Prendo la parola, questa sera, come voce di quel variegato mondo dell'associazionismo, del volontariato, delle cooperative sociali che costituisce, anche nella nostra città, un tessuto di ideali, valori, tradizioni collegate ad una risposta fattiva e generosa ai bisogni che emergono nella comunità locale e non solo.
E' l'opera quotidiana di queste realtà per alimentare, custodire, migliorare la vita che si oppone da sempre al terrorismo. E questa sera anche noi diciamo il nostro "NO" forte e chiaro. Consapevoli che il "No al terrorismo" significa dire "SI'" alla democrazia, alla fiducia che le differenze, i differenti punti di vista, le differenti motivazioni non sono un ostacolo, un impaccio da eliminare per far correre meglio le cose, ma un'energia! Non ci si può dichiarare sinceramente per la democrazia se non si è compiuta prima questa scelta: le differenze, tra di noi umani, sono una ricchezza, sono il salecome abbiamo sentito dire con parola autorevole - senza il quale diventa sciapìto e tristemente omogeneizzato il nostro vivere.
Il mio intervento a nome della società civile, che segue quello istituzionale del Sindaco e quello di forze sociali storicamente organizzate quali quelle sindacali confederali, completa l'arco della società democratica italiana. Occorre - perché non passi il terrorismo - che anche la forte presenza associativa nel paese con tutto lo spessore di una lotta quotidiana contro la marginalità e l'esclusione, si unisca alla coralità dell'appello di questa sera: "No al terrorismo, sì alla democrazia, ai diritti".
Ma con quale ruolo?
Non ho timore di dire che il ruolo principale di questo terzo settore della società è quello politico. Una politica differente da quella istituzionale, una politica che nasce e cresce affrontando problemi, facendo cose. Nella socializzazione immediata di quei nodi del vivere comune che interventi successivi dell'organizzazione istituzionale sono poi chiamati a sciogliere secondo scelte compiute nell'ambito delle regole democratiche. Nel dibattito critico continuo, perché facendo cose, affrontando concretamente problemi non si può evitare di porre in continua discussione il senso delle scelte fatte, il significato del vivere collettivo, la prevalenza di alcuni interessi a discapito di altri e il bisogno di una continua ridefinizione della giustizia sociale. Fare, sì, ma insieme anche parlare, comunicare, discutere, progettare. E - perché no? - anèhe sognare l'utopia possibile di un mondo a misura davvero umana.
Ma, chiediamoci ancora: è questo il modello che sta venendo avanti?
A livello istituzionale e di governo vengono messaggi in tutt'altra direzione. Mesi orsono il ministro Sirchia ha severamente ammonito il mondo del volontariato: fate troppa politica!
E' di questi giorni il tentativo, poi abortito, del governo di promuovere imprese no profit direttamente dalle imprese profit: la Fiat, quindi per esempio, che distacca personale, mezzi, immobili e fondi alla costituenda Fiat no profit che si occuperà di servizi socio assistenziali ed educativi. In Versilia, amministrazioni comunali del centro-destra iniziano a costituire associazioni e cooperative espressioni dirette delle amministrazioni stesse.
Che c'è di male in questo? Potremmo dire che è tutto grasso che cola: aumenteranno i servizi per le persone bisognose, per le situazioni problematiche a rischio...
Ma a che cosa tende essenzialmente questo progetto? A svuotare i luoghi dove si fa politica; sulle cose, sui problemi concreti. Il tentativo è quello di ridurre i luoghi del pensiero critico, di quel pensiero che nasce e si rafforza nella azione concreta e che nel mondo associativo trova un terreno di confronto e discussione in cui cresce e si allarga lo spessore politico e democratico della società.
