Sono 10 anni...

Questo numero di Lotta come Amore arriva a casa vostra a distanza di quasi un anno dal precedente. Non sempre però il silenzio è segno di vuoto e di assenza. Talvolta - come in questo caso - il ritardo a questo nostro appuntamento segnala un lento processo di assestamento in corso per quanto riguarda me e la vita qui, alla Chiesetta del Porto. Ne risente anche la comunicazione o per lo meno le sue modalità. Mi chiedo che cosa dire, cosa scrivere, cosa cercare di condividere per un confronto sempre aperto con chi si avventura nella lettura?
Sono dieci anni che Lotta come Amore esce con questa veste grafica che riprende, innovandola, "La Voce dei Poveri" degli anni '60. Volle essere allora un rialzare la testa dopo la morte di Sirio e l'inevitabile difficoltà a dare un senso alla nostra presenza, di Beppe e mia, alla Chiesetta, senza di lui.
Quattro anni fa, la morte di Beppe. Il giornalino ha riflesso sempre più il mio cercare di tirare avanti comunque, anche se a volte molto, molto stancamente. Come a reggere il colpo di un improvviso crollo di energie di fronte ad un peso soverchiante. Essere rimasto solo nella Chiesetta - sia pure nella condivisione della memoria e della ricerca con Maria Grazia -, l'ho vissuto all'inizio come una responsabilità intristita dal senso di colpa di essere "sopravvissuto" in tutta una mia "strutturale" inadeguatezza ad esprimermi in modo comprensibile in una dimensione tutta mia. Portato a parlare più con gli attrezzi e i materiali da lavoro che con le persone, "uomo di macchina" quasi sempre intento "a far andare avanti la barca" sbuffando e brontolando, defilato "sotto coperta".
Dalla mattina alla sera sono stato proiettato sul ponte, all'aria aperta, alla luce del sole, e ho avvertito come un dolore lancinante in quel rendermi conto di essere un piccolo punto in mezzo al mare, senza terre all'orizzonte.
Ho cercato, un poco per volta, di mettere insieme una piccola zattera con pezzi recuperati alle onde ed ora sono riuscito a cucire insieme qualcosa che somiglia ad una vela: sto aspettando una raffica gentile che me la gonfi senza rischiare di strapparla, per riprendere la navigazione della vita.
Sono stati due .eventi, sia pure di portata diversa che mi hanno aiutato a liberare voglia di vivere. Tutti e due legati alla memoria. Di Beppe il primo: una memoria di lui raccolta, sentita, semplice da parte della comunità parrocchiale della Darsena, la Chiesa dei Sette Santi Fondatori di cui Beppe è stato parroco per dieci anni, nel giorno anniversario della sua morte. Letture, canti e ricordi di gente di età diversa eh continua ad avere lui come riferimento di vita quotidiana, di gesti, di motivazioni, di ideali. Avevamo comunicato, lo scorso anno, la decisione di non organizzare più la fiaccolata cittadina per lasciare che il silenzio favorisse la nascita di semi della sua presenza viva, ma questo evento non lo ha interrotto. Anzi, ha come accompagnato con la dolcezza dell' amicizia il tentativo di guardare alla terra, alla nostra storia umana con un senso rinnovato di attesa e di speranza. Per cui è stato facile per me invitare a staccarci dalla memoria come "nostalgia" che cerca di rileggere le parole di Beppe e di riprodurre i segni che lo hanno identificato, per cercare di "ri-dire" noi le sue parole con il linguaggio della nostra vita.
Dopo poco più di un mese la Chiesetta del Porto ha allargato le braccia per accogliere il "ritorno a casa" di don Sirio. Potete seguire anche voi questo avvenimento attraverso la "cronaca" di Maria Grazia nelle pagine centrali. Un avvenimento non programmato fino alla fine della scorsa estate. Quando apparve la necessità di porre mano al problema concreto della collocazione dei suoi resti provocato dallo "sbancamento" della parte del cimitero di Capezzano Pianore (suo paese natale) dove Sirio è stato sepolto. Inizialmente avvertii in me una resistenza all'idea di averlo qui, quasi un richiamo troppo forte alla memoria del passato per poter mantenere la fiducia di una storia ancora aperta. Poi, mano a mano che l'idea prendeva forma ho sentito la cosa sempre meno pesante e sempre più una spinta ad andare avanti con coraggio. Ora, la presenza di Sirio nelle sue ceneri, è per me una cosa buona: mi sento molto meno solo e vengo incoraggiato ad esprimermi per ciò che sono.
Il resto del giornalino è assemblato più per intuizione che attraverso una elaborazione consapevole. C'è, subito a seguire, la posta di fratel Arturo. Una lettera dell'ottobre scorso, ma, al di là del riferimento temporale alla tragedia dell'aeroporto di Linate, credo sia leggibile come appena uscita dalla penna e dal cuore di un uomo che non smette di sorprendere già oltre i novanta anni.
Ho quindi inserito il testo di un intervento che ho letto al termine di una fiaccolata contro il terrorismo a seguito dell 'uccisione di Marco Biagi. Mi era stato chiesto di intervenire a nome del cosiddetto Terzo Settore della società (volontariato, associazionismo, cooperative sociali...). Nell'occasione, per la cronaca eravamo all'aperto quasi sul mare, mi sono ostinato a leggere il testo alla luce di un lampione in una serata di vento freddo e ho "mandato via" i due terzi degli intervenuti scoraggiati e confusi...
Ho ritrovato però alcuni temi, da me solo sfiorati quasi per caso, nell'intervento di Cofferati alla manifestazione a Firenze in occasione dello sciopero generale del 16 aprile scorso e soprattutto in uno scambio epistolare tra don Luigi Ciotti e lo stesso Cofferati, pubblicato st n° 2/2002 di Micromega (La primavera dei movimenti). Dopo "Il ritorno a casa di don Sirio" nelle pagine centrali (le foto pubblicate riferiscono a questo evento e segnano il percorso dal Comune alla Chiesetta), una lettera aperta a Bush scritta da un ex-sergente dei marines che gli chiede di non attaccare l'Afghanistan. Sappiamo tutti come è andata. Mi pare però utile riascoltare le voci di una resistenza che cerca di riportare i temi della pace e della guerra ad una dimensione politica riguardante gli obiettivi che si cerca di perseguire e che nella loro rispondenza ad una giustizia per tutti o meno contengono già la guerra come strumento necessario alla difesa di interessi particolari. Non la malvagità degli uni (innegabile) provocò la guerra, ma la volontà degli altri di mantenere privilegi e mettere le mani su tutte le risorse invece di condividerle con la comunità mondiale. Infine, la ballata per i bambini del mondo scritta da Gianni Tognoni raccoglie il grido di dolore e insieme di speranza per "i cuccioli della nostra specie".
Un mondo violentato, saccheggiato, offeso intorno a cui si gioca una battaglia decisiva perché l'orizzonte della storia umana possa ravvivarsi di luce, di fiducia, di vita.


Luigi


in Lotta come Amore: LcA maggio 2002, Maggio 2002

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