cui siamo stati testimoni 1'11 settembre a New York e a Washington.
Questo momento di crisi profonda è anche un momento di immensa opportunità.
La prego di spingere il nostro mondo lontano dalla violenza e dalla sofferenza e verso la pace, la libertà e il benessere per tutti.
Che le voci della disperazione vengano ascoltate. Che i responsabili compaiano davanti a un tribunale. Mostriamo loro che crediamo davvero in una giustizia per tutti. Non commettiamo l'errore che abbiamo fatto di recente a Durban, ma piuttosto portiamo tutte le voci intorno al tavolo, anche se urlano e dicono cose che non vogliamo sentire. Siamo davvero una superpotenza, troppo abituata a parlare e che si aspetta che gli altri ascoltino. Mostriamo al mondo che siamo anche abbastanza forti da imparare ad ascoltare.
Prego perché lei non attacchi precipitosamente con la violenza.
Che Dio possa darle la saggezza di trovare l'opportunità per la pace che c'è in questa orribile tragedia.
Spero che gli storici guarderanno indietro e applaudiranno una grandezza di spirito e un modo di ragionare a mente fredda che ha portato il nostro mondo globalizzato più vicino alla giustizia e alla democrazia per tutti.
Greg Nees
[Greg Nees è un ex-sergente dei marines; questa lettera, scritta il 13 settembre, è apparsa come inserzione (pagata con le donazioni raccolte dall'organizzazione Veterans for Peace) sul "New York Times" di martedì 9 ottobre 2001]


in Lotta come Amore: LcA maggio 2002, Maggio 2002

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