Quest'estate, in una situazione di crisi, quando tutto il male pareva essersi impadronito della mia povera testa (vuoto di volti amici quindi solitudine amara, salute appena sufficiente a reggere il logoramento dei miei ottanta anni, intorno solo istupidito mondo vacanziero) mi è stato donato il libro di Maddalena di Spello, "La via della povera vita" (ed. I Mistici, Mondadori, 1998).
Un' esperienza straordinaria.
Nella Nota introduttiva Marco Vannini traccia la storia di Maddalena che, egli scrive, per molti aspetti non è diversa da quella di tanta borghesia europea del nostro secolo. Si tratta infatti di una francese il cui cattolicesimo di nascita non regge l'impatto con la cultura contemporanea, dal positivismo imperante nei licei della Terza repubblica al marxismo del secondo dopoguerra. Gli anni universitari parigini scorrono improntati da scelte anticonformiste e antiborghesi che la lasciano in una grande amarezza. Da questa crisi di valori Maddalena riesce ad uscire grazie all'incontro casuale con persone neoconvertite che la guidano "sulla strada della preghiera" e dell'ascesi con letture che vanno da Leon Bloy a Teresa d'Avila e Giovanni della Croce.
Da Nizza il fascino della figura di San Francesco la porta ad Assisi, quindi alla vicina Spello, dove, "obbedendo ad una richiesta precisa del suo Gesù", decide di stabilirsi e prende in affitto una casa in Via della Povera Vita. Nasce così la Casa della Povera Gente che accoglie chiunque bussi a quella porta.
Maddalena nella Premessa ci descrive gli ospiti quali persone bisognose "di lavarsi, di mangiare, di dormire; per miseria, per malattia, per immigrazione e, ahimè, anche per calcolo (chiarisce ironicamente lei stessa)."
Questa è la famiglia che lei presenta: Claudia ed Ester le sue consorelle, suo marito Alessandro, sua figlia Madeleine, Albino, Gunter e Roberta l'ultima arrivata.
Una "strana comunità di laici" che inventano una esistenza nuova. E' di questa esistenza nuova che Maddalena è stata invitata a riferire.
Non si tratta di una meditazione (termine che subito "ti fa aggrottare le sopracciglia" osserva lei stessa) ma dell'invenzione di una vita nuova cui ci invita "con innocenza, senza diploma né raccomandazione, reclinando il capo come Giovanni alla cena del Signore". E dinnanzi al perpetuo scandalo (la parola, ella precisa, deriva da skàndalon, la pietra d'inciampo, quella che qualcuno mette sul cammino di un cieco ), dinnanzi cioè allo scandalo del male ella rifiuta un Dio imperturbabile e accosta al nostro cuore un Cristo che "alla sofferenza non dà spiegazioni razionali, si mette vicino a noi, dice anche Lui 'Perché'.
Il frutto della totale accettazione del dolore è la pace, ma non la pax, cessazione della guerra, ma la shalom, la pienezza. Di questo Maddalena riuscì a fare personale esperienza, a seguito di una durissima prova, quando il medico scolastico diagnosticò per sua figlia una paralisi progressiva. Accettare significa: "Rinuncio a capire e mi rimetto a Te". Difatti ella intitola questo capitoletto "La sofferenza, maestra, sorella e madre". Il capitolo successivo è dedicato al Mondo. Ella osserva: "Ciò che vedo, ciò che sento, ciò che gusto, ciò che tocco non è da respingere né da disprezzare come un' ombra. La bellezza sparsa dappertutto... parla al nostro cuore con il linguaggio di una rivelazione...
Le bellezze del paradiso saranno più grandi, va bene, e allora?
Nel frattempo sono
qui e oggi
Cristo ha vissuto qui:
Dio in mezzo a noi."
Questo aveva ben capito il nostro Francesco, lui che chiamava il sole, la luna e la morte sorelle e designava la terra con il soave nome di madre.
E ancora in "Abitare la terra" di nuovo insiste: "essere in vita sulla terra, sotto il cielo, essere nati è la prima meraviglia: Pensare e ripetere che la nostra dimora è nel cielo, mi è diventato insopportabile. Quasi mi suona come una bestemmia."
Di chiarimento in chiarimento, passo dopo passo (ognuno supportato da un' esperienza personale, vissuta senza compromesso) Maddalena arriva all'unum necessarium cioè al"essere veri". Non fare niente per fare bella figura o per obbedienza "Questo non è umiltà".
Pagine per me particolarmente salienti sono raccolte nel capitolo "Purificazione".
Qui veramente la sua chiarezza di giudizio (che nasce, come sempre, dall'esperienza personalmente vissuta, come sposa e come madre) tocca un tema su cui il catechismo ha creato confusione e disorientamento, cioè il rapporto con il proprio corpo, tema che sarà ulteriormente sviluppato nel capitolo "L'amore" .
" Il peccato della carne non è stato inventato da Dio. Non ha niente a che fare con l'amore ... L'amore abita in cielo, cioè allarga orizzonti e cuore; l'oscenità è come un abbaglio...".
Finalmente, ella osserva con il Concilio del 1965 la Chiesa ha contemplato "la possibilità per l'uomo e la donna di amarsi per la gioia e non solo per fare figli".
Gli ultimi capitoli sono illuminati dal ricordo di Padre Zapan, figura per lei fondamentale e sono rivelatori del suo cammino sempre più pressante col Cristo fino a consacrare al servizio al bisognoso tutta la sua vita. Facciamo nostre queste pagine fino a perderei in quel comandamento che comprende tutta la legge e i profeti:
"O Dio! O mio tutto! O vita!".
Grazia Maggi
in Lotta come Amore: LcA ottobre 2001, Ottobre 2001
Luigi Sonnenfeld
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