Questo mese di ottobre è per me ricco di incontri e carico di emozioni, fra cui quelle causate dal disastro aereo dell' 8 ottobre all'aeroporto di Linate. In quel giorno ero a Milano e ho partecipato allo stupore e al dolore della città. Ottobre non è un mese . speciale perché devo dire che la mia partecipazione alla vita non ha dei momenti di arresto e sono cosciente alla mia età di godere questo dono di cui devo essere grato all'Amico. Devo confessare che qualche volta mi lamento del troppo. Mi consolo ricordandomi che una mia vecchia amica spagnola di Avila si lamentava col suo Amico di trattarla con dei metodi un po' pesanti. Racconta Teresa che un giorno attraversando un fiume stava per essere trascinata dalla corrente, e arrivando penosamente alla riva, ebbe la visione dell' Amico che l'attendeva sorridente e lo rimproverò di starsene così tranquillo, mentre lei si dibatteva sentendosi vicina a perdersi: "Teresa, così tratto i miei amici". "Per questo ne hai così pochi" fu la risposta di lei. Siamo in un tempo in cui a nessuno è consentito restare tranquillo, preoccupato di sé. Raramente mi siedo davanti a un televisore, ma in casa di parenti o di amici è difficile non dare qualche occhiata, e mi fa male constatare che si passa dalle scene di guerra, di folle che fuggono dalle loro case e dalle loro città, a quei giochi che giudico stupidi e immorali per le somme che sono in palio, o ad immagini di simile banalità. Mi pare che dietro ci sia il proposito di non rattristare, cercando di convincere che le guerre dell' occidente in altre parti del mondo non ci riguardino. Le scene tristi ci devono aiutare a godere il privilegio di essere estranei a quel mondo.
La paura di soffrire è la causa più diretta della depressione, male endemico nel nostro mondo. Per non cadere in depressione basta non fuggire dal conoscere e dal guardare, ma bisognerebbe che non si sovrapponessero immagini che sembrano suggerire che quello che hai visto prima non è vero poiché tu vivi altre esperienze. Accettando la sofferenza degli altri, e lasciandoci interpellare, scopriamo il vero senso della vita, conoscenza necessaria per evitare di essere persone inutili o peggio dannose agli altri. E solo così potremo assumere un genere di vita più scomodo, più difficile, ma non cadremo nel baratro della depressione. Questo volevo dirvi per aiutarci a vivere in tempo di guerra. Che la guerra non sia in casa è un particolare di luogo trascurabile. Se qualche parente di sangue si trova in un paese sotto le bombe, la lontananza non vi libera dall'apprensione e dall'angoscia, ma piuttosto le rende più dolorose. Non è vero che non possiamo farci nulla, è già molto se arriviamo a scoprire che la nostra vita egoista, unita ad altri innumerevoli egoismi, contribuisce direttamente a suscitare e alimentare conflitti.
Quest'ultima frase che può apparire audace, irreale mi offre l'occasione per una riflessione sul momento drammatico che stiamo vivendo. Fermiamoci a riflettere sullo squarcio di storia dell'occidente vicino a noi. Prendiamo il cortissimo spazio di mezzo secolo, dal '50 all'oggi. Ci siamo appena rimessi in piedi, ancora storditi dall'avvenimento della guerra. Ci voltiamo indietro a "come è possibile che siamo stati così selvaggi, così disumani da causare milioni di morti ad Auschwitz?". Quelli che guidavano la storia erano dei giganteschi "io", i dittatori Hitler, Stalin e altri modelli un po' meno disumani come Mussolini e Franco. I progetti politici erano proiezioni dell'io narcisista. Lo Stato, il Partito: l'uno che deve sopprimere l'altro.
Il mondo sarà fascista o fascistizzato proclamava Mussolini. Fascista, o per le buone o per le cattive. Il mondo sarà comunista, dichiaravano gli altri.
Le guerre avvengono perché ci sono gli altri che arrivano a un certo limite di sopportazione ed escono fuori del limite di sopportazione. Off-limits come dicono gli americani.
Gli americani hanno atteso il loro turno ed eliminato l'Io russo, sono entrati in scena con l'Io-globalizzazione. Questo lo non è un io ideologico, né un io militare, ma tecnico-monetario: produrre oggetti per moltiplicare ricchezza e concentrarla in poche mani. Riassumendo, la nostra storia è dominata dai tre giganteschi Io: L'Io-razza-e-stato che deve vincere e dominare tutti i non-io, l'Io-partito ideologico, l'Io-mercato. Come conseguenza i tre Io sono armati fino ai denti perché sanno che escludendo, dominando e opprimendo altri provocheranno un conflitto prima o poi. E questo è avvenuto-avviene-avverrà con una precisione aritmetica.
Che la cultura nord-americana sia una cultura narcisista lo afferma quell'americano buon intenditore di psicologia che è Thomas Moore. Gli americani si considerano i benefattori dell'umanità essendo quelli che conoscono meglio degli altri le riserve della terra per sfruttarle a loro interesse, sotto qualunque bandiera si trovino. Un simbolo dell' America è quello che avviene in questi giorni: vi spezziamo le ossa ma poi vi mandiamo le stampelle per reggervi in piedi. Se siamo convinti che tutti i guai che ha combinato l'occidente sono causati da un io narcisista, possiamo pensare che le generazioni che succederanno alla presente potranno raggiungere una pace stabile se non elimineranno questo io? Il cristianesimo ha alle sue origini un modello antinarcisista che ha definito se stesso come alterità.