Ma anche nel mondo dell'opposizione, in quello di sinistra, a questo proposito c'è confusione. Nella rincorsa ad un modello di controllo delle risorse e di efficienza, abbiamo ridotto la politicità, la partecipazione critica. Di fronte ai problemi emergenti spesso, anche da sinistra si imbocca la scorciatoia dell' affidare a due/tre esperti la risposta istituzionale operativa, invece di favorire una comunicazione delle problematiche, una discussione allargata, una partecipazione critica. E' questo di certo un percorso più faticoso e difficile. Ma l'unico che possa assicurare una risposta radicata davvero nella cultura, nel territorio, nella gente. Purtroppo invece il dialogo tra amministrazioni pubbliche e mondo dell'associazionismo, del volontariato e della cooperazione sociale è spesso infittito solo di discussioni su gare, appalti, contributi, servizi erogati o da erogare, con la assenza a volte davvero vistosa di ogni confronto sui progetti e sul significato complessivo delle risposte ai problemi che via via si presentano E lo stesso mondo che rappresento è tutt'altro che immune da questa infezione di uno stile derivante dal pensiero di un'economia interisivamente globalizzata. La vita associativa sfugge difficilmente all'appiattimento organizzativo sul servizio. Gli organi collegiali di' fatto vengono espropriati dalle loro funzioni a fronte di figure che assomigliano di più a degli 'amministratori unici. Traspare un senso di fastidioquando si è chiamati a collaborare, ad uscire dai confini degli spazi che ci si è ritagliati. Difficoltà a dar conto del proprio agire, preferendo seppellire l'opinione pubblica sotto il cumulo delle azioni svolte: vedete quanto siamo bravi!
Se vogliamo davvero battere il terrorismo, questo terrorismo di oggi che uccide un uomo perché pensa con la propria testa, occorre riprendere in mano con forza e decisione il progetto di una politicità diffusa. Occorre invertire la tendenza in atto andando - non a svuotare -, ma a cercare di ricostituire nella loro funzione i luoghi dove più da vicino la politica si misura con i problemi del nostro vivere. Occorre invertire nella consapevolezza del mondo associativo quella sudditanza psicologica e non solo, di fronte al pensiero unico che recita solo parole inneggianti all'efficientismo e allo spirito di impresa. Occorre ridare valore alla comunicazione interna ed esterna, alla circolazione di pensieri differenti, al confronto generazionale, al gusto per il dibattito e la ricerca delle idee.
Occorre, se non invertire, almeno riequilibrare quello slogan che abbiamo fatto nostro contro la degenerazione della politica, ma che ora ci sta scoppiando in mano: "Non parole, ma fatti!". Ci rendiamo conto che ora ci mancano soprattutto le parole, perché le abbiamo ritenute superflue, abbiamo pensato che "facendo", tutto si sarebbe sistemato. E ci stiamo lentamente accorgendo - almeno, io lo spero ... -, che a poco a poco rischiamo di divenire prigionieri di noi stessi. Di fatti, di azioni che dovrebbero renderei la vita più serena, aperta e dignitosa e che invece ci inchiodano ad una sempre più esasperante solitudine. Abbiamo bisogno dei fatti, ma abbiamo anche un grande bisogno di trovare le parole per dirli, per raccontarli, per confrontarli tra di noi. Abbiamo bisogno di parole insieme ai fatti, e cioè di politica che nasce sulle cose fatte, da fare e che si stanno facendo. Abbiamo bisogno di democrazia partecipata, diretta, appassionata. Abbiamo bisogno di riconoscere i diritti individuali e collettivi per spenderli finalmente nei doveri che nascono dalla assunzione di autentiche responsabilità.
Abbiamo bisogno non di nuovo terrore, ma di coraggio rinnovato per poterei ritrovare ad essere cittadini di una terra che fiorisce libertà.
Luigi
(Intervento a nome del "terzo settore" alla conclusione della fiaccolata versiliese contro il terrorismo, per la democrazia e i diritti)
in Lotta come Amore: LcA maggio 2002, Maggio 2002
Luigi Sonnenfeld
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