"Nessun amore maggiore che dare la vita per gli amici". Ma il Nazareno entrando nell'occidente è stato fissato, direi congelato, nell'immagine dell'arrivo. Anche Gesù ha fatto la fine delle altre forze vitali che dovrebbero fare della nostra storia una storia viva e di verità e non di apparenza.
La religione ci consegna questa vita altruista, fremente di alterità come esprimono le parole: "desidero di essere battezzato in un battesimo di sangue e sono impaziente che avvenga" nel simbolo statico, innocuo di una Eucarestia che va bene per tutti i gusti, provocando fremiti di amore che visto da vicino spesso appare di puro stampo narcisista.
Il narcisismo spirituale, mistico è disperatamente senza rimedio. Non vi pare che dovremmo passare da una cultura egocentrica, narcisista che proietta sullo schermo universale quei giganteschi io divoratori ad una cultura altruista, in cui entra in scena l'altro? Ma l'altro non si sostituirebbe all'io ripetendo il gioco funesto? La domanda non è fuori tema, perché molte volte il povero, l'escluso, raggiungendo lo status dell'oppressore diventa peggiore di chi stava sopra di lui. Il messicano Benito Juarez indio di nascita, è noto per avere emanato delle leggi contrarie alla liberazione dei suoi fratelli di sangue, e non è un caso isolato. M io penso che se tutti quelli che entrano nella categoria degli intellettuali - definendo intellettuali quelli nati per pensare, come altri sono nati per lavorare (Bauman) - cominciassero a definire la persona come alterità, e ognuna responsabile dell'altro asimmetrico, che ha bisogno del mio intervento, si supererebbe la legge sostitutiva per cui chi sta sotto vuole occupare il posto di chi sta sopra come per una rivincita. Se il modello ideale non fosse più l'uomo lupo dell'uomo, cioè competitivo e non uguale, ma l'uomo altruista responsabile dell'altro, si potrebbe sperare seriamente in un mondo di pace. Alcuni intellettuali ci autorizzano a sognare questo sogno. Gli intellettuali che hanno delle responsabilità pastorali di guida della gioventù dovrebbero fissare come primo obiettivo da raggiungere la creazione di modelli di alterità e farsi loro stessi modelli di alterità. Gli intellettuali laici e religiosi dovrebbero rinunziare al narcisismo intellettuale come forma di dominazione sugli altri e guidare la loro attività all'ideale di cambiare la società. Da una società violenta, competitiva come è la nostra, a una società pacifica. Gli avvenimenti ci aiuteranno perché assisteremo (io come anziano devo dire assisterete, e lo dico con gioia) alla fine del progetto globalizzazione. E' inevitabile perché - afferma Moore - per la globalizzazione, fenomeno narcisista, non ci sono cure, è un male terminale che finisce come Narciso che muore affogato per acchiappare la sua immagine che crede un altro io. La fine sarà tragica come è facile prevedere, ma sarà inevitabile. Qualcuno riuscirà a mollare il proprio io egoista, altri saranno trascinati a mollarlo dagli eventi, altri ancora periranno sotto le macerie. E' facile e quasi spontaneo che la frana delle torri, simbolo dell'io occidentale che ha raggiunto l' onnipotenza tecnica, induca pensare all'altra torre biblica che voleva portare l'uomo al livello di Dio. In un mondo dissacralizzato le torri di Manhattan difficilmente appariranno come simbolo: è un atto terroristico e chiuso, è ingenuo attribuirgli altro senso. Ma alcuni di noi restano fermi nel cogliere il senso simbolico del crollo. Tutti avvertono che non è un fatto facilmente prevedibile. Appare più un evento da fantascienza che un avvenimento storico. Gli americani hanno chiamato il 12 settembre day after, alludendo all'apocalisse prevista prossimamente.
Con questi pensieri sono arrivato a Trento per intervenire in un congresso cui avevano apposto un titolo che mi parve subito significativo: "Le parole ritrovate", dove? Fra le macerie delle due torri. E quali sarebbero queste parole? Mi giunse subito la risposta: "Caino che hai fatto di tuo fratello?" La risposta ontologica -dice Lévinas cioè quella dell'io che si sente unico, completo in se stesso, separato dagli altri è "che c'entro io con mio fratello?". Lévinas trova che è una risposta logica, non ci potevamo attendere altro dalla antropologia occidentale.
Su un'altra base antropologica dell'essere come alterità ci si può attendere un risveglio della coscienza responsabile. E dobbiamo credere e sperare che questo cambio avvenga. In questa speranza che deve essere accolta nella nostra fede e alimentata, vissuta e invocata dal Signore della vita, vi saluto.
fratel Arturo
in Lotta come Amore: LcA maggio 2002, Maggio 2002
Luigi Sonnenfeld
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